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14.05.2019 – Roma – Cassazione

Cassazione civile, sez. III, 14 maggio
2019, n. 12715
Cassazione civile, sez. III, 14 maggio 2019, n. 12715

  1. La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso dell’amministratore
    del condominio (omissis) di Acicastel-lo, per difetto della relativa autorizzazione
    dell’assemblea dei condomini.
    L’eccezione è fondata.
    In base alla giurisprudenza di questa Corte, deve essere dichiarata
    l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’amministratore del
    condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente
    richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine a controversie che non
    rientrano tra quelle per le quali è autonomamente legittimato ad agire ai sensi
    dell’art. 1130 c.c. e art. 1131 c.c., comma 1, Né può essere concesso un termine
    per la regolarizzazione, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., allorché il rilievo del vizio, in
    sede di legittimità, sia stato sollevato non d’ufficio, ma dalla controparte nel suo
    controricorso (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12525 del 21/05/2018, Rv. 651377 –
    02, che richiama i principi affermati da Cass., Sez. U, Sentenza n. 4248 del
    04/03/2016, Rv. 638746 – 01; in precedenza, sulla necessità di autorizzazione
    dell’assemblea, cfr. anche: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2179 del 31/01/2011, Rv.
    616487 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12972 del 24/05/2013, Rv. 626693 – 01; Sez.
    U, Sentenza n. 18331 del 06/08/2010, Rv. 614419 – 01).
    La presente controversia ha ad oggetto la contestazione del diritto di un creditore
    del condominio di procedere, in base ad un titolo giudiziale, ad esecuzione forzata
    nei confronti dello stesso condominio, mediante pignoramento dei suoi crediti
    verso i condomini per contributi.
    Non si tratta di una controversia avente ad oggetto direttamente la riscossione dei
    contributi, l’erogazione delle spese di manutenzione o la gestione di una o più cose
    comuni, Né viene dedotta l’estinzione (successiva alla formazione del titolo) del
    credito fatto valere contro il condominio, ma solo una pretesa inesistenza del
    diritto di procedere ad esecuzione forzata, secondo le modalità concretamente
    adottate dal creditore, onde la proposizione dell’opposizione non può ritenersi
    rientrare tra le ordinarie attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c..
    Di conseguenza, deve negarsi la autonoma legittimazione dell’amministratore a
    proporla senza autorizzazione (anche eventualmente in ratifica) dell’assemblea.
    La suddetta autorizzazione non risulta prodotta. Inoltre, nell’epigrafe del ricorso
    non si fa alcun riferimento a tale autorizzazione, Né il documento risulta nell’indice
    di quelli allegati al ricorso stesso; non risulta in atti alcuna autorizzazione neanche
    in relazione ai gradi di merito dell’opposizione, Né l’amministratore del condominio
    ha in qualche modo replicato all’eccezione di insussistenza dell’autorizzazione
    assembleare, avanzata già nel controricorso.
    Il ricorso dell’amministratore del condominio è dunque inammissibile.
  2. L’opposizione dell’altro ricorrente P. , condomino terzo pignorato, è stata
    dichiarata inammissibile dai giudici di merito, per difetto di interesse ad agire. In
    secondo grado il P. aveva espressamente posto, tra i motivi di gravame, la
    questione della sua legittimazione attiva, negata dal Tribunale, ma tale motivo di
    gravame è stato rigettato dalla corte di appello.
    Nel ricorso non vi è una specifica censura del P. in merito alla dichiarazione di
    inammissibilità della sua opposizione; quanto meno, la ratio decidendi alla base
    della relativa statuizione della corte di appello non risulta adeguatamente colta,
    essendosi limitati i ricorrenti a sostenere – con riguardo ai profili attinenti la
    soggettività e la legittimazione delle parti che non vi sarebbe alterità soggettiva
    tra condominio e condomini.
    Anche il ricorso del P. è pertanto inammissibile.
    Esso non potrebbe, in ogni caso, ritenersi fondato.
    Come correttamente affermato dalla corte di appello, il terzo pignorato,
    nell’espropriazione di crediti, non ha infatti interesse e quindi non è legittimato a
    sollevare questioni che riguardano esclusivamente i rapporti tra creditore
    esecutante e debitore esecutato e, in particolare, il diritto del creditore di
    procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore, il quale ultimo soltanto
    si può avvalere dell’apposito rimedio oppositivo di cui all’art. 615 c.p.c. (cfr., ex
    plurimis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003, Rv. 562536 – 01; Sez.
    3, Sentenza n. 387 del 11/01/2007, Rv. 595611; Sez. 3, Sentenza n. 4212 del
    23/02/2007, Rv. 595615 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3790 del 18/02/2014, Rv.
    630151 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01).
    Inoltre, dalla stessa esposizione del fatto contenuta nel ricorso (cfr. pag. 3, righi
    9-11) emerge che la creditrice B. , nel corso della procedura esecutiva, aveva
    rinunciato al pignoramento del credito vantato dal condominio nei confronti del P.
    ; quindi in realtà quest’ultimo non poteva neanche più ritenersi rivestire in
    concreto la posizione di terzo pignorato e, di conseguenza, non avrebbe avuto
    legittimazione neanche a proporre eventuali questioni attinenti alla regolarità della
    procedura esecutiva nei suoi confronti, quale terzo pignorato (questioni che
    avrebbero comunque dovuto essere fatte valere ai sensi dell’art. 617 c.p.c. ovvero
    nell’ambito dell’eventuale giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in quanto
    non configurabili in termini di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615
    c.p.c.).
    L’infondatezza nel merito degli argomenti in diritto posti a base del ricorso (anche
    da parte del P. ) emerge d’altra parte da quanto sarà illustrato in prosieguo, ai
    sensi dell’art. 363 c.p.c..
  3. Le considerazioni sin qui svolte impongono la dichiarazione di inammissibilità
    del ricorso.
    La Corte ritiene peraltro di esaminare comunque il merito dello stesso, ai sensi
    dell’art. 363 c.p.c., comma 3, in considerazione della particolare importanza della
    questione di diritto che con esso è posta (in particolare con il primo motivo).
    Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Erronea configurazione del condominio
    quale soggetto dotato di personalità giuridica, sia pure attenuata, ovvero di
    autonoma propria soggettività giuridica. Violazione e/o falsa applicazione dei
    principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli
    artt. 1117, 1118, 1119, 1123, 1130 e 1131 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art.
    360 c.p.c., comma 1 n. 3”.
    Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del principio
    di parziarietà delle obbligazioni condominiali e del principio di indisponibilità delle
    somme dovute per quote, quali principi informatori della specifica disciplina.
    Violazione e falsa applicazione degli artt. 1118, 1119 e 1123 c.c. (ai sensi e per gli
    effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
    Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del regolamento
    delle spese di lite, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. Erronea implicita applicazione
    dell’art. 2055 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,
    c.p.c.)”.
    La questione di diritto che viene posta con il ricorso (in particolare con il primo
    motivo) riguarda la possibilità, per il creditore del condominio che abbia
    conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso, di procedere
    all’espropriazione dei crediti del condominio nei confronti dei singoli condomini per
    i contributi dagli stessi dovuti.
    Tale questione va risolta in senso affermativo.
    Secondo i principi generali (artt. 2740 e 2910 c.c.), mediante l’espropriazione
    forzata è possibile espropriare al debitore tutti i suoi beni, inclusi i crediti.
    Affinché l’espropriazione dei crediti vantati dal condominio verso i singoli
    condomini per contributi sia legittima, è quindi sufficiente che sia configurabile, sul
    piano sostanziale, un effettivo rapporto obbligatorio tra condominio e singolo
    condomino avente ad oggetto il pagamento dei contributi condominiali (oltre che,
    ovviamente, un rapporto obbligatorio tra creditore e condominio, il che però è
    nella specie questione ormai risolta in sede di cognizione – avendo il creditore
    conseguito il titolo esecutivo direttamente nei confronti del condominio – e come
    tale non più oggetto di possibile discussione in sede esecutiva).
    Orbene, è innegabile che sia configurabile sul piano sostanziale un rapporto
    obbligatorio tra condominio e singolo condomino, con riguardo al pagamento dei
    contributi condominiali: una espressa disposizione normativa, l’art. 63 disp. att.
    c.c. (sia nella precedente che nella attuale formulazione), prevede infatti che
    l’amministratore possa addirittura ottenere un decreto ingiuntivo
    (immediatamente esecutivo), in favore del condominio e contro il singolo
    condomino per il pagamento dei suddetti contributi (in base allo stato di
    ripartizione approvato dall’assemblea).
    Tale disposizione normativa conferma espressamente, e/o quanto meno
    presuppone, l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra condominio e singoli
    condomini avente ad oggetto i contributi dovuti in base agli stati di ripartizione
    approvati dall’assemblea condominiale, consentendo al condominio, rappresentato
    dall’amministratore, di agire in giudizio contro il condomino per il pagamento delle
    quote condominiali.
    Essendo configurabile sul piano sostanziale un credito del condominio
    (rappresentato dal suo amministratore) nei confronti dei singoli condomini,
    laddove esista altresì un titolo esecutivo in favore di un terzo e contro lo stesso
    condominio (sempre rappresentato dall’amministratore), in mancanza di una
    norma che lo vieti espressamente, tale credito può certamente essere espropriato
    dal creditore del condominio, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., e la relativa
    esecuzione orzata non può che svolgersi nelle forme dell’espropriazione dei crediti
    presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss..
    Né può ritenersi che tale conclusione violi il principio di parziarietà delle
    obbligazioni condominiali (come sembra adombrato nel secondo e terzo motivo del
    ricorso).
    Il suddetto principio implica che l’esecuzione contro il singolo condomino non
    possa avere luogo per l’intero debito del condominio, ma solo nei limiti della sua
    quota di partecipazione al condominio stesso.
    Laddove l’esecuzione avvenga direttamente contro il condominio, e non contro il
    singolo condomino, non solo l’esecutato è il condominio, debitore per l’intero
    (onde non entra in realtà in gioco in nessun modo il principio di parziarietà), ma
    l’espropriazione dei beni e diritti del condominio, cioè di beni che, proprio in
    quanto condominiali, appartengono pro quota a tutti i condomini, finisce
    addirittura per attuare, in linea di principio ed in concreto, il richiamato principio di
    parziarietà (almeno fino a specifica prova contraria), senza affatto violarlo.
    Solo a fini di completezza espositiva è, infine, opportuno far presente (con
    riguardo alle questioni relative alle spese processuali): a) che l’obbligazione
    relativa alle spese processuali liquidate in un provvedimento giudiziario non è di
    fonte contrattuale e quindi per essa neanche potrebbe valere l’invocato principio di
    parziarietà; b) che i giudici di merito, rigettate le opposizioni, hanno correttamente
    applicato il principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., ed ogni contestazione
    in proposito è inammissibile, in quanto la facoltà di disporre la compensazione
    delle spese in caso di soccombenza integrale, per eccezionali motivi, costituisce un
    potere discrezionale del giudice di merito il cui mancato esercizio non è
    censurabile in sede di legittimità.
  4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
    La Corte, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, enuncia il seguente principio di
    diritto:
    “il creditore del condominio che disponga di un titolo esecutivo nei confronti del
    condominio stesso, ha facoltà di procedere all’espropriazione di tutti i beni
    condominiali, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., ivi inclusi i crediti vantati dal
    condominio nei confronti dei singoli condomini per i contributi dagli stessi dovuti in
    base a stati di ripartizione approvati dall’assemblea, in tal caso nelle forme
    dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss.”.
    Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della
    soccombenza, come in dispositivo.
    Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero
    dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al
    D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24
    dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
    La Corte:
    – dichiara inammissibile il ricorso, enunciando il principio di diritto di cui in
    motivazione, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3;
    – condanna i ricorrenti, in solido, a pagare le spese del giudizio di legittimità in
    favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro
    200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
    Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero
    dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al
    D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24
    dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei
    ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
    per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del
    comma 1 bis dello stesso art. 13

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