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13.10.2021 – Roma – Cassazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

– Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

– Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

– Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere

– Dott. VARRONE Luca – Consigliere

 ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3440-2017 proposto da:

C.A., CU.EL., (CONIUGI), rappresentati e difesi dall’avv. ANTONINO TRAMUTA; – ricorrenti – contro A.M., M.L.; – intimati – avverso la sentenza n. 1115/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 08/06/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2021 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Svolgimento del processo

CHE:

1. Il Tribunale di Sciacca ha condannato M.L., A.M. e A.G., rimasti contumaci, al rilascio in favore di C.A. ed Cu.El. di un immobile, in quanto occupato senza titolo dai convenuti, condannandoli al pagamento dell’indennità di occupazione. 2. M.L. e A.M. hanno impugnato la sentenza, deducendo di occupare l’immobile in quanto, concluso tra le parti un contratto preliminare di vendita ed avendo i promissari acquirenti integralmente pagato il prezzo convenuto, i promittenti venditori avevano loro consegnato l’immobile. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 8 giugno 2016, n. 1115, ha riformato la sentenza e ha rigettato le domande proposte dagli attori, condannandoli ex art. 96 c.p.c. 3. Contro la sentenza C.A. ed Cu.El. ricorrono per cassazione. Gli intimati M.L. e A.M. non hanno proposto difese. Motivi della decisione CHE: I. Il ricorso è articolato in quattro motivi. 1) Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 167, 324, 345, 416 c.p.c. e artt. 2697, 2719 c.c.”: la Corte d’appello è andata oltre i limiti della domanda, ponendo alla base della sua decisione circostanze non prospettate dalle parti, essendo i nuovi elementi (“nella sostanza”, la sussistenza di un contratto preliminare che legittimerebbe la detenzione gratuita delle controparti) stati introdotti dalle controparti per la prima volta in appello. Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello, che ha ritenuto inammissibile perché tardiva la produzione documentale degli appellanti, ha affermato che l’esistenza del titolo che legittimava l’occupazione dell’immobile da parte degli appellanti – il contratto preliminare di vendita del medesimo – è stata dedotta dai ricorrenti che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado avevano sottolineato che “gli odierni resistenti, i quali godevano dell’immobile a titolo detentivo, avevano promesso che avrebbero acquistato con rogito notarile l’immobile nello stato di fatto e di diritto in cui esso si trovava”.

2) Il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 96 c.p.c.”: la Corte d’appello ha accolto la domanda ex art. 96 senza alcuna prova del danno perché sarebbe stata pacifica la sussistenza del titolo giustificativo della detenzione, quando invece “l’esistenza, e ancor più la validità” del contratto preliminare è stata contestata, essendo stata eccepita la sua mancata registrazione e la prescrizione degli eventuali diritti da esso nascenti ed essendo stato, nell’atto di costituzione in appello, disconosciuto il documento prodotto (il contratto preliminare) in quanto veicolato tardivamente in copia. Il motivo non può essere accolto. Rispetto all’affermazione del giudice d’appello – che l’ha portato a concludere per il carattere temerario della lite, vista la pacifica sussistenza del titolo giustificativo della detenzione – non assumono rilievo le obiezioni dei ricorrenti circa la mancata registrazione del contratto preliminare, la prescrizione dei diritti nascenti dal medesimo e il disconoscimento del documento perché prodotto in copia, non essendo circostanze che incidono sull'”esistenza e ancor più la validità” del contratto, trovando invece nel contratto il loro presupposto.

3) Il terzo motivo fa valere “violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 348 c.p.c.”: l’atto d’appello andava dichiarato inammissibile perché “in netta antitesi rispetto al modello previsto dall’art. 342 c.p.c.”, non essendo indicata alcuna norma violata. Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha correttamente rigettato l’eccezione dei ricorrenti di inammissibilità del gravame, rilevando che gli appellanti – rimasti contumaci in primo grado – chiedevano la riforma integrale della sentenza di primo grado, impugnando la statuizione di accoglimento della domanda di rilascio nonché della consequenziale domanda indennitaria, pretese delle quali contestavano la fondatezza sulla base della dedotta esistenza di un titolo giustificativo della detenzione dell’immobile (sulla specificità che l’atto di appello, a pena di inammissibilità, deve avere v. per tutte Cass., sez. un., n. 27199/2017).

4) Il quarto motivo riporta “violazione e falsa applicazione del D.lgs. n. 28 del 2010”: la Corte d’appello non ha tenuto “assolutamente in considerazione il fatto che era stato espletato un procedimento di mediazione e che controparti non avevano ingiustificatamente partecipato ad esso”, così che i ricorrenti non solo non dovevano essere condannati ex art. 96 c.p.c., ma ancor più non dovevano essere condannati alle spese del giudizio e da tale circostanza il giudice avrebbe dovuto trarre argomenti di prova a sostegno della loro domanda. Il motivo non può essere accolto. È vero che il D.lgs. n. 28 del 2010, art. 8, comma 4-bis dispone che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio”, ma si tratta di un potere discrezionale del giudice, non certo di un suo obbligo.

Quanto poi al rilievo per cui dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione sarebbe conseguita l’impossibilità per la Corte d’appello di condannare i ricorrenti al rimborso delle spese del processo alle controparti e per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., non si considera che i soggetti che non hanno partecipato alla mediazione sono le controparti, risultate totalmente vittoriose, e che la mancata ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice è prevista per la sola ipotesi del rifiuto della proposta del mediatore quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della medesima proposta (D.lgs. n. 28 del 2010, art. 13). II. Il ricorso va quindi rigettato. Non vi è pronuncia sulle spese, non essendosi gli intimati difesi nel presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della sezione Seconda civile, il 13 ottobre 2021. Depositato in Cancelleria il 1° marzo 2022

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