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23.03.2021 – Roma – Cassazione

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE
ORDINANZA N. 25855 del 23.09.2021

FATTO E DIRITTO
ritenuto il Tribunale di Aosta, accogliendo la domanda avanzata dal Comune di Valpelline, B.A., Q.E.E.,
Pe.An., Co.Co. e la Zurich Public Limited Company, dichiarò inefficace nei confronti di essi attori, ai sensi
dell’art. 2901 c.c., il trasferimento in favore di C.C. della quota di comproprietà del 50% di P.D. sugli immobili siti in (OMISSIS), in seno al verbale di separazione consensuale, omologato dal Tribunale il 15/4/2010;
che la Corte d’appello di Torino, con la sentenza di cui epigrafe, rigettò l’impugnazione proposta dalla C. e
dal P.;
che quest’ultimi ricorrono sulla base di cinque motivi avverso la decisione d’appello e che resistono con
separati controricorsi: 1) B.A., Q.E.E. e Pe.An.; 2) il Comune di Valpelline; 3) Co.Co.; 4) Zurich Insurance
Public Limited Company;
considerato che il primo motivo, con il quale i ricorrenti prospettano violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 359 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, assumendo che la sentenza impugnata era venuta meno al dovere di rendere compiuta motivazione, avendo acriticamente fatta propria la motivazione di primo grado, non supera lo scrutinio d’ammissibilità, trattandosi di rimprovero privo di effettiva attitudine censuratoria, stante che la doglianza, evitando di confrontarsi con il costrutto motivazionale, peraltro articolato e corposo (da pag. 15 a pag. 23 la decisione prende in puntuale rassegna le censure d’appello), si limita a evocare l’ipotesi, che qui all’evidenza non ricorre, di mancanza di autonomo vaglio critico; per contro, ricorre la nullità della sentenza solo qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Sez. 6, n. 22022, 21/9/2017, Rv. 645333);
considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione
del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, per non essere stato preceduto l’esercizio dell’azione
giudiziaria dal tentativo obbligatorio di conciliazione, è manifestamente privo di fondamento, valendo quanto segue:

  • la norma evocata, impone il tentativo di conciliazione, fra le altre, per le controversie in materia di diritti reali; come correttamente colto della sentenza impugnata, qui si tratta di tutt’altra materia, non vertendosi sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali (la vicenda traslativa è del tutto estranea alla controversia), bensì in materia di conservazione della garanzia patrimoniale del debitore, sub specie dell’azione revocatoria, la quale, come noto, si limita a rendere insensibile nei confronti dei creditori l’atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità inter partes dell’atto stesso;
  • di conseguenza può enunciarsi il seguente principio di diritto: “l’azione revocatoria, non vertendo sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali, avendo solo l’effetto di rendere insensibile, nei confronti dei creditori, l’atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità “inter partes” dell’atto stesso, non rientra fra le controversie assoggettate, a norma del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1 bis, al tentativo obbligatorio di conciliazione”;
    ritenuto che con il terzo motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 138 e 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che:
  • avevano proposto davanti al Tribunale querela di falso, denunziando falsità nell’attestazione di notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e proposto sul punto motivo d’appello, per non avere il Giudice di primo grado ammesso la querela, che attraverso l’istruttoria del caso (in ispecie visione delle immagini riprese dall’impianto video dell’abitazione), avrebbe dimostrato “la nullità della notifica inficiando di conseguenza il processo di primo grado”; – il richiamo del principio di sanatoria processuale degli atti nulli per raggiungimento dello scopo non era persuasivo, poiché un tal principio non operava in presenza di notifiche “radicalmente inesistenti”;
    considerato che il motivo non coglie la “ratio decidendi” e pertanto non può sfuggire a declaratoria
    d’inammissibilità, invero:
  • è incontroverso, che effettuata la notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c., i convenuti si costituirono
    tempestivamente in giudizio, svolgendo appieno le loro difese, senza prospettare di aver ricevuto l’atto in data diversa rispetto all’attestato o di non aver potuto fruire dei termini a comparire; da tale premessa la Corte di Torino ne ha tratto la conclusione che, al più, si sarebbe potuto essere in presenza di ipotesi di nullità, sanata dal raggiungimento dello scopo, e giammai di inesistenza dell’atto, conformemente al principio più volte nunciato da questa Corte, secondo il quale l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità;
    tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (S.U., n. 14916, 20/7/2016, Rv. 640603; conf., ex multis, Cass. nn. 2174/2017, 20659/2017, 3816/2018, 26601/2018, 14840/2018);
  • a fronte di tale consolidato principio, dal quale si trae la manifesta irrilevanza della proposta querela, i ricorrenti, che incongruamente parlano a pag. 13, in fine, di “nullità della notifica”, senza aggiungere utile elemento di contrasto ermeneutico, si limitano a riproporre la tesi disattesa dalla sentenza d’appello, non attinta da alcuna scrutinabile effettiva critica;
    ritenuto che con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt.
    2901 e 2903 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, sotto i seguenti profili:
  • la scissione degli effetti della notifica, introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 477/2002, presuppone l’effetto in favore del notificante a condizione che la notifica risulti essere andata a buon fine, inoltre le S.U., con la sentenza n. 8830/2010 hanno chiarito che la scissione opera unicamente a riguardo ella decadenza e non della prescrizione dell’azione;
  • il termine di prescrizione dell’azione revocatoria decorre dal compimento dell’atto dispositivo e non dalla sua trascrizione;
  • mancavano i presupposti dell’azione, poiché il credito nascente dalla condanna alle spese di cui alla
    sentenza n. 279/2010 del Tribunale di Aosta, pubblicata il 3/6/2010, era successivo all’atto dispositivo del 25/2/2010; non si era verificata l’asserita spoliazione per essere il P. proprietario di altri immobili nel Comune di Careri, quale erede dei genitori; v’era l’esistenza di un credito del P. nei confronti del Comune ammontante a Euro 82.686,00; la quota acquisita dalla C. era da stimarsi in Euro 32.000,00, a causa del pessimo stato dell’immobile, dichiarato inagibile dai Vigili del Fuoco il (OMISSIS); la C. non godeva di un alloggio a (OMISSIS), ma solo di una cantina di 5 mq. e l’abitazione in (OMISSIS) era inagibile (ordinanza di sgombero sindacale del 7/1/1973); era stata corrisposta al Comune dall’assicurazione SACE BT spa la somma di Euro 14.210,81; non sussisteva l'”eventus damni” e non v’era prova del “consilium fraudis”; considerato che il motivo è per una parte inammissibile e per altra parte infondato, valendo quanto segue:
    a) la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario (S.U., n. 24822, 09/12/2015, Rv. 637603); nella fattispecie si tratta proprio di un diritto (assicurare l’integrità della garanzia generica del credito) che può farsi valere, solo con un atto processuale (domanda di revocazione); in punto di validità della notifica si è avuto già modo di spiegare che la stessa andò a buon fine;
    b) il termine di prescrizione dell’azione revocatoria non può che decorrere dalla trascrizione dell’atto
    dispositivo riguardante beni le cui vicende traslative sono assoggettate a trascrizione; questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la disposizione dell’art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell’art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (Sez. 3, n. 5889 del 24/03/2016, Rv. 639406; conf., Cass. n. 11758/2018);
    c) tutte le altre critiche, accomunate dall’anelito a un improprio riesame del merito e dal riferimento alla vicenda fattuale, specificamente evocata, attraverso richiami parziali e sommari in questa sede
    incontrollabili, non superano lo scrutinio d’ammissibilità: piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459); considerato che il quinto motivo, con il quale i ricorrenti, in uno alla denunzia di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sollevano eccezione d’incostituzionalità dell’art. 91, comma 1, predetto, in relazione agli artt. 3,24 Cost., art. 111 Cost., comma 6 e art. 6, comma 3, lett. c), carta EDU, per essere stato il P. condannato al rimborso delle spese, nonostante fosse stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, è manifestamente infondato:
    l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non ha, all’evidenza, lo scopo d’istituire una categoria di soggetti irragionevolmente privilegiati, ai quali venga assegnato il favore di non rifondere del costo del processo la controparte vincitrice, ma, ben diversamente, ha la funzione di consentire all’incapiente di esercitare i propri diritti agendo o resistendo in giudizio, fermo restando che, come tutti, deve sopportare le conseguenze della soccombenza;
    considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;
    che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art.
    1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
    P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di ciascuna delle quattro parti
controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ognuna in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma
17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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