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02.02.2021 – Roma – Cassazione

ORDINANZA
sul ricorso 12635-2016 proposto da:
MAGELLI RENATO, MAGELLI S.N.C. DI NIAGELLI SERGIO & C,
MAGELLI SERGIO, CASOTTI INES, gAsum ELISABETTA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15,
presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO
BEVILACQUA;

  • ricorrenti –
    contro
    CONDOMINIO BETA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
    DI VILLA MASSIMO, 21, presso lo studio dell’avvocato
    ULDERICO CAPOCASALE, rappresentato e difeso dall’avvocato
    DOMENICO LARATTA;
  • controrícorrente
    Civile Ord. Sez. 2 Num. 10371 Anno 2021
    Presidente: DI VIRGILIO ROSA MARIA
    Relatore: SCARPA ANTONIO
    Data pubblicazione: 20/04/2021
    Corte di Cassazione – copia non ufficiale
    avverso la sentenza n. 362/2015 della CORTE D’APPELLO di
    TRENTO, depositata il 13/11/2015;
    udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
    del 02/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
    FATTI DI CAUSA E RAGIONE DELLA DECISIONE
  1. Sergio Magelli, Renato Magelli, Ines Casotti, Elisabetta Costa
    e la Magelli s.n.c. di Magelli Sergio & c. hanno proposto ricorso
    articolato in otto motivi avverso la sentenza della Corte
    d’appello di Trento n. 362/2015, pubblicata in data 13
    novembre 2015,.
    Resiste con controricorso il Condominio Beta, via Clarina 14-
    16, Trento.
    2.La Corte d’appello ha confermato lai sentenza 20 maggio
    2014 del Tribunale di Trento, con la quale vennero respinte
    tutte le domande proposte da Sergio Magelli, Renato Magelli,
    Ines Casotti, Elisabetta Costa e la Magelli s.n.c. di Magelli
    Sergio & c. in due distinti giudizi, poi riuniti, instaurati il 10
    maggio 2012 ed il 29 agosto 2012 nei confronti del Condominio
    Beta, via Clarina 14-16, Trento. Le domande attenevano
    all’impugnazione di due deliberazioni assembleari del 10 aprile
    2012 e del 2 agosto 2012, con cui erano state ripartite fra i
    condomini le spese straordinarie sostenute per la coibentazione
    dell’immobile condominiale (accollando agli attori l’importo pari
    ad C 13.648.42), all’accertamento dell’avvenuto pagamento ad
    opera di terzi e dell’indebita pretesa di contribuzione da parte
    del condominio, nonché alla restituzione di quanto già
    corrisposto a seguito di intimazione di decreto ingiuntivo.
    3.La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di
    consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c.
    I ricorrenti hanno depositato memoria.
    4.Gli otto motivi di ricorso recano in rubrica soltanto un rinvio
    alla parte della sentenza impugnata che ha rispettivamente
    rigettato i nove motivi di appello, nonché un sistematico
    riferimento ai numeri 3, 4, e 5 dell’art. 360 c.p.c.
    4.1. Il primo motivo del ricorso di Sergio Magelli, Renato
    Magelli, Ines Casotti, Elisabetta Costa e della Magelli s.n.c. si
    riferisce alla parte della sentenza impugnata in cui si è
    affermato che “l’onere della prova circa la natura di
    innovazione gravosa e voluttuaria incombeva sulla parte
    odierna appellante attrice in primo grado”. Nel corso della
    esposizione della censura si adduce l’omesso esame di fatti
    decisivi, la violazione ejo falsa applicazione dell’art. 1121 c.c. e
    l’omessa motivazione. Si assume dai ricorrenti che i lavori
    eseguiti per la realizzazione del cappotto di coibentazione
    consistevano in innovazioni gravose e voluttuarie, le cui spese
    dovevano ripartirsi ai sensi dell’art. 1121 c.c. La Corte
    d’appello avrebbe altresì omesso di esaminare la “separata
    utilizzabilità” dell’opera, agli effetti dell’art. 1121, comma 2,
    c.c. I lavori di coibentazione non avrebbero riguardato i piani
    interrati, di cui sono titolari i ricorrenti.
    4.2. Il secondo motivo di ricorso censura la parte della
    sentenza della Corte di Trento che ha affermato che l’obbligo
    degli appellanti di partecipare alle spese sostenute per la
    coibentazione del fabbricato discendesse dalla delibera di
    approvazione delle opere del 20 giugno 2011, non impugnata,
    non avendo quindi rilievo le delibere del 10 aprile 2012 e del 2
    agosto 2012, le quali avevano unicamente ripartito le spese
    derivanti da quelle opere. Questa censura sostiene che i
    ricorrenti non avessero interesse ad impugnare la delibera del
    20 giugno 2011, in quanto, quali proprietari dei magazzini
    interrati, essi non erano titolari di diritti reali su nessuna delle
    unità immobiliari beneficiate dalla coilDentazione: riguardo a
    tale delibera, si dice che “non imputava loro alcuna spesa,
    limitandosi ad approvare, quale presupposto necessario per la
    loro esecuzione, i lavori di installazione del cappotto”. La Corte
    d’appello avrebbe omesso di esaminare la “godibilità in misura
    diversa della coibentazione” e la “natura delle spese de
    quibus”, e così pure violato e/o falsamente applicato l’art. 1123
    c.c.
    4.3. Il terzo motivo di ricorso si riferisce alla parte della
    sentenza impugnata ove è stato affermato che fosse onere
    degli attori provare “una eventuale autonomia strutturale dei
    locali di proprietà rispetto al corpo condominiale”. Si
    contrappone dai ricorrenti che essi avevano provato che i locali
    loro appartenenti non beneficiavano della coibentazione.
    4.4. Il quarto motivo di ricorso attiene alla parte della sentenza
    inerente al motivo di gravame sulla non appartenenza agli
    attori di diritti in ordine ai tredici appartamenti, in quanto
    titolari di unità immobiliari interrate. La Corte di Trento ha
    affermato che non era stato allegato né provato che i locali
    degli appellanti fossero strutturalmente autonomi rispetto al
    corpo condominiale. I ricorrenti oppongono di aver
    “documentalmente provato (…) che i locali de quibus sono
    strutturalmente autonomi e che non beneficiano – non potendo
    beneficiarne né potenzialmente né effettivamente – della
    coibentazione”.
    4.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta che la Corte d’appello,
    trattandosi di “interventi sui muri perimetrali” di “tinteggiatura,
    conseguente all’applicazione del cd. cappotto e
    riposizionamento delle grondaie”, e dunque di “spese
    comunque comuni a tutti i condomini”, non abbia considerato
    la mancata dimostrazione di un “miglioramento del decoro
    architettonico di cui avrebbe beneficiato la facciata
    dell’edificio”, miglioramento, anzi, smentito dalle risultanze
    istruttorie.
    4.6. Il sesto motivo di ricorso censura ia parte della sentenza
    che ha ritenuto non applicabile l’art. 1180 c.c., essendo state
    pagate le fatture della impresa Postai direttamente dal
    Condominio (per godere dei benefici fiscali connessi
    all’esecuzione dei lavori finalizzati al risparmio energetico) e
    non dai singoli condomini pro quota, e perciò sussistendo la
    legittimazione dello stesso Condominio ex art. 1203 n. 3 c.c.
    ad esigere il pagamento di tali importi dai morosi. La
    complessa censura contenuta nel sesto motivo sostiene che
    “l’obbligazione condominiale, sia essa interna o esterna, ha
    natura parziaria e concerne il rapporto Fra ciascun condomino
    ed il suo creditore”. Nel caso di specie, gli altri condomini,
    soggetti terzi, avrebbero adempiuto all’obbligazione
    arbitrariamente imputata ai ricorrenti, senza peraltro
    surrogarsi nei diritti del creditore, con tutte le conseguenze di
    cui all’art. 1180 c.c. Si critica pure l’affermazione della Corte
    d’appello che ravvisa altrimenti una “donazione indiretta” priva
    di causa compiuta dal condominio.
    4.7. Il settimo motivo di ricorso si riferisce alla parte della
    sentenza che avrebbe omesso ogni motivazione in ordine alla
    domanda, formulata in via su subrdinata, correlata
    all’accertamento che la somma di C 13.517,48 non fosse
    dovuta perché mai approvata dall’assemblea condominiale. La
    Corte di Trento aveva spiegato che tali spese trovavano il loro
    fondamento nella delibera del 20 giugno 2011, la quale aveva
    approvato il preventivo delle spese di coibentazione. Sul punto
    i ricorrenti ritengono “sufficiente richiamare quanto già sopra
    dedotto”.
    4.8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa
    motivazione in relazione alla domanda di declaratoria di nullità
    o annullamento della delibera condominiale del 2 agosto 2012.
    La Corte di Trento ha ritenuto che i motivi 8 e 9 di appello
    fossero inammissibili ex art. 342 c.p.c. Sostengono i ricorrenti
    che “gli argomenti in quella sede svolti, diversamente da
    quanto ritenuto dal secondo giudice, non sono astratti poiché si
    riferiscono, in generale, all’intera sentenza di primo grado”.
  2. Tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del sesto, possono
    essere esaminati congiuntamente, in quanto all’evidenza
    connessi, ed anzi del tutto interdipendenti, essendo basati su
    identiche considerazioni di diritto e di fatto.
    5.1. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, settimo ed
    ottavo del ricorso denotano diffusi comuni profili di
    inammissibilità: ciascuna censura è infatti strutturata nel senso
    di premettere una determinata parte del giudizio espresso nella
    sentenza impugnata e poi di individuarne l’errore mediante
    richiamo dei corrispondenti motivi di appello, che si assumono
    insoddisfatti dalla motivazione espressa in secondo grado.
    Non sussistono le ipotizzate molteplici violazioni dell’art. 132,
    n. 4, c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la
    sentenza della Corte d’appello di Trento contiene le
    argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le
    ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
    Non sussiste neppure alcuno degli altrettanto molteplici vizi
    ipotizzati di omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
    5, c.p.c., (come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno
    2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), giacché
    nessuna delle censure fa riferimento realmente ad un “fatto
    storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal
    testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
    costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
    decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato
    un esito diverso della controversia).
    Tutti i “fatti”, come tutte le “questioni” e le “domande”, poste
    dagli attori ed appellanti e richiamate in ricorso, risultano,
    invero, presi in considerazione dalla Corte d’appello, non
    essendo altrimenti significativo, ai fini della cassazione della
    sentenza, che la stessa non abbia dato conto di tutte le
    risultanze probatorie.
    Sono piuttosto i motivi di ricorso che, non osservando i
    requisiti imposti dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.,
    dimostrano di non considerare alcune argomentazioni decisorie
    essenziali della sentenza impugnata, quale, ad esempio, quella
    ivi contenuta a pagina 9, dove veniva detto che la natura di
    innovazione gravosa e/o voluttuaria non si attagliava al caso di
    specie, “posto che i lavori di coibentazione permettono a lungo
    termine un risparmio energetico che ripaga ampiamente la
    eventuale gravosità della spesa iniziale, peraltro in parte
    fiscalmente detraibile”.
    I sette motivi in esame sono, inoltre, fondati su tre delibere
    assembleari, il cui contenuto non viene specificato, come
    prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 4, C.p.C.
    Tutte queste censure sono poi essenzialmente rivolte a
    sovvertire gli accertamenti di fatto che sono a base della
    decisione della Corte di Trento e che costituiscono frutto
    dell’apprezzamento riservato ai giudici dei merito, auspicandosi
    inammissibilmente dalla Corte di cassazione un rinnovato
    accesso diretto agli atti ed una diversa valutazione inferenziale
    delle risultanze istruttorie.
  3. Si ha riguardo, per quanto accertato in fatto, ad un
    intervento di miglioramento dell’efficienza energetica del
    fabbricato condominiale consistente nella realizzazione di un
    isolamento termico delle superfici che interessano l’involucro
    dell’edificio (cosiddetto “cappotto termico”), nonché nella
    esecuzione delle collegate opere accessorie e di ripristino della
    facciata, intervento variamente agevolato normativamente
    anche sotto il profilo fiscale (si vedano indicativamente l’art.
    1120, comma 2, n. 2, c.c., come inserito dalla legge 11
    dicembre 2012, n. 220, e da ultimo l’art. 119, d.l. 19 maggio
    2020, n. 34, come sostituito dalla legge di conversione 17
    luglio 2020, n. 77 e poi modificato dal d.l. 14 agosto 2020, n.
    104, convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126).
    Parimenti è accertato in fatto che l’intervento di coibentazione
    era stato approvato con deliberazione approvata
    dall’assemblea del Condominio Beta il 20 giugno 2011, mentre
    poi le delibere del 10 aprile 2012 e del 2 agosto 2012,
    impugnate ex art. 1137 nel presente giudizio, avevano
    provveduto alla ripartizione delle spese per l’innovazione
    precedentemente deliberata.
    6.1. La Corte d’appello di Trento ha affermato che l’intervento
    oggetto di lite non potesse qualificarsi come “innovazione
    gravosa e/o voluttuaria”, ai sensi dell’art. 1121 c.c., i quanto i
    lavori di coibentazione eseguiti permettono un risparmio
    energetico che compensa l’investimento iniziale e producono
    un costo parzialmente detraibile fiscalmente.
    L’argomentazione dei giudici di merito è conforme
    all’interpretazione che questa Corte presceglie della norma
    indicata: si intendono innovazioni voluttuarie, per le quali è
    consentito al singolo condomino, ai sensi dell’art. 1121 c.c., di
    sottrarsi alla relativa spesa, quelle nuove opere che incidono
    sull’entità sostanziale o sulla destinazione della cosa comune
    che sono tuttavia prive di oggettiva utilità, mentre sono
    innovazioni gravose quelle caratterizzate da una notevole
    onerosità rispetto alle particolari condizioni e all’importanza
    dell’edificio, e ciò sulla base di un accertamento di fatto
    devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di
    legittimità se sorretto da motivazione congrua (Cass. Sez. 2,
    18/01/1984, n. 428; Cass. Sez. 2, 23/04/1981, n. 2408).
    In particolare, le innovazioni voluttuarie, consentite dal primo
    comma e vietate dal secondo comma dell’art. 1121 c.c., a
    seconda che consistano, o meno, in opere suscettibili di
    utilizzazione separata, sono quelle che, per la loro natura,
    estensione e modalità di realizzazione, esorbitino
    apprezzabilmente dai limiti della conservazione, del ripristino o
    del miglior godimento della cosa comune, per entrare nel
    campo del mero abbellimento e/o del superfluo (Cass. Sez. 2,
    08/06/1995, n. 6496).
    6.2. L’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 1121 c.c., nel
    caso in esame, discende altresì dall’essenziale considerazione
    che tale norma postula che il condomino che non voglia
    partecipare alle spese per una innovazione gravosa o
    voluttuaria, approfittando della eccezionale causa di esonero
    dalla obbligatorietà per tutti i partecipanti supposta dall’art.
    1137, comma 1, c.c., manifesti il suo dissenso in assemblea o
    con la tempestiva impugnazione della deliberazione (Cass. Sez.
    2, 17/04/1969, n. 1215 ), mentre la delibera del 20 giugno
    2011 che approvò il preventivo dell’impresa appaltatrice fu
    approvata all’unanimità e non fu impugnata.
    6.3. D’altro canto, la realizzazione di un “cappotto termico”
    sulle superfici esterne dell’edificio condominiale, in quanto
    volta a migliorare l’efficienza energetica dello stesso, non dà
    luogo ad opera che possa ritenersi suscettibile di utilizzazione
    separata, agli effetti dell’art. 1121, comma 1, c.c., né, una
    volta eseguita, configura una cosa che è destinata a servire i
    condomini in misura diversa, oppure solo una parte dell’intero
    fabbricato, sicché le relative spese possano intendersi da
    ripartire in proporzione dell’uso o da porre a carico del solo
    gruppo dei condomini che ne trae utilità.
    6.4. Gli artt. 1120 e 1121, da una parte, e 1123, dall’altra,
    riguardano fattispecie diverse: le prime due norme regolano il
    momento dell’approvazione collegiale delle opere di
    trasformazione che incidono sull’essenza della cosa comune,
    individuando i presupposti e i limiti del potere assembleare,
    mentre l’art. 1123 c.c. regola la ripartizione delle spese
    necessarie, oltre che per la conservazione ed il godimento delle
    parti comuni e per la prestazione dei servizi di interesse
    comune, anche proprio per le innovazioni validamente
    deliberate dalla maggioranza. Se l’innovazione che l’assemblea
    intende approvare è destinata a servire solo una parte
    dell’edificio condominiale, e perciò la relativa spesa deve far
    carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae
    utilità, lo stesso computo delle maggioranze indicate dall’art.
    1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini
    interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo (cfr.
    Cass. Sez. 2, 08/06/1995, n. 6496).
    6.5.11 “cappotto termico” da realizzare sulle facciate dell’edificio
    condominiale, al fine di migliorarne l’efficienza energetica, non
    è opera destinata all’utilità o al servizio esclusivo dei condomini
    titolari di unità immobiliare site nella parte non interrata del
    fabbricato, come sostengono i ricorrenti (proprietari di locali
    interrati serviti da autonomo ingresso).
    Le opere, gli impianti o manufatti che, come il “cappotto”
    sovrapposto sui muri esterni dell’edificio, sono finalizzati alla
    coibentazione del fabbricato in funzione di protezione dagli
    agenti termici, vanno ricompresi tra quelli destinati al
    vantaggio comune e goduti dall’intera collettività condominiale
    (art. 1117, n. 3, c.c.), inclusi i proprietari dei locali terranei, e
    non sono perciò riconducibili fra quelle parti suscettibili di
    destinazione al servizio dei condomini in misura diversa,
    ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui
    all’art. 1123, commi 2 e 3, c.c. Ne consegue che, ove la
    realizzazione del cappotto termico sia deliberata
    dall’assemblea, trova applicazione l’art. 1123, comma 1, c.c.,
    per il quale le spese sono sostenute da tutti i condomini in
    misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (arg.
    da Cass. Sez. 2, 25/09/2018, n. 22720; Cass. Sez. 2,
    15/02/2008, n. 3854; Cass. Sez. 2, 04/05/1999, n. 4403;
    Cass. Sez. 2, 17/03/1999, n. 2395; Cass. Sez. 2, 23/12/1992,
    n. 13655).
    6.7. Deve aggiungersi che, a differenza di quanto ritengono le
    censure, stando alla ricostruzione fattuale prescelta dalla Corte
    d’appello, è proprio la delibera del 20 giugno 2011 che
    assumeva valenza costitutiva dell’obbligo gravante sui
    ricorrenti per la contribuzione alle spese di coibentazione del
    fabbricato, in quanto le delibere del 10 aprile 2012 e del 2
    agosto 2012 avevano unicamente ripartito le relative spese.
    La dottrina ravvisa un duplice oggetto della deliberazione
    assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione delle
    parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che
    l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in
    quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini,
    con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal
    valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può
    fare della cosa.
    Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si
    tratti di innovazioni o di lavori di manutenzione straordinaria,
    ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle
    relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di
    ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve
    solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già
    preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo
    stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da
    Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2,
    03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452;
    Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).
    6.8. A proposito del quinto motivo, basta specificare che una
    delibera che disponga una innovazione diretta al miglioramento
    dell’efficienza energetica del fabbricato non deve essere volta
    necessariamente anche al “miglioramento del decoro
    architettonico” della facciata, essendo, ai contrario, l’eventuale
    alterazione del decoro architettonico un limite imposto alla
    legittimità della innovazione (art. 1120, ultimo comma, c.c.).
    6.9. A fronte degli enunciati principi, tutti i motivi di ricorso in
    esame risultano privi di concreta idoneità a determinare la
    cassazione della sentenza impugnata.
    Anche l’omessa motivazione e gli errores in procedendo dedotti
    nell’ottavo motivo di ricorso, con riguardo ai punti 8 e 9
    dell’appello, sono irrilevanti, in quanto i giudici del merito sono
    comunque pervenuti ad un’esatta soluzione del problema
    giuridico sottoposto al loro esame (Cass. Sez. U, 02/02/2017,
    n. 2731).
  4. Il sesto motivo di ricorso è, infine, manifestamente
    infondato, pur dovendo al riguardo correggersi la motivazione
    della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto sussistente “la
    legittimazione del Condominio a rivalersi sul condomino
    inadempiente ex art. 1203 c.c.”.
    7.1. Il sesto motivo di ricorso trascura l’oggettiva diversità del
    fondamento dell’obbligazione dei condomini ricorrenti di
    contribuire alle spese condominiali derivanti dall’innovazione
    approvata dall’assemblea del Condominio Beta (obbligazione di
    cui, in realtà, si discute in questo giudizio) con l’obbligazione
    che invece lega il medesimo Condominio all’impresa Postai
    esecutrice dei lavori, invocando la fattispecie e gli effetti
    dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. sul presupposto
    che gli altri condomini avevano provveduto al pagamento del
    corrispettivo in favore dell’appaltatrice.
    7.2. Secondo consolidata interpretazione giurisprudenziale (si
    veda indicativamente Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148), il
    credito che il terzo creditore, in forza di contratto concluso
    dall’amministratore nell’ambito delle sue attribuzioni, può far
    valere anche direttamente nei confronti del singolo condomino,
    in proporzione della rispettiva quota millesimale, è cosa
    giuridicamente diversa (seppur economicamente coincidente)
    rispetto al credito per la riscossione dei contributi condominiali
    che può far valere l’amministratore di condominio. Il primo
    credito ha, invero, natura di prestazione sinallagmatica e trova
    causa nel rapporto contrattuale col terzo approvato
    dall’assemblea e concluso dall’amministratore in
    rappresentanza di tutti i partecipanti al condominio. L’obbligo
    di pagamento degli oneri condominiali da parte del singolo
    partecipante ha, per contro, causa immediata nella disciplina
    del condominio, e cioè nelle norme di cui agli artt. 1118 e 1123
    ss. c.c., che fondano il regime di contribuzione alle spese per le
    cose comuni.
    Questa Corte ha già affermato che l’obbligo del singolo
    partecipante di pagare al condominio le spese dovute e le
    vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o
    fornitori rimangono del tutto indipendenti, tant’è che il
    condomino non può ritardare il pagamento delle rate di spesa
    in attesa dell’evolvere delle relazioni contrattuali tra
    condominio e soggetti creditori di quest’ultimo, né può
    utilmente opporre all’amministratore che il pagamento sia stato
    da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si è detto, ciò
    altererebbe la gestione complessiva del condominio: sicché il
    singolo deve sempre e comunque pagare all’amministratore,
    salva l’insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito
    da rimborso per gli avanzi di cassa residuati (Cass. Sez. 2,
    29/01/2013, n. 2049).
    E’ stato anche detto che, ponendosi il condominio, nei confronti
    dei terzi, come “soggetto di gestione” dei diritti e degli obblighi
    dei singoli condomini attinenti alle parti comuni,
    l’amministratore di esso assume la qualità di necessario
    rappresentante della collettività dei condomini, e ciò sia nella
    fase di assunzione degli obblighi verso i terzi per la
    conservazione delle cose comuni, sia, all’interno della
    medesima collettività condominiale, in quanto unico referente
    dei pagamenti ad essi relativi; con la conclusione che il
    pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del
    creditore del condominio non sarebbe comunque idoneo ad
    estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai
    contributi ex art. 1123 c.c. (Cass. Sez. – 2, 17/02/2014, n.
    3636).
    Appare dunque evidente in giurisprudenza la diversità tra le
    attribuzioni dell’assemblea a ripartire le spese e
    dell’amministratore a riscuotere i contributi condominiali (artt.
    1135, 1130 n. 3 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c.), e la
    pretesa di pagamento del corrispettivo contrattuale spettante
    al terzo creditore verso il singolo condomino sul presupposto
    della riferibilità diretta dei debiti condominiali ai singoli membri
    del gruppo.
    Ciò esclude ogni interferenza sul presente giudizio delle
    vicende inerenti al contratto d’appalto concluso con la Postai
    EICO s.r.I., e smentisce ogni dubbio sulla legittimazione del
    Condominio Beta a ripartire e riscuotere i contributi dovuti dai
    ricorrenti.
    E’, cioè, cosa estranea a quella oggetto della presente lite la
    qualificazione della pretesa spettante semmai al condomino, il
    quale abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai
    morosi e voglia poi ottenere da costoro il rimborso di quanto
    da loro (su questo cfr. Cass. Sez. 2, del 20/05/2019, n.
    13505).
  5. Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati
    in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio
    di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.
    Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai
    sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002,
    n. 115 – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo
    di contributo unificato pari a quello previsto per
    l’impugnazione, se dovuto.
    P. Q. M.
    La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a
    rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di
    cassazione, che liquida in complessivi C 2.500,00, di cui C
    200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di
    legge.
    Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002,
    dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
    versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a
    titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
    principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13,
    se dovuto.
    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
    sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 febbraio
    2021.

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