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01.10.2020 – Foggia – Depalma

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA Contenzioso –
SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Vincenzo Paolo Depalma ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3544/2018 promossa da: G.P. (C.F. OMISSIS), con il patrocinio dell’avv. B e dell’avv. BI;

contro

CONDOMINIO RESIDENCE OMISSIS, con il patrocinio dell’avv. P – CONVENUTO/I
CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da verbale che precede. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione notificato il 5.5.2018 P.G. , quale condomina del Residence OMISSIS – in San Menaio, impugnava la delibera assembleare del 9.1.2018, per chiederne l’annullamento/nullità per i seguenti motivi: 1) era stato erroneamente approvato il bilancio relativo all’esercizio 2015/2016, in luogo di quello 2016/2017 oggetto dell’ordine del giorno; 2) era stato falsamente indicato che erano stati trasmessi gli elaborati a tutti i condomini; 3) era stato approvato il bilancio preventivo, con quota determinata in euro 450,00, senza riferimento alle tabelle millesimali; 4) era stata violata la legge n. 2208/2012, con determinazione carente della rideterminazione dei rendiconti ordinata dalla Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 1757/20__; Evidenziava di aver presentato istanza di mediazione, partecipando la stessa al Condominio con raccomandata.
Con comparsa di costituzione e risposta del 12.11.2018 si costituiva il Condominio Residence omissis per eccepire preliminarmente l’inammissibilità dell’opposizione: il termine per l’impugnazione ex art. 1137 c.c. scadeva infatti il 16.3.2018 (essendo pervenuta alla Panni la comunicazione della delibera il 14.2.2018). E nondimeno, la comunicazione del 13.3.2018 non era accompagnata dalla copia della “domanda di mediazione”. Istruita la causa e fallite le ipotesi conciliative, le parti concludevano in senso conforme ed il giudice riservava la decisione. La domanda è inammissibile e, pertanto, non merita accoglimento.
Deve preliminarmente chiarirsi che i motivi di impugnazione azionati dall’attrice hanno tutti ad oggetto motivi di “annullabilità” e non di “nullità”. Le SS.UU. della Corte di Cassazione, infatti, hanno definitivamente chiarito che: “In tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporta, non la nullità, ma l’annullabilità della delibera condominiale, la quale, ove non impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137, terzo comma, cod. civ. (decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione, e, per i condomini dissenzienti, dalla sua approvazione), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio”. (Sez. U, Sentenza n. 4806 del 07/03/2005, Rv. 579439 – 01). Nel caso di specie, l’attrice ha impugnato la delibera assembleare invocando: 1. la diversità dei bilanci approvati rispetto a quelli indicati nella comunicazione di convocazione e vizi relativi al procedimento di convocazione assembleare; 2. la violazione dei criteri di riparto delle spese previsti dal regolamento ed imposti con sentenza passata in giudicato; Si tratta, in tutti e tre i casi, di vizi che non determinano la carenza degli elementi essenziali della delibera impugnata. Né si può ritenere che l’oggetto delle delibere impugnate sia illecito, o in qualche modo incida sui diritti reali esclusivi dell’attrice. La domanda, quindi, come innanzi qualificata, concerne tre distinti casi di “annullabilità” della delibera assembleare ed è quindi soggetta al termine perentorio di cui all’art. 1137, comma II, c.c. (come attualmente previsto dal codice civile, all’esito della riforma del condominio, di cui alla legge 220/2012)
Sul punto, merita accoglimento l’eccezione di decadenza formulata da parte convenuta.
L’art. 5 comma 6, d.lgs. 28/2010 stabilisce che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale.
Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”. L’art. 8 della medesima legge, disciplinando il “procedimento di mediazione”, precisa che: “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante”.
La parte istante, quindi, non è liberata dal proprio onere di tempestiva impugnazione con il semplice deposito entro il termine perentorio della domanda di mediazione presso l’organismo di mediazione.
Né è sufficiente che la stessa parte provveda a comunicare all’altra il solo fatto di “aver deposito la domanda” (come nel caso di specie), senza provvedere contestualmente all’allegazione della stessa domanda.
Solo la “domanda di mediazione”, infatti, consente alla controparte di venire a conoscenza dei motivi di impugnazione. La ratio del termine perentorio di legge, infatti, è proprio quella di consentire al Condominio di conoscere quanto prima i motivi di doglianza, al fine di porvi eventuale rimedio del più rapido tempo possibile, ed evitare sia il giudizio di impugnazione che quello stragiudiziale di mediaconciliazione. E, d’altronde, perché si realizzino gli eccezionali effetti sospensivi di cui all’art. 5, comma VI, d.lgs. 28/2010 è necessario che la “comunicazione”, eventualmente anche a cura della stessa parte istante, giunga alla controparte entro il termine di cui all’art. 1137, comma II, c.c. Se è vero che l’art. 5.6 d.lgs. 28/2010 non specifica con chiarezza l’oggetto della “comunicazione”, deve tuttavia dedursi dall’esegesi sistematica con l’art. 8 della stessa legge e con la parte successiva dello stesso art. 5.6 d.lgs. 28/2010 che tale “comunicazione” tempestiva debba contenere per lo meno la “domanda di mediazione”. La disponibilità di tale contenuto minimo non dipende da alcuna condotta di terzi. Al momento di presentazione della domanda presso l’Organismo di Mediaconciliazione, la parte istante è già in possesso della domanda stessa depositata.
Non si comprende, pertanto, per quale ragione la stessa parte istante non possa provvedere immediatamente a “comunicare” tale domanda alla controparte, onde evitare il decorso del termine perentorio ex art. 1137, comma II c.c. In tale direzione, non può predicarsi alcuna esegesi costituzionalmente conforme finalizzata ad estendere l’effetto sospensivo eccezionale per “comunicazioni” incomplete ed inidonee a far tempestivamente venire a conoscenza il condominio dei motivi di impugnazione della delibera. Tale esegesi è stata fin qui condivisa anche:
· in un caso identico, dal Tribunale di Savona, con sentenza 8.2.2019, secondo cui: “in ordine al tentativo di mediazione, il termine di decadenza di trenta giorni per l’impugnazione delle delibere assembleari viene sospeso, per una sola volta, dalla domanda di mediazione, ma non dal giorno della sua presentazione, bensì dal momento della comunicazione alle altre parti”;
· ed in un caso diverso, ma simile, dalla Cassazione Civile, che ha di recente evidenziato che: “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l’istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all’art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito”. (Rigetta, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 15/12/2016) (Cass. civ. Sez. II Sent., 28/01/2019, n. 2273, rv. 652428-01) Nel caso di specie, in particolare, l’attrice, con comunicazione del 13.10.2016 avvisava la controparte “con riferimento alla delibera in oggetto”, che era “stata prodotta istanza di mediazione alla APEC s.r.l. propedeutica all’azione giudiziaria per la declaratoria di nullità della stessa”. A tale comunicazione non seguiva l’invio di copia dell’istanza di mediaconciliazione.
E, nondimeno, l’allegazione meramente generica dell’ “impugnazione della delibera per la declaratoria di nullità” non appare minimamente idonea a rappresentare le doglianze che la stessa parte avrebbe poi esplicitato nel presente giudizio (e che, come detto, costituiscono pacificamente vizi che determinano “annullabilità” e non “nullità”). Dalla comunicazione del 13.10.2016, infatti, mai il convenuto avrebbe potuto prevedere l’impugnazione della delibera per i motivi spiegati solo nell’atto di citazione.
Aben vedere, poi, nel caso di specie anche la domanda di mediazione (poi comunicata dall’organismo di mediazione) risulta del tutto generica e priva della benché minima indicazione della causa petendi, avendo ad oggetto “impugnativa delibera del 16.8.2016 per nullità ex art.1137 c.c.”.
Deve, sul punto, osservarsi che anche la disciplina di cui alla legge 28/2010, avendo finalità deflattive del contenzioso, è informata al principio della necessaria simmetria tra la domanda azionata in sede di mediaconciliazione (e tempestivametne comunicata alla controparte) e quella avviata nel successivo giudizio. L’allegazione della domanda non può limitarsi all’indicazione della norma violata o del petitum sostanziale richiesto, dovendo comprendere anche l’esplicazione, per quanto sintetica, delle ragioni fondanti tale istanza.
Solo attraverso tale enunciazione la controparte può esser effettivamente resa edotta della domanda che l’istante intenderà azionare nel successivo giudizio. In tal senso la Corte di Cassazione si è già espressa interpretando l’analoga previsione di tentativo obbligatorio di conciliazione vigente nel contenzioso agrario, osservando che: “In materia di contratti agrari, perché possa ritenersi osservata la prescrizione del preventivo tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 della legge n. 203 del 1982, è necessario che la pretesa fatta valere in sede di conciliazione sia identica, sotto il profilo soggettivo, del “petitum” e della “causa petendi”, a quella avanzata in giudizio, ma tale condizione è rispettata anche quando la domanda giudiziale abbia ad oggetto una richiesta ridotta rispetto a quella contenuta nella diffida, in modo tale che il più di quest’ultima contenga il meno di quella”. (Rigetta, CORTE D’APPELLO NAPOLI, 08/06/2017) (Cass. civ. Sez. III Ord., 26/06/2019, n. 17059 – rv. 654403-01).
E, del resto, ragionando diversamente, in ipotesi (come quella del caso di specie) nelle quali il giudice si trovi nella necessità di riqualificare la domanda a causa dell’erronea indicazione del petitum materiali richiesto (“nullità” in luogo di “annullamento”), il convenuto non avrebbe alcun modo di conoscere il contenuto della domanda stessa in sede di mediaconciliazione. Alla luce di tali elementi, deve concludersi che nel termine di cui all’art. 1137, comma II, c.c. non sia pervenuta al convenuto alcuna comunicazione idonea a sospendere il termine perentorio previsto per l’impugnazione della delibera di cui è causa.
Risulta non contestato, oltre che documentato, il fatto che il 22.9.2016 l’attrice ha ritirato la comunicazione della delibera del 16.8.2016. Il termine perentorio per l’impugnazione, quindi, scadeva il 22.10.2016.
Entro tale data il convenuto ha ricevuto la sola comunicazione del 13.10.2016 priva di domanda di mediazione e comunque non idonea a far comprendere la causa petendi poi azionata con il presente giudizio.
Va quindi dichiarata l’improcedibilità del presente giudizio, per mancato rispetto del termine perentorio ex art. 1137, comma II, c.c.. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate ex D.M 55/2014, in ragione del valore indeterminato di bassa complessità del presente giudizio, in euro 3.972,00 oltre i.v.a., c.a.p. e rimborso forfettario al 15% (applicate le tariffe minime ex D.M. 55/2014 stante l’assenza di questioni di fatto controverse).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
· Dichiara improcedibile la domanda attorea per violazione del termine ex art. 1137, comma II, c.c.;
· Condanna parte attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di giudizio, che si liquidano in euro 3.972,00, oltre i.v.a, c.p.a. e rimborso forfettario al 15%.
Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale.
Foggia,01/10/2020
Il Giudice dott. Vincenzo Paolo Depalma

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