ORDINANZA
sul ricorso 12635-2016 proposto da:
MAGELLI RENATO, MAGELLI S.N.C. DI NIAGELLI SERGIO & C,
MAGELLI SERGIO, CASOTTI INES, gAsum ELISABETTA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15,
presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO
BEVILACQUA;
- ricorrenti –
contro
CONDOMINIO BETA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
DI VILLA MASSIMO, 21, presso lo studio dell’avvocato
ULDERICO CAPOCASALE, rappresentato e difeso dall’avvocato
DOMENICO LARATTA; - controrícorrente
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10371 Anno 2021
Presidente: DI VIRGILIO ROSA MARIA
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 20/04/2021
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
avverso la sentenza n. 362/2015 della CORTE D’APPELLO di
TRENTO, depositata il 13/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 02/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONE DELLA DECISIONE
- Sergio Magelli, Renato Magelli, Ines Casotti, Elisabetta Costa
e la Magelli s.n.c. di Magelli Sergio & c. hanno proposto ricorso
articolato in otto motivi avverso la sentenza della Corte
d’appello di Trento n. 362/2015, pubblicata in data 13
novembre 2015,.
Resiste con controricorso il Condominio Beta, via Clarina 14-
16, Trento.
2.La Corte d’appello ha confermato lai sentenza 20 maggio
2014 del Tribunale di Trento, con la quale vennero respinte
tutte le domande proposte da Sergio Magelli, Renato Magelli,
Ines Casotti, Elisabetta Costa e la Magelli s.n.c. di Magelli
Sergio & c. in due distinti giudizi, poi riuniti, instaurati il 10
maggio 2012 ed il 29 agosto 2012 nei confronti del Condominio
Beta, via Clarina 14-16, Trento. Le domande attenevano
all’impugnazione di due deliberazioni assembleari del 10 aprile
2012 e del 2 agosto 2012, con cui erano state ripartite fra i
condomini le spese straordinarie sostenute per la coibentazione
dell’immobile condominiale (accollando agli attori l’importo pari
ad C 13.648.42), all’accertamento dell’avvenuto pagamento ad
opera di terzi e dell’indebita pretesa di contribuzione da parte
del condominio, nonché alla restituzione di quanto già
corrisposto a seguito di intimazione di decreto ingiuntivo.
3.La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di
consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
4.Gli otto motivi di ricorso recano in rubrica soltanto un rinvio
alla parte della sentenza impugnata che ha rispettivamente
rigettato i nove motivi di appello, nonché un sistematico
riferimento ai numeri 3, 4, e 5 dell’art. 360 c.p.c.
4.1. Il primo motivo del ricorso di Sergio Magelli, Renato
Magelli, Ines Casotti, Elisabetta Costa e della Magelli s.n.c. si
riferisce alla parte della sentenza impugnata in cui si è
affermato che “l’onere della prova circa la natura di
innovazione gravosa e voluttuaria incombeva sulla parte
odierna appellante attrice in primo grado”. Nel corso della
esposizione della censura si adduce l’omesso esame di fatti
decisivi, la violazione ejo falsa applicazione dell’art. 1121 c.c. e
l’omessa motivazione. Si assume dai ricorrenti che i lavori
eseguiti per la realizzazione del cappotto di coibentazione
consistevano in innovazioni gravose e voluttuarie, le cui spese
dovevano ripartirsi ai sensi dell’art. 1121 c.c. La Corte
d’appello avrebbe altresì omesso di esaminare la “separata
utilizzabilità” dell’opera, agli effetti dell’art. 1121, comma 2,
c.c. I lavori di coibentazione non avrebbero riguardato i piani
interrati, di cui sono titolari i ricorrenti.
4.2. Il secondo motivo di ricorso censura la parte della
sentenza della Corte di Trento che ha affermato che l’obbligo
degli appellanti di partecipare alle spese sostenute per la
coibentazione del fabbricato discendesse dalla delibera di
approvazione delle opere del 20 giugno 2011, non impugnata,
non avendo quindi rilievo le delibere del 10 aprile 2012 e del 2
agosto 2012, le quali avevano unicamente ripartito le spese
derivanti da quelle opere. Questa censura sostiene che i
ricorrenti non avessero interesse ad impugnare la delibera del
20 giugno 2011, in quanto, quali proprietari dei magazzini
interrati, essi non erano titolari di diritti reali su nessuna delle
unità immobiliari beneficiate dalla coilDentazione: riguardo a
tale delibera, si dice che “non imputava loro alcuna spesa,
limitandosi ad approvare, quale presupposto necessario per la
loro esecuzione, i lavori di installazione del cappotto”. La Corte
d’appello avrebbe omesso di esaminare la “godibilità in misura
diversa della coibentazione” e la “natura delle spese de
quibus”, e così pure violato e/o falsamente applicato l’art. 1123
c.c.
4.3. Il terzo motivo di ricorso si riferisce alla parte della
sentenza impugnata ove è stato affermato che fosse onere
degli attori provare “una eventuale autonomia strutturale dei
locali di proprietà rispetto al corpo condominiale”. Si
contrappone dai ricorrenti che essi avevano provato che i locali
loro appartenenti non beneficiavano della coibentazione.
4.4. Il quarto motivo di ricorso attiene alla parte della sentenza
inerente al motivo di gravame sulla non appartenenza agli
attori di diritti in ordine ai tredici appartamenti, in quanto
titolari di unità immobiliari interrate. La Corte di Trento ha
affermato che non era stato allegato né provato che i locali
degli appellanti fossero strutturalmente autonomi rispetto al
corpo condominiale. I ricorrenti oppongono di aver
“documentalmente provato (…) che i locali de quibus sono
strutturalmente autonomi e che non beneficiano – non potendo
beneficiarne né potenzialmente né effettivamente – della
coibentazione”.
4.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta che la Corte d’appello,
trattandosi di “interventi sui muri perimetrali” di “tinteggiatura,
conseguente all’applicazione del cd. cappotto e
riposizionamento delle grondaie”, e dunque di “spese
comunque comuni a tutti i condomini”, non abbia considerato
la mancata dimostrazione di un “miglioramento del decoro
architettonico di cui avrebbe beneficiato la facciata
dell’edificio”, miglioramento, anzi, smentito dalle risultanze
istruttorie.
4.6. Il sesto motivo di ricorso censura ia parte della sentenza
che ha ritenuto non applicabile l’art. 1180 c.c., essendo state
pagate le fatture della impresa Postai direttamente dal
Condominio (per godere dei benefici fiscali connessi
all’esecuzione dei lavori finalizzati al risparmio energetico) e
non dai singoli condomini pro quota, e perciò sussistendo la
legittimazione dello stesso Condominio ex art. 1203 n. 3 c.c.
ad esigere il pagamento di tali importi dai morosi. La
complessa censura contenuta nel sesto motivo sostiene che
“l’obbligazione condominiale, sia essa interna o esterna, ha
natura parziaria e concerne il rapporto Fra ciascun condomino
ed il suo creditore”. Nel caso di specie, gli altri condomini,
soggetti terzi, avrebbero adempiuto all’obbligazione
arbitrariamente imputata ai ricorrenti, senza peraltro
surrogarsi nei diritti del creditore, con tutte le conseguenze di
cui all’art. 1180 c.c. Si critica pure l’affermazione della Corte
d’appello che ravvisa altrimenti una “donazione indiretta” priva
di causa compiuta dal condominio.
4.7. Il settimo motivo di ricorso si riferisce alla parte della
sentenza che avrebbe omesso ogni motivazione in ordine alla
domanda, formulata in via su subrdinata, correlata
all’accertamento che la somma di C 13.517,48 non fosse
dovuta perché mai approvata dall’assemblea condominiale. La
Corte di Trento aveva spiegato che tali spese trovavano il loro
fondamento nella delibera del 20 giugno 2011, la quale aveva
approvato il preventivo delle spese di coibentazione. Sul punto
i ricorrenti ritengono “sufficiente richiamare quanto già sopra
dedotto”.
4.8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa
motivazione in relazione alla domanda di declaratoria di nullità
o annullamento della delibera condominiale del 2 agosto 2012.
La Corte di Trento ha ritenuto che i motivi 8 e 9 di appello
fossero inammissibili ex art. 342 c.p.c. Sostengono i ricorrenti
che “gli argomenti in quella sede svolti, diversamente da
quanto ritenuto dal secondo giudice, non sono astratti poiché si
riferiscono, in generale, all’intera sentenza di primo grado”. - Tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del sesto, possono
essere esaminati congiuntamente, in quanto all’evidenza
connessi, ed anzi del tutto interdipendenti, essendo basati su
identiche considerazioni di diritto e di fatto.
5.1. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, settimo ed
ottavo del ricorso denotano diffusi comuni profili di
inammissibilità: ciascuna censura è infatti strutturata nel senso
di premettere una determinata parte del giudizio espresso nella
sentenza impugnata e poi di individuarne l’errore mediante
richiamo dei corrispondenti motivi di appello, che si assumono
insoddisfatti dalla motivazione espressa in secondo grado.
Non sussistono le ipotizzate molteplici violazioni dell’art. 132,
n. 4, c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la
sentenza della Corte d’appello di Trento contiene le
argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le
ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
Non sussiste neppure alcuno degli altrettanto molteplici vizi
ipotizzati di omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
5, c.p.c., (come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno
2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), giacché
nessuna delle censure fa riferimento realmente ad un “fatto
storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal
testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato
un esito diverso della controversia).
Tutti i “fatti”, come tutte le “questioni” e le “domande”, poste
dagli attori ed appellanti e richiamate in ricorso, risultano,
invero, presi in considerazione dalla Corte d’appello, non
essendo altrimenti significativo, ai fini della cassazione della
sentenza, che la stessa non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie.
Sono piuttosto i motivi di ricorso che, non osservando i
requisiti imposti dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.,
dimostrano di non considerare alcune argomentazioni decisorie
essenziali della sentenza impugnata, quale, ad esempio, quella
ivi contenuta a pagina 9, dove veniva detto che la natura di
innovazione gravosa e/o voluttuaria non si attagliava al caso di
specie, “posto che i lavori di coibentazione permettono a lungo
termine un risparmio energetico che ripaga ampiamente la
eventuale gravosità della spesa iniziale, peraltro in parte
fiscalmente detraibile”.
I sette motivi in esame sono, inoltre, fondati su tre delibere
assembleari, il cui contenuto non viene specificato, come
prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 4, C.p.C.
Tutte queste censure sono poi essenzialmente rivolte a
sovvertire gli accertamenti di fatto che sono a base della
decisione della Corte di Trento e che costituiscono frutto
dell’apprezzamento riservato ai giudici dei merito, auspicandosi
inammissibilmente dalla Corte di cassazione un rinnovato
accesso diretto agli atti ed una diversa valutazione inferenziale
delle risultanze istruttorie. - Si ha riguardo, per quanto accertato in fatto, ad un
intervento di miglioramento dell’efficienza energetica del
fabbricato condominiale consistente nella realizzazione di un
isolamento termico delle superfici che interessano l’involucro
dell’edificio (cosiddetto “cappotto termico”), nonché nella
esecuzione delle collegate opere accessorie e di ripristino della
facciata, intervento variamente agevolato normativamente
anche sotto il profilo fiscale (si vedano indicativamente l’art.
1120, comma 2, n. 2, c.c., come inserito dalla legge 11
dicembre 2012, n. 220, e da ultimo l’art. 119, d.l. 19 maggio
2020, n. 34, come sostituito dalla legge di conversione 17
luglio 2020, n. 77 e poi modificato dal d.l. 14 agosto 2020, n.
104, convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126).
Parimenti è accertato in fatto che l’intervento di coibentazione
era stato approvato con deliberazione approvata
dall’assemblea del Condominio Beta il 20 giugno 2011, mentre
poi le delibere del 10 aprile 2012 e del 2 agosto 2012,
impugnate ex art. 1137 nel presente giudizio, avevano
provveduto alla ripartizione delle spese per l’innovazione
precedentemente deliberata.
6.1. La Corte d’appello di Trento ha affermato che l’intervento
oggetto di lite non potesse qualificarsi come “innovazione
gravosa e/o voluttuaria”, ai sensi dell’art. 1121 c.c., i quanto i
lavori di coibentazione eseguiti permettono un risparmio
energetico che compensa l’investimento iniziale e producono
un costo parzialmente detraibile fiscalmente.
L’argomentazione dei giudici di merito è conforme
all’interpretazione che questa Corte presceglie della norma
indicata: si intendono innovazioni voluttuarie, per le quali è
consentito al singolo condomino, ai sensi dell’art. 1121 c.c., di
sottrarsi alla relativa spesa, quelle nuove opere che incidono
sull’entità sostanziale o sulla destinazione della cosa comune
che sono tuttavia prive di oggettiva utilità, mentre sono
innovazioni gravose quelle caratterizzate da una notevole
onerosità rispetto alle particolari condizioni e all’importanza
dell’edificio, e ciò sulla base di un accertamento di fatto
devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di
legittimità se sorretto da motivazione congrua (Cass. Sez. 2,
18/01/1984, n. 428; Cass. Sez. 2, 23/04/1981, n. 2408).
In particolare, le innovazioni voluttuarie, consentite dal primo
comma e vietate dal secondo comma dell’art. 1121 c.c., a
seconda che consistano, o meno, in opere suscettibili di
utilizzazione separata, sono quelle che, per la loro natura,
estensione e modalità di realizzazione, esorbitino
apprezzabilmente dai limiti della conservazione, del ripristino o
del miglior godimento della cosa comune, per entrare nel
campo del mero abbellimento e/o del superfluo (Cass. Sez. 2,
08/06/1995, n. 6496).
6.2. L’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 1121 c.c., nel
caso in esame, discende altresì dall’essenziale considerazione
che tale norma postula che il condomino che non voglia
partecipare alle spese per una innovazione gravosa o
voluttuaria, approfittando della eccezionale causa di esonero
dalla obbligatorietà per tutti i partecipanti supposta dall’art.
1137, comma 1, c.c., manifesti il suo dissenso in assemblea o
con la tempestiva impugnazione della deliberazione (Cass. Sez.
2, 17/04/1969, n. 1215 ), mentre la delibera del 20 giugno
2011 che approvò il preventivo dell’impresa appaltatrice fu
approvata all’unanimità e non fu impugnata.
6.3. D’altro canto, la realizzazione di un “cappotto termico”
sulle superfici esterne dell’edificio condominiale, in quanto
volta a migliorare l’efficienza energetica dello stesso, non dà
luogo ad opera che possa ritenersi suscettibile di utilizzazione
separata, agli effetti dell’art. 1121, comma 1, c.c., né, una
volta eseguita, configura una cosa che è destinata a servire i
condomini in misura diversa, oppure solo una parte dell’intero
fabbricato, sicché le relative spese possano intendersi da
ripartire in proporzione dell’uso o da porre a carico del solo
gruppo dei condomini che ne trae utilità.
6.4. Gli artt. 1120 e 1121, da una parte, e 1123, dall’altra,
riguardano fattispecie diverse: le prime due norme regolano il
momento dell’approvazione collegiale delle opere di
trasformazione che incidono sull’essenza della cosa comune,
individuando i presupposti e i limiti del potere assembleare,
mentre l’art. 1123 c.c. regola la ripartizione delle spese
necessarie, oltre che per la conservazione ed il godimento delle
parti comuni e per la prestazione dei servizi di interesse
comune, anche proprio per le innovazioni validamente
deliberate dalla maggioranza. Se l’innovazione che l’assemblea
intende approvare è destinata a servire solo una parte
dell’edificio condominiale, e perciò la relativa spesa deve far
carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae
utilità, lo stesso computo delle maggioranze indicate dall’art.
1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini
interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo (cfr.
Cass. Sez. 2, 08/06/1995, n. 6496).
6.5.11 “cappotto termico” da realizzare sulle facciate dell’edificio
condominiale, al fine di migliorarne l’efficienza energetica, non
è opera destinata all’utilità o al servizio esclusivo dei condomini
titolari di unità immobiliare site nella parte non interrata del
fabbricato, come sostengono i ricorrenti (proprietari di locali
interrati serviti da autonomo ingresso).
Le opere, gli impianti o manufatti che, come il “cappotto”
sovrapposto sui muri esterni dell’edificio, sono finalizzati alla
coibentazione del fabbricato in funzione di protezione dagli
agenti termici, vanno ricompresi tra quelli destinati al
vantaggio comune e goduti dall’intera collettività condominiale
(art. 1117, n. 3, c.c.), inclusi i proprietari dei locali terranei, e
non sono perciò riconducibili fra quelle parti suscettibili di
destinazione al servizio dei condomini in misura diversa,
ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui
all’art. 1123, commi 2 e 3, c.c. Ne consegue che, ove la
realizzazione del cappotto termico sia deliberata
dall’assemblea, trova applicazione l’art. 1123, comma 1, c.c.,
per il quale le spese sono sostenute da tutti i condomini in
misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (arg.
da Cass. Sez. 2, 25/09/2018, n. 22720; Cass. Sez. 2,
15/02/2008, n. 3854; Cass. Sez. 2, 04/05/1999, n. 4403;
Cass. Sez. 2, 17/03/1999, n. 2395; Cass. Sez. 2, 23/12/1992,
n. 13655).
6.7. Deve aggiungersi che, a differenza di quanto ritengono le
censure, stando alla ricostruzione fattuale prescelta dalla Corte
d’appello, è proprio la delibera del 20 giugno 2011 che
assumeva valenza costitutiva dell’obbligo gravante sui
ricorrenti per la contribuzione alle spese di coibentazione del
fabbricato, in quanto le delibere del 10 aprile 2012 e del 2
agosto 2012 avevano unicamente ripartito le relative spese.
La dottrina ravvisa un duplice oggetto della deliberazione
assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione delle
parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che
l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in
quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini,
con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal
valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può
fare della cosa.
Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si
tratti di innovazioni o di lavori di manutenzione straordinaria,
ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle
relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di
ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve
solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già
preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo
stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da
Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2,
03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452;
Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).
6.8. A proposito del quinto motivo, basta specificare che una
delibera che disponga una innovazione diretta al miglioramento
dell’efficienza energetica del fabbricato non deve essere volta
necessariamente anche al “miglioramento del decoro
architettonico” della facciata, essendo, ai contrario, l’eventuale
alterazione del decoro architettonico un limite imposto alla
legittimità della innovazione (art. 1120, ultimo comma, c.c.).
6.9. A fronte degli enunciati principi, tutti i motivi di ricorso in
esame risultano privi di concreta idoneità a determinare la
cassazione della sentenza impugnata.
Anche l’omessa motivazione e gli errores in procedendo dedotti
nell’ottavo motivo di ricorso, con riguardo ai punti 8 e 9
dell’appello, sono irrilevanti, in quanto i giudici del merito sono
comunque pervenuti ad un’esatta soluzione del problema
giuridico sottoposto al loro esame (Cass. Sez. U, 02/02/2017,
n. 2731). - Il sesto motivo di ricorso è, infine, manifestamente
infondato, pur dovendo al riguardo correggersi la motivazione
della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto sussistente “la
legittimazione del Condominio a rivalersi sul condomino
inadempiente ex art. 1203 c.c.”.
7.1. Il sesto motivo di ricorso trascura l’oggettiva diversità del
fondamento dell’obbligazione dei condomini ricorrenti di
contribuire alle spese condominiali derivanti dall’innovazione
approvata dall’assemblea del Condominio Beta (obbligazione di
cui, in realtà, si discute in questo giudizio) con l’obbligazione
che invece lega il medesimo Condominio all’impresa Postai
esecutrice dei lavori, invocando la fattispecie e gli effetti
dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. sul presupposto
che gli altri condomini avevano provveduto al pagamento del
corrispettivo in favore dell’appaltatrice.
7.2. Secondo consolidata interpretazione giurisprudenziale (si
veda indicativamente Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148), il
credito che il terzo creditore, in forza di contratto concluso
dall’amministratore nell’ambito delle sue attribuzioni, può far
valere anche direttamente nei confronti del singolo condomino,
in proporzione della rispettiva quota millesimale, è cosa
giuridicamente diversa (seppur economicamente coincidente)
rispetto al credito per la riscossione dei contributi condominiali
che può far valere l’amministratore di condominio. Il primo
credito ha, invero, natura di prestazione sinallagmatica e trova
causa nel rapporto contrattuale col terzo approvato
dall’assemblea e concluso dall’amministratore in
rappresentanza di tutti i partecipanti al condominio. L’obbligo
di pagamento degli oneri condominiali da parte del singolo
partecipante ha, per contro, causa immediata nella disciplina
del condominio, e cioè nelle norme di cui agli artt. 1118 e 1123
ss. c.c., che fondano il regime di contribuzione alle spese per le
cose comuni.
Questa Corte ha già affermato che l’obbligo del singolo
partecipante di pagare al condominio le spese dovute e le
vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o
fornitori rimangono del tutto indipendenti, tant’è che il
condomino non può ritardare il pagamento delle rate di spesa
in attesa dell’evolvere delle relazioni contrattuali tra
condominio e soggetti creditori di quest’ultimo, né può
utilmente opporre all’amministratore che il pagamento sia stato
da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si è detto, ciò
altererebbe la gestione complessiva del condominio: sicché il
singolo deve sempre e comunque pagare all’amministratore,
salva l’insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito
da rimborso per gli avanzi di cassa residuati (Cass. Sez. 2,
29/01/2013, n. 2049).
E’ stato anche detto che, ponendosi il condominio, nei confronti
dei terzi, come “soggetto di gestione” dei diritti e degli obblighi
dei singoli condomini attinenti alle parti comuni,
l’amministratore di esso assume la qualità di necessario
rappresentante della collettività dei condomini, e ciò sia nella
fase di assunzione degli obblighi verso i terzi per la
conservazione delle cose comuni, sia, all’interno della
medesima collettività condominiale, in quanto unico referente
dei pagamenti ad essi relativi; con la conclusione che il
pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del
creditore del condominio non sarebbe comunque idoneo ad
estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai
contributi ex art. 1123 c.c. (Cass. Sez. – 2, 17/02/2014, n.
3636).
Appare dunque evidente in giurisprudenza la diversità tra le
attribuzioni dell’assemblea a ripartire le spese e
dell’amministratore a riscuotere i contributi condominiali (artt.
1135, 1130 n. 3 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c.), e la
pretesa di pagamento del corrispettivo contrattuale spettante
al terzo creditore verso il singolo condomino sul presupposto
della riferibilità diretta dei debiti condominiali ai singoli membri
del gruppo.
Ciò esclude ogni interferenza sul presente giudizio delle
vicende inerenti al contratto d’appalto concluso con la Postai
EICO s.r.I., e smentisce ogni dubbio sulla legittimazione del
Condominio Beta a ripartire e riscuotere i contributi dovuti dai
ricorrenti.
E’, cioè, cosa estranea a quella oggetto della presente lite la
qualificazione della pretesa spettante semmai al condomino, il
quale abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai
morosi e voglia poi ottenere da costoro il rimborso di quanto
da loro (su questo cfr. Cass. Sez. 2, del 20/05/2019, n.
13505). - Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati
in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio
di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai
sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per
l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a
rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di
cassazione, che liquida in complessivi C 2.500,00, di cui C
200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 febbraio
2021.