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18.01.2022 – Brescia – Tinelli

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BRESCIA
– Sezione Terza Civile –
 

Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Andrea Tinelli, ha pronunciato la seguente


SENTENZA
 

nella causa civile iscritta al n. 13878/2018 R.G. promossa da N.X ATTORI

contro

S.XX CONVENUTI


CONCLUSIONI
 

Le parti hanno concluso come da fogli depositati telematicamente. Tali conclusioni sono richiamate e sono da ritenersi parte integrante e sostanziale di questa sentenza.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE.

Le parti sono proprietarie di fondi finitimi siti in M.XXXXX.

Gli attori hanno dedotto che i convenuti, per effetto di progressivi interventi di ampliamento e modifica ultimati negli anni 2008-2009, avrebbero realizzato un locale ad uso falegnameria in violazione delle distanze legali tra costruzioni e dal confine previste dalle norme dello strumento urbanistico vigente al tempo dell’edificazione e di quello attuale. Gli stessi hanno quindi chiesto la condanna dei convenuti alla demolizione e/o arretramento del manufatto e al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio.

I convenuti hanno rivendicato la legittimità dell’opera e, in via riconvenzionale, hanno proposto domanda di usucapione del diritto di servitù finalizzata a conservare la costruzione ad uno spazio ravvicinato. A fondamento dell’azione riconvenzionale, i convenuti hanno allegato che il locale, oggetto di contenzioso, sarebbe esistente da prima del 1989 e che sarebbe rimasto tal quale dal 1992 ad oggi.
La causa è stata istruita mediante l’espletamento di c.t.u. a cura dell’ing. M.XXX V.XXXXX ed è stata trattenuta in decisione in data 29 ottobre 2021.

Si richiamano atti e documenti di causa, noti alle parti.

Il nucleo centrale della presente motivazione sarà suddiviso in tre parti.
La Prima parte sarà tesa a ricostruire l’evoluzione, sviluppatasi negli anni, della conformazione materiale degli immobili (par. 3.1).

La seconda sezione avrà ad oggetto la verifica dell’osservanza/inosservanza della normativa in materia di distanze (par. 3.2).

La terza parte, infine, mirerà a stabilire le conseguenze giuridiche delle violazioni riscontrate (par. 3.3).
3.1. La proprietà dei convenuti, costituita da una palazzina, un corpo di fabbrica fuori terra adibito a falegnameria e da una corte (N.C.E.U. del Comune di Manerba, foglio Il mappale cat. A/2), confina a sud con il fondo attoreo (N.C.E.U. al foglio Il mappale 335 sub. 1, 2, 3. e 4). Il manufatto oggetto di contestazione è una porzione del più ampio fabbricato a destinazione d’uso artigianale (falegnameria). Per la rappresentazione grafica dei luoghi di causa, si rimanda a pag. 8 della c.t.u. depositata in data 12 marzo 2020. La falegnameria si presenta oggi come un volume chiuso, con pianta ad “l” e tamponature cieche sul lato nord, e finestrate sui lati est e sud. La configurazione attuale è il prodotto di interventi edilizi modificativi che si sono susseguiti in un arco temporale ultraventennale. Il c.t.u. è riuscito a enucleare e datare tre fasi di edificazione della falegnameria. Le risultanze dell’indagine possono essere poste a fondamento della decisione, perché sono supportate da solide basi documentali (menzionate riassuntivamente nell’ allegato 9 della c.t.u.) e non sono smentite da elementi istruttori di segno opposto. Fase 1: tra il dicembre 1985 ed l’8 aprile 1986, il sig. S.XXXXXXX B.XXX ha edificato, senza titolo abilitativo, una tettoia con intelaiatura in legno e copertura in ondulus a vari colori nella corte in appoggio al suo fabbricato;  Fase 2: negli anni 1994 e 1995 il sig. S.XXXXXXX B.XXX ha realizzato l’ ampliamento della superficie della tettoia, fino a raggiungere l’ingombro attuale di circa 4×4 m, con contestuale chiusura del lato est della tettoia mediante la formazione di un tamponamento con serramento vetrato a 5 ante. Nel frangente è stato chiuso anche il porticato rivolto su XXXXXXXXXXXXXXX con un serramento della medesima tipologia; Fase 3: a cavallo degli anni 2007-2008 è intervenuta l’edificazione della parete a chiusura del lato sud della tettoia e si è dato avvio a quelle opere (posa del serramento e chiusura della muratura, mai denunciate) che, a partire dal 2010, hanno conferito al manufatto il volto che possiede oggi.

3.2. Il Piano di Governo del Territorio del Comune di Manerba del Garda, approvato il 23 novembre 2011, all’art. 21.7 (Indici e parametri dei NAF) prevede che per interventi di ristrutturazione urbanistica si dovranno tener presenti i distacchi minimi di 10 m dagli edifici e 5 m dai confini, ovvero aderenza agli edifici preesistenti o edificazione a confine previa convenzione registrata e trascritta tra i privati interessati. Nel corso delle operazioni peritali sono state rilevate le distanze del manufatto (nell’attuale configurazione) dal confine e dalla parete finestrata degli attori. La Prima è risultata inferiore a 5 m (edificio a confine), la seconda inferiore a 10 m (7.10 m dalla parete finestrata). Di conseguenza, il manufatto, nella conformazione presente, frutto di interventi eseguiti a partire dal 2010, è stato realizzato in violazione delle normative urbanistiche edilizie (cfr. pag. 23 della c.t.u.), le quali sono dotate di portata integrativa del disposto dell’art. 873 c.c. (Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore).

3.3. Si pone, a questo punto, il problema di determinare le conseguenze giuridiche della violazione. I convenuti pretendono di neutralizzarne gli effetti proponendo domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di mantenere la costruzione o, quanto meno, la tettoia, a distanza inferiore a quella legale. Gli attori contestano che tale domanda sia compatibile con la sistematica immutazione dello stato dei luoghi. Il diritto a mantenere una distanza tra immobili inferiore a quella legale ha natura di servitù e postula la sussistenza di un comportamento continuo ed ininterrotto, inteso inequivocabilmente all’esercizio sulla cosa di un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno jus in re aliena (Cass. Civ., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 362 del 10/01/2017). Il diritto non ha contenuto astratto. Esso non è riferibile ad un concetto generico di manufatto, che può essere esemplificato in tempi diversi da oggetti concreti d’identità differente.
La servitù ed il possesso ventennale necessario a costituirla per usucapione debbono avere ad oggetto una specifica costruzione. Ne discendono tre corollari: (i) quando un manufatto viene ricostruito, chi invoca l’usucapione deve dimostrare la presenza per il tempo indicato dalla legge del manufatto nella stessa posizione e l’assoluta identità fra la nuova e la vecchia struttura (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 15041 del 11/06/2018); (ii) al fine della determinazione del dies a quo per l’usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale, deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione, ma a quello nel quale questa sia stata ultimata (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 28784 del 29/12/2005); (iii) in forza del principio tantum praescriptum quantum possessum, una servitù apparente viene acquistata per usucapione in esatta corrispondenza con l’utilizzazione delle opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, che si sia protratta continuativamente per venti anni: a differenza che nel caso di costituzione in via negoziale, il contenuto del diritto è determinato dalle specifiche modalità con cui di fatto se ne è concretizzato il possesso, per cui ogni loro apprezzabile modificazione, specialmente se comportante un aggravio per il fondo servente interrompe il corso dell’usucapione, dando luogo a una nuova decorrenza del relativo termine (così, in motivazione, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 10481 del 22/10/1998). La falegnameria – così com’è oggi – è un fabbricato del tutto diverso, per estensione, funzione ed elementi strutturali, dai manufatti (mera tettoia, tettoia ampliata con chiusura parziale) che si sono succeduti negli anni. Pertanto, in forza dell’enunciato sub (i), i convenuti non possono invocare il possesso risalente al 1985, che concerneva una tettoia, o quello del 1995, riguardante una tettoia parzialmente chiusa, per affermare l’usucapione di un locale ontologicamente eterogeneo, in quanto interamente chiuso mediante la posa di serramento e muratura, poi, il corollario sub (ii) a sancire che il tempo utile all’usucapione debba decorrere dalla data di ultimazione dell’opera definitiva, vale a dire – nell’ipotesi più favorevole ai convenuti – non prima dell’anno 2010.

Posto che la mediazione, dotata di effetti interruttivi dell’usucapione, risale al 2012 e la domanda giudiziale al 2018, ogni congettura di usucapione deve essere evidentemente disattesa. 

Vi è, però, un’ulteriore questione che si salda con quella delle modalità della rimessione in pristino. È necessario stabilire, in particolare, se i convenuti abbiano il diritto di conservare (se non il locale attuale, quanto meno) la tettoia in una delle due configurazioni assunte nelle diverse fasi costruttive. In altri termini, v’è da chiedersi se i convenuti abbiano almeno usucapito un diritto avente un oggetto più ridotto rispetto a quello concernente il fabbricato oggi esistente. La Risposta è negativa. Per il principio sub (iii), ad ogni modificazione sostanziale che i convenuti hanno attuato negli anni, è corrisposta una nuova decorrenza del Termine necessario ad usucapire. E ogni nuova decorrenza si è collocata quando il precedente termine ad usucapionem non si era compiuto. I vent’anni di cui all’art. 1158 c.c. non erano decorsi, partendo dal 1985, quando, negli anni 1994-1995, il sig. S.XXXXXXX ha realizzato l’ampliamento della superficie della tettoia, fino a raggiungere l’ingombro attuale di circa 4×4 m, con contestuale chiusura del lato est; e non erano decorsi quando, a partire dal 1994-1995, il convenuto, negli anni 2007-2008 e , poi, nel 2010, ha dato corso agli interventi che hanno infine restituito al manufatto la sua fisionomia corrente. In conclusione, i convenuti non possono invocare alcuna fattispecie di usucapione, per difetto del requisito temporale. Ciò implica che i convenuti, in solido fra loro, debbono essere condannati alla rimozione della violazione lamentata dagli attori mediante demolizione, con arretramento dell’ingombro del manufatto ad una distanza maggiore o uguale a 5 m dal confine con la proprietà N.XXXXXX, come rappresentato nella pianta acclusa quale allegato 10 alla c.t.u. infondata la domanda (di condanna generica) volta al risarcimento dei danni formulata dagli attori. Le parti richiedenti si sono infatti limitate ad invocare l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in caso di violazione delle distanze tra costruzioni il danno deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria. Sul punto, si ritiene, invece, di aderire all’orientamento della Corte di Cassazione opposto, secondo il quale la violazione delle norme sulle distanze legali, mentre legittima sempre la condanna alla riduzione in pristino, non costituisce di per sé fonte di danno risarcibile, essendo al riguardo necessario che chi agisca per la sua liquidazione deduca e dimostri l’esistenza e la misura del pregiudizio effettivamente realizzatosi; ciò in quanto è sempre necessario fornire la prova della concreta esistenza del danno, essendo tale prova inerente alla stessa natura della domanda di risarcimento -la quale, per essere tale, presuppone sempre un danno effettivamente realizzatosi (cfr. Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 20608 del 24/09/2009). Poiché gli attori non hanno – se non in modo del tutto generico – allegato quali profili di pregiudizio avrebbero patito per effetto della violazione ascrivibile ai convenuti, la domanda risarcitoria viene respinta. L’esito della lite lascia registrare una soccombenza reciproca. Tuttavia, quella dei convenuti, concernente le distanze, è di importanza del tutto prevalente rispetto a quella attorea, riguardante il solo risarcimento. Dunque, si stabilisce una compensazione delle spese nella limitata misura di 1/3, con condanna dei convenuti a rifondere agli attori i restanti 2/3, liquidati in dispositivo, secondo i parametri medi dettati dal d.m. n. 55/2014 per lo scaglione da euro 26.001, 00 ad euro 52.000, 00. Il costo della c.t.u. – che si è resa necessaria per istruire domande sulle quali i convenuti sono risultati integralmente soccombenti – graverà in via definitiva su questi ultimi.


P.Q.M.
 

Il Tribunale di Brescia, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa o assorbita:

1. condanna i convenuti, in solido fra loro, a rimuovere la violazione lamentata dagli attori mediante demolizione, con arretramento dell’ingombro del manufatto identificato nella c.t.u. depositata in data 12 marzo 2020 ad una distanza maggiore o uguale a 5 m dal confine con la proprietà N.XXXXXX, come rappresentato nella pianta acclusa quale allegato 10 all’elaborato peritale;

2. rigetta le restanti domande delle parti;

3. compensa le spese di lite nella misura di 1/3 e condanna i convenuti, in solido fra loro, a rifondere agli attori i restanti 2/3, che liquida in euro 4.836, 00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, Iva e Cassa; 4. pone definitivamente il costo della c.t.u. per intero a carico dei convenuti, ferma restando la solidarietà nei confronti del consulente.

Brescia, 18 gennaio 2022

Il giudice Andrea Tinelli

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