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25.01.2016 – Roma – Moriconi

TRIBUNALE di ROMA
Sezione XIII
Ordinanza

Il Giudice, dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
1 . Nella causa epigrafata, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento relativa ad un danno subito
dall’attrice L.Z. a seguito di un trattamento estetico per la ricostruzione delle unghie, il giudice, dopo una
breve istruttoria, disponeva la mediazione demandata con ordinanza dell’ 11.5.2015.
Con tale ordinanza il giudice, oltre ad indicare, secondo un modello procedimentale già positivamente
sperimentato in altre cause, i punti sui quali le parti in mediazione avrebbero potuto utilmente dirigere ed
approfondire la discussione con l’ausilio e la fattiva presenza di un mediatore dell’organismo prescelto,
evidenziava (icasticamente, visto che il testo veniva redatto in neretto sottolineato), con significativo
avvertimento, la necessità della effettiva partecipazione delle parti al procedimento di mediazione
demandata (1) , invitando altresì il mediatore a verbalizzare le dichiarazioni delle parti all’esito
dell’introduzione del procedimento da parte dello stesso mediatore, per le valutazioni di competenza da parte
del giudice nel caso la causa fosse proseguita (2) .
Sempre nella medesima ordinanza, il giudice ricordava che “la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale
partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter
attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della
domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa”.
La causa in effetti proseguiva, e nel verbale di mediazione del 6.7.2015, la mediatrice dott.ssa M.R.
dell’Organismo A. di Roma, dava atto che: erano comparsi L.Z. (attrice della presente causa) istante,
assistita dall’avv. S. R., e V. D. (convenuta nella presente causa) convocata, assistita dall’avv.to M.C.; aveva
illustrato alle parti compiutamente le modalità del procedimento di mediazione; aveva invitato le parti ad
esprimersi sull’interesse (sic, n.d.r.) a proseguire nella procedura di mediazione; la parte attrice aveva
manifestato il proprio assenso all’avvio della procedura di mediazione; la parte convenuta NON manifestava
il proprio assenso all’avvio della procedura di mediazione; ed infine che le parti dichiaravano l’esito negativo
del primo incontro di mediazione, dando atto della volontà delle parti di non dare prosecuzione al
procedimento.
Va premesso che la verbalizzazione ad opera della mediatrice delle suddette dichiarazioni delle parti è
ammissibile e corretta (salvo quell’ “interesse” su cui si dirà in prosieguo). E’ opportuno, a tale proposito,
esporre sinteticamente il quadro normativo in tema di mediazione, riservatezza e verbalizzazione del
mediatore.
Il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza (3) il che sta a significare che al fine di
consentire l’effettiva possibilità delle parti di poter parlare liberamente senza la remora che eventuali
dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate nella causa, non si devono verbalizzare (da parte del
mediatore) né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni che
neppure possono essere oggetto di testimonianza et similia… .
Occorre però perimetrare con esattezza giuridica tale principio.
Che, in primo luogo, non vale, per espressa disposizione di legge (art. 9 cit.) contro la volontà della parte
dichiarante.
Inoltre, per coerenza logico-giuridica con quanto testé osservato a proposito della tutela della libertà
di dialogo che va garantita alle parti, il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle
parti deve essere riferito al solo contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione, vale a dire al
merito della lite.
Ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni, quand’anche trasposte al di fuori del procedimento di
mediazione, riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla
mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità
della verbalizzazione e dell’utilizzo da parte di chicchessia.
Ed invero, in tale ambito una compiuta verbalizzazione è necessaria al fine di consentire al giudice la
conoscenza del contenuto della condotta delle parti nello specifico contesto di cui trattasi;
conoscenza indispensabile in relazione alle previsioni del decr.lgsl.28/2010 relative alla procedibilità
delle domande ed all’art.8 co. 4 bis (4) dello stesso decreto, nonché, in via generale, dell’art.96 III°
cpc.
Sarebbe infatti un’assoluta aporia prevedere da una parte che il giudice debba e possa sanzionare la
mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro precludergli
la conoscenza e la valutazione degli elementi fattuali che tale ritualità o meno integrano. Per la
medesima ragione, deve essere verbalizzata dal mediatore la risposta di ciascuna delle parti
interpellate alla fatidica domanda (del mediatore) sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione (art. 8 co. I° quinto periodo decr.lgsl.28/2010).
A tale proposito, oltre alla dichiarazione consistente nella risposta alla predetta domanda, è
necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione
vera e propria. Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione
(peraltro nell’ambito delle attività del mediatore, sarebbe buona prassi degli organismi fornire alle
parti, oltre le informazioni che la legge prevede, quelle relative allo stato della giurisprudenza sulle
questioni più rilevanti e di interesse in tema di mediazione).
Come si vedrà in prosieguo, la ragione del non voler proseguire oltre l’incontro informativo non è affatto
irrilevante per la parte. E se, di sicuro, il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto,
neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall’avente diritto. Ed invero ogni parte può
esonerare il mediatore dall’obbligo di riservatezza relativamente alle sue dichiarazioni (cfr. art. 9 della legge).
Ciò assume specifico rilievo nel caso in cui, come quello in esame, la dichiarazione abbia notevole rilevanza
nel contesto delle varie norme che disciplinano il procedimento di mediazione.
Conclusivamente, il mediatore deve trascrivere ogni circostanza – quand’anche consistente in
dichiarazioni delle parti – utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza, altrimenti
impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al procedimento di mediazione ed allo
svolgimento dello stesso, come pure le circostanze che attengono al primo incontro informativo. In
relazione al quale la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga
trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.
Il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in
sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il
procedimento di mediazione e la causa. Fra essi vanno ricordati in primo luogo la condizione di procedibilità
prevista dall’art. 5 commi 1 bis e 2, nonché le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di
mediazione senza giustificato motivo di cui all’art. 8 co. 4 bis, gli effetti nella causa della proposta del
mediatore di cui all’art. 13, l’efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente asseverato
dagli avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla mediazione di cui all’art.12 e, benché non
espressamente affermato dalla legge, la producibilità nella causa della relazione dell’esperto di cui all’art. 8
co. 4 (5).
Una corretta verbalizzazione da parte del mediatore delle circostanze che attengono a segmenti del
procedimento di mediazione che, in vario modo, rilevano e si riverberano nella causa, si appalesa quindi più
che utile, doverosa e necessaria. Ed il giudice svolge a tale fine una fondamentale attività didattica e di
raccordo, nella grande varietà di condotte, non sempre approvabili, che emergono dall’esame dei verbali
degli organismi di mediazione (6) .
3.1 . La natura dell’incontro di mediazione di cui all’art 8 co. quinto della legge (7) . Sulla base di una
interpretazione meramente letterale delle norme (cf. pure il comma 2 bis 8 dell’art.5 della legge) ove le parti,
o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di
mediazione, si potrebbe ritenere che il procedimento di mediazione sia concluso e la condizione di
procedibilità della domanda giudiziale realizzata.
L’erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile. Sarebbe a dire, in altre parole, che da
una parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che venga esperito il
procedimento di mediazione (che consiste in ciò che è ben descritto nella lettera a. dell’art.1 della legge,
nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell’art.11 della legge) e dall’altra che anche se le parti (ed in particolare il
proponente la domanda) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (che conseguentemente non si è
svolta) … la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta … . Un perfetto ossimoro. Aderendo a
tale accezione si deve postulare che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la
mediazione (finanche quando il giudice lo ha ordinato !), ottenendo il medesimo vantaggioso risultato
(procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che la mediazione fosse stata esperita
davvero. Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale. Non solo. Immaginare che le parti in
mediazione demandata (qual’è quella che ci occupa) possano rapportarsi alle informazioni che il mediatore
gli somministra nel corso del “primo incontro” (“il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione”) come davanti ad un quid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, la
prospettiva della mediazione, è cosa confliggente con la realtà, posto che invero le parti sono state già
adeguatamente, abbondantemente e preventivamente informate di che trattasi.
Una prima volta al momento del conferimento del mandato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente
puntigliosa al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia dell’informativa mancata, con
l’intervento supplettivo del giudice) ed una seconda, all’atto della doverosa informativa dell’avvocato al
cliente del contenuto dell’ordinanza di mediazione demandata.
Ed ancora. “Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato
dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”. A
fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e
l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un
provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti di
discussione, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica null’altro che mera ingiustificata
renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice.
3.2 . Quale che sia stato l’intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le
norme in commento un’interpretazione in linea con la Carta Costituzionale. Va premesso che per molto
tempo, nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto,
monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del
legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di costituzionalità accentrato su un solo
soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale. Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per
esporle. Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero sufficientemente
sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno
dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla
Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, che si è da
tempo avviato un processo inverso che si può riassumere nella nota espressione della interpretazione
costituzionalmente orientata della legge da parte del giudice ordinario. Non si è pervenuti per tale strada, né
si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione
costituzionale) ed il giudice ordinario non espunge le norme dall’ordinamento giuridico come fa la Corte.
Tuttavia, con l’avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad arricchire
l’opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e, più prosaicamente, a sgravare la
Corte da una parte dell’ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è
correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità è quello della ragionevolezza della
norma sottoposta a scrutinio. Nel caso in esame, l’interpretazione letterale che è stata supra esposta presta
visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati
elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale. Che in un primo tempo aveva correlato la
ragionevolezza all’art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare l’irragionevolezza
della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente,
consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo
al mediatore di svolgere il suo lavoro). L’interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e somministra
le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte
renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni. Successivamente, ed allo stato, il parametro
della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all’art. 3 della Costituzione, quanto
individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una
intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal
legislatore. Anche in base a tale parametro l’interpretazione letterale non supera lo scrutinio di
costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si
pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso
la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la
impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente
concluso il procedimento di mediazione (con l’inveramento della condizione di procedibilità e l’assenza di
sanzioni).
Tale interpretazione è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione. Invero
salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento integrale della mediazione (con i costi relativi) nei casi
nei quali ragioni “pregiudiziali” non rendano possibile, nel senso di utilmente svolgibile, l’esperimento
conciliativo; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul
contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo a l soggetto renitente l’opinione di aver ragione e
quindi di ritenere inutile dialogare con l’altra parte (per quanto all’evidenza viziata dal punto di vista logico,
vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende aderire e
partecipare alla mediazione ) (9) .
4 . In mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente verbalizzata, della parte, sulla ragione
del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato.
Le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato- di procedere nella mediazione sono sovrapponibili alla
mancanza tout court della (partecipazione alla) mediazione: non della mediazione, in virtù della
dichiarazione dell’istante-attrice di voler procedere.
Con quanto ne può conseguire.
Non può infatti essere oggetto di dubbio che il mero incontro informativo (che, per come configurato
dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non
possa giammai, e specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi
dialettici, essere parificato allo svolgimento dell’esperimento della mediazione La quale, giova
ricordarlo, consiste nell’ “attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata
ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una
controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” (così
testualmente l’art. 1 co.1 lett. A della legge).
5 . Con tali premesse, non si ritiene necessario disporre la consulenza tecnica medica sulla persona
dell’attrice (e sugli atti), essendo la causa matura per la decisione.
P.Q.M.
a scioglimento della riserva che precede,
RIMETTE le parti davanti a sé all’udienza del 28.11.2016 h. 9.30 per le conclusioni e per la discussione ai
sensi dell’art. 281 sexies cpc con termine per eventuali note autorizzate fino a dieci giorni prima.
Roma lì 25.1.2016
Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi

1 E’ richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si
richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa “. 2 E il mediatore dovrà fissare a verbale quali
siano state le posizioni delle parti al riguardo, anche al fine di consentire al giudice le valutazioni di
competenza, relativamente alle condotta delle parti, ai sensi degli artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10 e artt. 91 2 e 96
III° cpc .
2 E il mediatore dovrà fissare a verbale quali siano state le posizioni delle parti al riguardo, anche al fine di
consentire al giudice le valutazioni di competenza, relativamente alle condotta delle parti, ai sensi degli
artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10 e artt. 91 2 e 96 III° cpc .
3 Art.9 decr.lgsl.28/2010 – Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque
nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese
e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle
informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla
quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.
Art.10 decr.lgsl.28/2010 – Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di
mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato,
riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla
quale provengono le informazioni. Sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova
testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio
4 Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può
desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice
di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha
partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di
una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.
5 Come ritenuto dalla giurisprudenza, sono altresì verbalizzabili le operazioni ed il contenuto sostanziale
della consulenza in mediazione (cfr.ordinanza 17.3.2014 Tribunale civile di Roma giudice Moriconi –
http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore del 18.3.2014) che non si sostanziano in dichiarazioni.
6 Ad esempio, a testimonianza di una certa diffusa confusione che regna negli organismi, di certo alimentata
dalle imprecisioni della legge, non può tacersi che, nel caso in esame, erroneamente nel verbale di
mediazione dell’organismo presso il quale è stata svolta la mediazione è scritto, verosimilmente con
modulistica idonea a perpetuare l’errore, che il mediatore ha richiesto alle parte ad esprimersi
“SULL’INTERESSE” a proseguire nella procedura di mediazione. Si tratta di locuzione inventata dal
mediatore (o meglio, verosimilmente, dall’organismo, che pone in uso tali moduli). La legge dice altra cosa,
parla infatti di “possibilità” che come insegna la giurisprudenza – in primis quella fiorentina, ordinanza
Trib.Firenze Pres.Luciana Breggia 26.11.2014, ed a seguire ex multis Trib. Firenze, sez. specializzata
imprese, ord. 17/3/2014 e ord. 18/3/2014, in www.ilcaso.it ; Trib. Roma, ord., 30.06.2014, in
www.101mediatori.it ; Trib. Bologna, ord., 5.6.2014 in www.adrmaremma.it ; Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014,
Trib. di Palermo ord. 16.7.2014 – attiene “a eventuali situazioni preliminari che possano ostacolare
l’esperimento di mediazione e non alla volontà delle parti di proseguire” (così testualmente ord. Trib.Firenze
26.11.2014 cit)
7 Art. 8: Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono
partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la
funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro,
invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel
caso positivo, procede con lo svolgimento.
8 Art. 5, c. 2-bis – Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude
senza l’accordo.
9 E’ di tutta evidenza l’illogicità e la pochezza dell’argomento: il presupposto normativo e assiologico
dell’istituto mediazione è per l’appunto che vi sia una lite (che mediante l’ausilio del mediatore si tenterà di
comporre riannodando il filo del dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che
sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non condividere l’opinione e le
pretese che giudica infondate, della parte opposta, ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite !

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