Istituto di Conciliazione e Alta Formazione
Cerca
Close this search box.

04.08.2020 – Castrovillare – Prato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CASTROVILLARI
SEZIONE CIVILE
 

in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Matteo Prato, ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 

nella causa civile, in secondo grado, iscritta al n. OMISSIS del R.G. omissis (avente ad oggetto appello avverso la sentenza n. 14/17, resa dal Giudice di Pace di Rossano il 5.9.2016 e depositata in data 13.2.2017), promossa da:
BANCA – appellante –

contro

CORRENTISTA – appellata –
CONCLUSIONI: come da verbale d’udienza del 19.5.2020, da intendersi qui integralmente riportate e trascritte.
 

FATTO E DIRITTO
 

Si premette che la parte relativa allo svolgimento del processo viene omessa alla luce del nuovo testo dell’art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. (come riformulato dall’art. 45, comma 17 della L. 69 del 2009) nel quale non è più indicata, fra il contenuto della sentenza, la “esposizione dello svolgimento del processo”, bensì “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, dovendosi dare, altresì, applicazione al novellato art. 118, 1° comma, disp. attuaz. c.p.c., ai sensi del quale “la motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi.”

Con atto di citazione in primo grado ritualmente notificato, CORRENTISTA adiva l’ufficio del Giudice di Pace di Cariati (nelle more accorpato a quello di Rossano Calabro), assumendo nell’ordine che: – quale titolare del rapporto di c.c. n. OMISSIS, acceso presso la Banca, in data 11.1.2011, dopo aver effettuato un prelievo presso il relativo sportello Bancomat, dimenticava di ritirare la carta; – resasi conto di tanto, dopo circa mezz’ora faceva ritorno allo sportello senza tuttavia rinvenire la carta, sicché faceva ingresso all’interno dei locali della banca richiedendo il numero della stessa onde attivare la relativa procedura di blocco; – l’operatore di cassa comunicava il numero di carta ———– e la CORRENTISTA provvedeva alla disattivazione della stessa ed alla denuncia di smarrimento presso la locale caserma dei Carabinieri; – dopo circa un mese (ossia l’11.2.2011), veniva resa edotta dalla Banca dell’esistenza di una scopertura sul conto corrente sopra richiamato, in virtù di alcune transazioni effettuate con la carta n. OMISSIS nel periodo compreso tra l’11.1.2011 ed il 10.2.2011, per complessivi € 3.771,29; – richiesti gli opportuni chiarimenti, veniva a conoscenza di essere titolare di due distinte carte e che la carta effettivamente smarrita era non già la n. OMISSIS, ma la n. ———
Ritenendo che la responsabilità dei prelievi effettuati in proprio danno da ignoti fosse da ascrivere ex art. 2043 e 2049 c.c. alla Banca convenuta in ragione della condotta negligente ed imperita del proprio operatore di cassa – il quale aveva colpevolmente omesso di comunicare l’esistenza delle due carte di credito intestate all’attrice, così precludendo a quest’ultima la possibilità di bloccare la carta in questione – concludeva invocando l’integrale ristoro del pregiudizio patrimoniale e morale asseritamente patito (quantificato in complessivi € 5.000,00), con vittoria di spese e competenze di lite da distrarsi ex art. 93 c.p.c.. 

Instaurato il contraddittorio, con comparsa di risposta depositata in cancelleria il 14.7.2014 si costituiva in giudizio Banca, la quale – in via preliminare – eccepiva l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di mediazione. Quanto al merito, contestava in fatto ed in diritto le avverse prospettazioni e conclusioni, rilevando l’infondatezza della pretesa risarcitoria azionata dall’attrice, di cui invocava l’integrale rigetto, con il favore degli onorari di causa. Il giudizio veniva istruito a mezzo produzione documentale ed espletamento di prova per testi.

Con sentenza n. 14/17, resa il 5.9.2016 e depositata in data 13.2.2017, il Giudice di Pace di Rossano accoglieva parzialmente la domanda attorea, così condannando la società convenuta al pagamento della somma di € 3.288,36, oltre spese di lite.

Tanto premesso, con il presente gravame l’appellante in epigrafe assumeva l’erroneità della sentenza appellata e la lacunosità ed incongruenza del relativo ordito motivazionale – di cui invocava l’integrale riforma, con restituzione di quanto corrisposto a controparte in esecuzione della pronuncia di prime cure e vittoria di spese e competenze di lite relative ad entrambi i gradi di giudizio – reiterando le eccezioni e deduzioni già illustrate in primo grado, e rilevando come il Giudice di prime cure non avrebbe fatto buon governo delle risultanze istruttorie.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria il 14.11.2017, si costituiva nel presente giudizio CORRENTISTA, la quale illustrava le doglianze già ampiamente rappresentate innanzi al Giudice di prime cure e concludeva per il rigetto dell’appello, con vittoria di spese e competenze del presente grado di giudizio, da distrarsi a beneficio del procuratore dichiaratosi anticipatario.

Acquisto il fascicolo di primo grado, all’udienza del 19.5.2020, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. (40+20) per il deposito di scritti

difensivi conclusionali.
 

1. È noto come l’appello – rientrando nel novero delle impugnazioni cd. sostitutive e parzialmente devolutive – comporti che il giudice del gravame, nei limiti dei capi sottoposti a censura attraverso l’enunciazione di specifici motivi di appello, non sia astretto alla motivazione espressa dal giudice di prime cure ma, essendo investito dell’esame della fondatezza della domanda, sulla scorta degli elementi di prova già acquisiti nel giudizio di primo grado, possa pervenire alla riforma ovvero alla conferma (totale o parziale) della sentenza impugnata, anche in virtù di argomentazioni del tutto difformi rispetto a quelle poste a fondamento della pronuncia sottoposta a gravame, ovvero enunciando le motivazioni della decisione, laddove il giudice di prime cure non le abbia indicate.

2. Sempre in via preliminare par d’uopo, poi, evidenziare come con la recente sentenza n. 8473 del 27.3.2019, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione abbia affrontato e risolto una importante questione giuridica ovvero se nel procedimento di mediazione – il cui preventivo esperimento è previsto obbligatoriamente, a pena di improcedibilità, per le controversie nelle materie indicate dal D.lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis – la parte che propone la mediazione sia tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore, affinché il tentativo si possa ritenere compiuto, a pena di improcedibilità dell’azione proposta senza previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, o se la stessa possa – e in che modo – farsi sostituire. Nel premettere come il successo dell’attività di mediazione sia riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi ed a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l’acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali, il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, così imponendo alle stesse (o meglio, alla parte che intende agire in giudizio) questo impegno preliminare mediante il quale si confida di poter evitare (alle parti, e allo Stato più in generale) un buon numero di controversie, ben più onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria. Ed infatti, l’art. 8 prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati.

Ebbene, nella sopra richiamata pronuncia, la Corte di Cassazione ha chiarito che “la previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizioni di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato. Tuttavia, la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri. Non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore.

Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche – ma non solo – dal suo difensore. Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84).

Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale. Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione – in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge – non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale. Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista. La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre”.

3. Ciò premesso, venendo all’esame della fattispecie oggetto di scrutinio nel presente procedimento, giova registrare come dalle risultanze del verbale di mancata conciliazione del 23.4.2015 (disposta dal primo Giudice con ordinanza resa il 28.1.2015) risulti che l’attrice (odierna appellata) non sia comparsa personalmente innanzi all’organismo di mediazione adito, tant’è che in calce al predetto verbale risulta apposta unicamente la sottoscrizione del proprio difensore (oltre che del procuratore di controparte e del mediatore). Né, d’altro canto, è stata data prova del fatto che l’avvocato OMISSIS – ivi comparso per conto della propria cliente “giusta procura in calce all’atto di citazione” – fosse munito di procura speciale sostanziale che gli attribuisse la rappresentanza sostanziale della parte per come chiarito dalla sopra richiamata sentenza della Cassazione (significativo, al riguardo, è il rimando alla semplice procura alle liti del procedimento di prime cure, avente valore meramente processuale). Da tale complessivo ordine di ragioni non può, dunque, che seguire la declaratoria di improcedibilità della domanda veicolata dalla CLIENTE nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.

Non vi è dubbio, infatti, che tale circostanza abbia determinato la sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda, ponendo una questione pregiudiziale che assume valore assorbente e dirimente, così precludendo lo scrutinio delle argomentazioni difensive svolte da ambo le parti nel merito dell’odierna res controversa.

D’altra parte, le norme che fissano condizioni di ammissibilità e procedibilità sono di ordine pubblico processuale, di talché la loro violazione è rilevabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, risultando altresì sottratte al regime imposto dall’art. 101, comma 2 c.p.c. (in tal senso, si segnala Cassazione civile, sez. VI, 04/03/2019, n. 6218 e Cassazione civile sez. VI, 29/09/2015, n. 19372, che ha stabilito che “In tema di contraddittorio, le questioni di esclusiva rilevanza processuale, siccome inidonee a modificare il quadro fattuale ed a determinare nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, non rientrano tra quelle che, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.c. (nel testo introdotto dall’art. 45, comma 13, della l. n. 69 del 2009), se rilevate d’ufficio, vanno sottoposte alle parti, le quali, per altro verso, devono avere autonoma consapevolezza degli incombenti cui la norma di rito subordina l’esercizio delle domande giudiziali”). Peraltro, va evidenziato che nella sentenza di primo grado la questione relativa alle implicazioni conseguenti alla mancata comparizione personale delle parti in sede di mediazione non risulta in alcun modo esaminata, con il conseguente corollario che il giudice di secondo grado, investito dell’appello principale della parte rimasta soccombente sul merito, conserva il potere, e quindi il dovere, di rilevare di ufficio la questione di improcedibilità di detta domanda, e che l’omissione di tale rilievo è censurabile in cassazione come error in procedendo (in tal senso, si segnala Cassazione civile, sez. II, n. 7941 del 20/04/2020, secondo cui “i principi in tema di giudicato implicito trovano applicazione esclusivamente in ordine ai rapporti che vengono ad istituirsi tra le questioni preliminari di merito e le altre questioni di merito (e dunque tra plurime domande od eccezioni di merito), mentre tra le questioni pregiudiziali di rito – sulle quali, anche se rilevabili di ufficio, il giudice non si sia pronunciato – e le questione di merito sussiste una relazione di mera presupposizione logico- giuridica (vedi Cass. n. 25906/17, ma si vedano anche Cass. n. 5375/12, Cass. n. 20978/13 e Cass. n. 20259/13, che sul punto richiama Cass. n. 25500/2011).

In tali precedenti si è altresì persuasivamente evidenziato come l’apertura concessa dalla sentenza delle Sezioni Unite nn. 24883 del 2008 alla ravvisabilità del giudicato interno implicito anche in ordine a questioni pregiudiziali di rito sulle quali il Giudice di merito non si sia pronunciato espressamente rimane circoscritta alla sola questione di giurisdizione (sulla quale, in caso di mancata impugnazione dello specifico capo della sentenza di merito da quella dipendente, cade il giudicato, appunto, implicito, anche se trattasi di questione rilevabile ex officio in ogni stato e grado) mentre, alla stregua della precisazione offerta dalla stesse Sezioni unite nella sentenza n. 26019/08, per le questioni pregiudiziali di rito che involgono la sussistenza della potestas iudicandi il passaggio in giudicato (con conseguente preclusione della deducibilità/rilevabilità di ufficio della questione nel successivo grado giudizio o nel giudizio di legittimità) è previsto solo nel caso in cui vi sia stata una pronuncia esplicita proprio su detta questione, e non anche nel caso in cui essa è stata implicitamente risolta con la decisione sul merito della domanda.

Quest’ultimo approdo, come accennato sopra, è stato da ultimo confermato dalle stesse Sezioni Unite sia nella sentenza n. 7925/19, dove – richiamando espressamente Cass. n. 25906/17, pur essa sopra citata – si ribadisce che “il giudicato interno, tuttavia, preclude la rilevabilità d’ufficio delle relative questioni solo se espresso, cioè formatosi su rapporti tra “questioni di merito” dedotte in giudizio e, dunque, tra le plurime domande od eccezioni di merito, e non quando implicito, cioè formatosi sui rapporti tra “questioni di merito” e “questioni pregiudiziali” o “preliminari di rito o merito”, sulle quali il giudice non abbia pronunziato esplicitamente, sussistendo tra esse una mera presupposizione logico giuridica” (pag. 6, ultimo capoverso); sia nella sentenza n. 7940/19, dove si legge, a pag. 11, che “le questioni pregiudiziali di rito che non siano state fatte oggetto di alcuna soluzione nella motivazione della sentenza di primo grado rimarranno rilevabili anche ad opera del giudice di appello, pur in mancanza di un motivo di gravame o della riproposizione di esse”).
3.1 A tale statuizione segue la condanna dell’appellata alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado, costituendo ius receptum il principio secondo cui “la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello anche nel corso del giudizio, quando l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione. Qualora il giudice d’appello non provveda su tale domanda, la parte può alternativamente denunciare l’omissione con ricorso per cassazione o farla valere riproponendo la detta domanda restitutoria in autonomo giudizio, posto che la mancata pronuncia dà luogo ad un giudicato solo processuale e non sostanziale” (in tal senso, ex multis, Cassazione civile sez. VI, 21/11/2019, n. 30495).
4. Quanto, infine, alla disciplina delle spese e competenze di lite relative ad ambo i gradi di giudizio – il rilievo officioso del profilo testé richiamato, unitamente all’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità sul punto ed alla natura meramente processuale delle ragioni di reiezione della opposizione – costituiscono eccezionali motivi che ne giustificano l’integrale compensazione, anche in ragione dell’arresto giurisprudenziale reso dalla Corte Costituzionale con pronuncia n. 77 del 19.4.2018.


P.Q.M.
 

Il Tribunale di Castrovillari, Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento rubricato al n. 1807/17 R.G. – ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa ed assorbita – così provvede:

1. In riforma della gravata sentenza, dichiara la improcedibilità della domanda azionata da CORRENTISTA.

2. Condanna parte appellata alla restituzione – in favore dell’appellante, in persona del legale rappresentante pro tempore – delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado.

3. Compensa integralmente tra le parti le spese relative ad ambo i gradi di giudizio.

Così deciso in Castrovillari, il 4 agosto 2020.

Il Giudice dott. Matteo Prato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Contatti

Compila il form di seguito per richiedere maggiori informazioni:

    Seguici su:

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    Privacy Policy