Istituto di Conciliazione e Alta Formazione
Cerca
Close this search box.

25.11.2021 – Roma – Corte di Cassazione

CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza 20 gennaio 2022, n. 10
La Corte costituzionale
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO,
Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela
NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia. (Testo A)», promossi dal Tribunale ordinario di Oristano con
ordinanza dell’8 luglio 2020 e dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del
17 marzo 2021, iscritte, rispettivamente, al n. 188 del registro ordinanze 2020 e al n.
115 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 1 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 il Giudice relatore Luca
Antonini;
deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il Tribunale ordinario
di Oristano ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della
Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia. (Testo A)».
L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che sia «assicurato il patrocinio
nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria
giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino
non manifestamente infondate».
Il successivo art. 83, comma 2, dispone, per quanto qui interessa, che la liquidazione
del compenso spettante al difensore «è effettuata al termine di ciascuna fase o
grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità
giudiziaria che ha proceduto».
La prima norma è censurata nella parte in cui non prevede che il patrocinio a spese
dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione all’attività
difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-
bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali), quando il successivo giudizio non viene
instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata nella
parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso
spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a conoscere
della causa.
1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente espone di essere chiamato a decidere
sull’istanza di liquidazione presentata dal difensore nominato dall’amministratore di
sostegno di P.O., ammessa al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine
degli avvocati, per l’attività svolta nel corso di un procedimento di mediazione
obbligatoria durante il quale le parti hanno raggiunto un accordo per la composizione
bonaria della lite, sicché il processo non è stato poi introdotto.
L’accoglimento dell’istanza sarebbe, pertanto, precluso dalle norme denunciate, dal
momento che queste non prevedono la possibilità di liquidare il compenso a carico
dello Stato qualora l’attività difensiva sia stata espletata esclusivamente in sede di
mediazione, senza dunque che sia stato instaurato il giudizio. D’altra parte, precisa il
giudice a quo, nella specie sussisterebbero i requisiti stabiliti dalla legge per il
conseguimento del diritto al patrocinio a spese dello Stato, con la conseguenza che,
se le norme sospettate fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, l’istanza di
cui è investito potrebbe essere accolta.
1.2.– In merito alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Oristano
preliminarmente esclude la possibilità di un’interpretazione secundum
Constitutionem delle disposizioni censurate, ponendo in rilievo che queste, nel
riconoscere il patrocinio a spese dello Stato e nel disciplinare la competenza ad
adottare il decreto di liquidazione del compenso, fanno espresso riferimento al
«processo» e all’autorità giudiziaria «che ha proceduto». La «necessità del
processo» troverebbe poi conferma sul piano sistematico, avuto riguardo, tra l’altro,
al disposto dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, a mente del quale
«[l]’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e
per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al
processo stesso.
In sostanza – conclude il rimettente anche sulla scorta della giurisprudenza di
legittimità e di merito – affinché le attività difensive svolte al di fuori del processo
possano essere considerate giudiziali, sarebbe pur sempre necessaria
l’instaurazione del giudizio.
La liquidazione del compenso a carico dello Stato, pertanto, potrebbe avere ad
oggetto l’attività espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria
soltanto se questo abbia avuto esito negativo, mentre al medesimo risultato non si
potrebbe giungere nell’ipotesi opposta, ostandovi la lettera delle disposizioni
sospettate.
1.2.1.– Tale esito ermeneutico conduce il giudice a quo a dubitare della compatibilità
con il dettato costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, t.u. spese di
giustizia.
In proposito, dopo avere rammentato che il legislatore, nell’introdurre forme di
giurisdizione condizionata è tenuto a non rendere eccessivamente difficoltosa la
tutela giurisdizionale, il rimettente innanzitutto sottolinea come le norme denunciate
escludano dall’ambito di applicazione del patrocinio a spese dello Stato il
procedimento di mediazione con l’assistenza del difensore, benché il suo
esperimento sia imposto, in determinate materie, quale condizione di procedibilità
della domanda giudiziale.
Quindi, aggiunge che sarebbe «incongruo» che a impedire la liquidazione dei
compensi a carico dello Stato sia l’intervento della conciliazione, ovvero proprio
dell’evento che evita la celebrazione del processo e soddisfa così la finalità deflattiva
del contenzioso a cui è preordinata la mediazione obbligatoria.
Peraltro, prosegue il giudice a quo, la disciplina normativa denunciata
disincentiverebbe il raggiungimento dell’accordo tra le parti, giacché i non abbienti,
nella consapevolezza di dovere in tal caso sostenere le spese difensive, potrebbero
preferire agire o resistere in giudizio.
Essa, pertanto, produrrebbe effetti opposti rispetto alla suddetta finalità deflattiva e al
contempo comporterebbe maggiori oneri per la finanza pubblica, poiché lo Stato, in
conseguenza della instaurazione del giudizio, dovrebbe sopportare le spese sia per
la mediazione, sia per il successivo processo.
Rileva poi il rimettente che le norme censurate, non tenendo conto delle condizioni
economiche dei non abbienti, ne limiterebbero di fatto l’uguaglianza nell’accesso alla
mediazione e comprimerebbero l’effettività del loro diritto di difesa. Sotto quest’ultimo
aspetto osserva altresì che i non abbienti, non essendo in grado di sostenere le
spese per l’attività difensiva, potrebbero finanche essere indotti a rinunciare del tutto
a far valere le proprie ragioni oppure a concludere l’accordo conciliativo a condizioni
più onerose di quelle che avrebbero ottenuto ove dette spese fossero state poste a
carico dello Stato.
Per le ragioni ora esposte, infine, le disposizioni denunciate determinerebbero anche
un’ingiustificata disparità di trattamento tra abbienti e non abbienti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, risulterebbero in definitiva lesi,
secondo il Tribunale di Oristano, gli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.
1.2.2.– Sotto un diverso profilo, peraltro, le disposizioni censurate sarebbero
generatrici di un’irragionevole disparità anche all’interno della stessa categoria dei
non abbienti, a seconda che questi siano o meno parti di una controversia
transfrontaliera.
Soltanto in relazione a tali controversie, infatti, l’art. 10 del decreto legislativo 27
maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare
l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di
norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie),
estende il patrocinio a spese dello Stato anche ai procedimenti stragiudiziali,
qualora, per quanto qui interessa, questi siano obbligatori. Siffatta disposizione,
tuttavia, risponderebbe all’esigenza, comune alle controversie domestiche, di
garantire l’effettività del diritto di difesa, sicché la sola natura transfrontaliera delle liti
non costituirebbe un elemento idoneo a differenziare ragionevolmente i non abbienti
che non ne siano parte.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano
dichiarate inammissibili.
2.1.– Il giudice a quo, infatti, non avrebbe adeguatamente motivato l’asserita
impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.
Interpretazione, questa, che sarebbe invece praticabile alla luce dell’art. 75, comma
1, t.u. spese di giustizia, che contempla il patrocinio a spese dello Stato anche per le
procedure «connesse» al processo, quale dovrebbe ritenersi il procedimento di
mediazione pure se concluso con successo.
La prospettata soluzione ermeneutica sarebbe del resto conforme ai principi
costituzionali perché, tra l’altro: a) risulterebbe coerente con la necessità di
individuare un punto di equilibrio tra la garanzia del diritto di difesa e l’esigenza di
contenimento della spesa pubblica, comportando minori costi per lo Stato, il quale
dovrebbe infatti sostenere soltanto le spese connesse alla mediazione e non anche
quelle inerenti al successivo giudizio; b) risponderebbe alla necessità che
l’introduzione di forme di giurisdizione condizionata non renda eccessivamente
gravoso l’esercizio del diritto di difesa; c) sarebbe in armonia con lo scopo deflattivo
della mediazione.
Osserva, infine, l’Avvocatura generale che tale interpretazione troverebbe conforto
nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’attività difensiva funzionale al
successivo esercizio dell’azione giudiziaria dovrebbe considerarsi giudiziale ai fini
della liquidazione del compenso a carico dello Stato (è citata, tra le altre, Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529).
Né tale conclusione sarebbe smentita dalla sentenza (è citata Corte di cassazione,
sezione seconda civile, sentenza 31 agosto 2020, n. 18123) con la quale i giudici di
legittimità hanno disatteso il ricorso avverso la statuizione di rigetto della domanda di
liquidazione per l’attività difensiva svolta nella fase della mediazione obbligatoria: si
tratterebbe, infatti, di una decisione inerente a una fattispecie «non del tutto
sovrapponibile a quella in esame».
3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del 2021), il
Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, terzo
comma, e 36, primo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale degli artt.
74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono
che il patrocinio a spese dello Stato sia assicurato anche per l’attività difensiva
espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5,
comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando il processo non viene poi introdotto
per intervenuta conciliazione fra le parti.
3.1.– Riferisce il rimettente di essere investito dell’istanza di liquidazione del
compenso avanzata – in relazione alle prestazioni rese nell’ambito di un
procedimento di mediazione obbligatoria concluso con un accordo conciliativo – dal
difensore di G. D.B. e V. C., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul
minore A. D.B., ammessi al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine
degli avvocati.
3.2.– La suddetta istanza non potrebbe, secondo il giudice a quo, trovare
accoglimento alla luce del tenore letterale delle norme denunciate e della
menzionata sentenza della Corte di cassazione n. 18123 del 2020, nella quale i
giudici di legittimità avrebbero affermato che gli artt. 74 e 75 t.u. spese di giustizia
escludono dal novero delle attività difensive suscettibili di liquidazione a carico dello
Stato quelle svolte nel corso della mediazione non seguita dalla instaurazione del
giudizio, precisando poi che tale limitazione non potrebbe essere superata in via
interpretativa.
3.2.1.– Su tale premessa, il giudice palermitano ritiene che i citati artt. 74, comma 2,
e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia ledano, innanzitutto, gli artt. 3 e 24 Cost.
Considerato il favor legislativo per la soluzione stragiudiziale delle controversie,
sarebbe del tutto irragionevole precludere l’accesso al patrocinio a spese dello Stato
quando la controversia è stata definita in sede di mediazione obbligatoria e
consentirlo invece in caso di esito infruttuoso della mediazione stessa, con la
conseguente necessità di instaurare il processo.
Le norme denunciate, d’altro canto, minerebbero la funzione deflattiva della
mediazione, che sarebbe infatti destinata ad essere affrontata dai difensori «come
una mera formalità prodromica all’instaurazione» del giudizio, giacché solo in questa
sede essi otterrebbero la liquidazione del compenso a spese dello Stato. Ciò che,
peraltro, comporterebbe una lievitazione degli oneri a carico dell’erario, i quali,
anziché essere limitati alle spese difensive per la mediazione stessa, sarebbero
aggravati dai costi connessi allo svolgimento del processo.
A parere del rimettente, sarebbe vulnerato anche il diritto di agire in giudizio e, con
esso, il principio di uguaglianza sostanziale. Il rischio di dover sopportare le spese
difensive per il procedimento di mediazione obbligatoria, infatti, risulterebbe
«disincentivante (e perciò pregiudizievole nella prospettiva della piena realizzazione
del diritto di difesa presidiato anche dall’istituto del patrocinio a spese dello Stato)»
per i non abbienti e lederebbe, pertanto, il loro diritto di accedere alla tutela
giurisdizionale in condizioni di uguaglianza rispetto a quanti dispongono di mezzi
economici adeguati.
3.2.2.– Secondo il Tribunale di Palermo, l’art. 3 Cost. sarebbe altresì violato in
riferimento al principio di uguaglianza formale, sotto un duplice aspetto.
Le disposizioni censurate darebbero luogo a una ingiustificata disparità di
trattamento, sia tra i non abbienti, in relazione alla disciplina riservata dal citato art.
10 del d.lgs. n. 116 del 2005 alla mediazione obbligatoria concernente le
controversie transfrontaliere, sia tra i difensori dei non abbienti, i quali, pur avendo
effettuato prestazioni identiche in sede di mediazione, riceverebbero, «sul piano del
compenso» dovuto loro per tali attività, un trattamento differenziato a seconda del
raggiungimento o meno dell’accordo.
3.2.3.– Il rimettente dubita, infine, della compatibilità delle disposizioni denunciate
con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe leso in quanto, per effetto della
preclusione da esse derivante, i difensori presterebbero «attività lavorativa
obbligatoria gratuitamente».
4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità delle questioni sollevate.
Ritiene la difesa dello Stato, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente
identiche a quelle addotte in relazione all’ordinanza di rimessione del Tribunale di
Oristano, che neanche il Tribunale di Palermo abbia compiutamente motivato in
merito all’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme.
4.1.– La dedotta violazione dell’art. 36, primo comma, Cost. sarebbe inoltre
insussistente, in quanto l’assunzione della difesa della parte ammessa al patrocinio
non sarebbe obbligatoria e, comunque, perché la relativa attività sarebbe svolta
dall’avvocato solo occasionalmente.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il Tribunale ordinario
di Oristano dubita della legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia. (Testo A)», i quali, rispettivamente, dispongono che è «assicurato
il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di
volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue
ragioni risultino non manifestamente infondate» e, per quanto qui rileva, che la
liquidazione del compenso spettante al difensore della parte non abbiente «è
effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto
della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto».
2.– La prima disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che il patrocinio
a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione
all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5,
comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60
della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando il successivo giudizio
non viene instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è
denunciata laddove non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del
compenso spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a
conoscere della causa.
2.1.– Sul presupposto che le norme sospettate non consentano di liquidare tale
compenso indipendentemente dalla instaurazione del giudizio – e quindi nel caso in
cui la mediazione obbligatoria si sia conclusa con successo, in virtù del
raggiungimento dell’accordo conciliativo – e che non siano suscettibili di una
interpretazione costituzionalmente conforme, il rimettente sostiene che tale
preclusione violerebbe, sotto plurimi profili, gli artt. 3 e 24, terzo comma, della
Costituzione.
Il dedotto contrasto sarebbe apprezzabile, innanzitutto, in considerazione del fatto
che il procedimento di mediazione è escluso dalla sfera di applicabilità del patrocinio
a spese dello Stato benché sia imposto, in determinate materie, quale condizione di
procedibilità della domanda giudiziale.
Sarebbe quindi irragionevole che la liquidazione del compenso sia impedita proprio
dall’evento che evita la celebrazione del processo e realizza la finalità deflattiva
perseguita dal legislatore con l’introduzione della mediazione obbligatoria.
Altro profilo di irragionevolezza risiederebbe nel rilievo che i non abbienti, anziché
conciliare, potrebbero essere indotti a privilegiare la scelta di agire o resistere in
giudizio, per vedersi riconosciute in questa sede le spese difensive; ciò che finirebbe
per frustrare la suddetta finalità e comporterebbe maggiori oneri per lo Stato.
D’altra parte, le norme censurate, non prevedendo il patrocinio nonostante
l’obbligatorietà della mediazione al fine di accedere al giudizio e potendo finanche
indurre i non abbienti a rinunciare a far valere le proprie ragioni, minerebbero
l’effettività del loro diritto di difesa, ledendo altresì il principio di uguaglianza sia in
senso sostanziale che in senso formale, tra abbienti e non abbienti.
Il principio di parità sarebbe compromesso anche all’interno della stessa categoria
dei non abbienti, poiché l’art. 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 116
(Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle
controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni
relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie), ingiustificatamente li
ammetterebbe a fruire del patrocinio a spese dello Stato in relazione ai procedimenti
stragiudiziali obbligatori solo ove, tuttavia, questi siano inerenti a una controversia
transfrontaliera.
3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del 2021), il
Tribunale ordinario di Palermo dubita della legittimità costituzionale del già
denunciato art. 74, comma 2, nonché dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia,
nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia assicurato
anche per l’attività difensiva espletata nel corso del procedimento di mediazione
obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 quando il
processo non viene poi introdotto per intervenuta conciliazione fra le parti.
Il suddetto art. 75, comma 1, dispone che l’ammissione al patrocinio «è valida per
ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate
ed accidentali, comunque connesse».
3.1.– Anche il giudice palermitano esclude la praticabilità di un’interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme censurate, il cui tenore testuale
precluderebbe, nella lettura della giurisprudenza di legittimità, la liquidazione del
compenso al difensore allorquando al procedimento di mediazione non abbia fatto
seguito l’instaurazione del giudizio.
Su questo assunto, egli ritiene che le suddette norme violino, innanzitutto, gli artt. 3 e
24, terzo comma, Cost.
Sarebbe, infatti, contrario al canone della ragionevolezza consentire l’accesso al
patrocinio a spese dello Stato in caso di esito infruttuoso della mediazione
obbligatoria, con la conseguente introduzione del processo, ed escluderlo invece
proprio quando la mediazione stessa ha raggiunto il suo scopo; ciò che, peraltro,
comprometterebbe la finalità deflattiva della procedura in parola e causerebbe un
aggravio degli oneri a carico dell’erario, in quanto la mediazione sarebbe destinata
ad essere affrontata dai difensori dei non abbienti «come una mera formalità
prodromica all’instaurazione» del giudizio.
Ritiene, inoltre, il rimettente, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente
analoghe a quelle spese dal Tribunale di Oristano, che le norme denunciate rechino
un vulnus al diritto di agire in giudizio dei non abbienti e al principio di uguaglianza
sostanziale.
L’art. 3 Cost. sarebbe leso anche sul versante della uguaglianza formale, per la
ingiustificata disparità che le disposizioni censurate determinerebbero, non soltanto
all’interno della stessa categoria dei non abbienti, a seconda che essi siano o meno
parte di una controversia transfrontaliera, ma anche tra difensori, i quali, pur avendo
effettuato prestazioni identiche nel corso del procedimento di mediazione, avrebbero
diritto al compenso a carico dello Stato solo in caso mancato raggiungimento
dell’accordo.
A tale ultimo rilievo è, infine, connesso il lamentato contrasto con l’art. 36, primo
comma, Cost., che sarebbe violato in quanto i difensori presterebbero «attività
lavorativa obbligatoria gratuitamente».
4.– È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo
l’inammissibilità delle questioni per inadeguato esperimento del tentativo di
interpretazione costituzionalmente conforme.
Nel giudizio che trae origine dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Palermo,
inoltre, la difesa dello Stato ha dedotto la non fondatezza della censura formulata in
riferimento all’art. 36, primo comma, Cost.
5.– Le questioni sollevate con le due ordinanze di rimessione sono basate su
argomenti in larga parte sovrapponibili e sono comunque connesse, per la parziale
coincidenza delle norme denunciate e dei parametri evocati.
I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
6.– Preliminarmente, va rilevato che il giorno stesso della deliberazione della
presente sentenza è stata definitivamente approvata la legge 26 novembre 2021, n.
206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della
disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti
di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle
famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), con la quale viene conferita al
Governo una delega legislativa per quanto qui interessa recante, tra i principi e criteri
direttivi, quello dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di
mediazione e di negoziazione assistita (art. 1, comma 4, lettera a).
Tale previsione non spiega, però, effetti negli odierni incidenti, dal momento che la
sua entrata in vigore non vale a escludere l’applicazione delle disposizioni
censurate.
7.– Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità
sollevata dall’Avvocatura generale sulla scorta dell’asserita carenza di un’adeguata
motivazione in ordine all’impossibilità di interpretare le norme denunciate secundum
Constitutionem.
I rimettenti, infatti, hanno escluso la praticabilità di un’interpretazione adeguatrice
alla luce del dato letterale e per ragioni sistematiche, non mancando di confrontarsi
con la posizione della giurisprudenza di legittimità.
Da tanto consegue il rigetto dell’eccezione in esame, giacché attiene al merito, e non
all’ammissibilità delle questioni, la condivisione o meno del presupposto
interpretativo delle norme censurate (ex plurimis, sentenze n. 150 del 2021 e n. 230
del 2020).
8.– Presupposto esegetico che, venendo appunto al merito, questa Corte ritiene
condivisibile.
Esso è, infatti, innanzitutto coerente con il tenore testuale delle disposizioni
denunciate.
L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia, invero, assicura ai non abbienti il beneficio
in discussione facendo esclusivo riferimento al «processo». Nella medesima
direzione, l’art. 75, comma 1, del citato testo unico delimita poi l’ambito di validità
dell’ammissione al patrocinio a ogni grado e fase «del processo e per tutte le
eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al processo
stesso, di cui, pertanto, presuppone l’introduzione. Il successivo art. 83, comma 2,
infine, nel suo primo periodo attribuisce la competenza a provvedere in ordine alla
liquidazione del compenso all’autorità giudiziaria «che ha proceduto», in tal modo
ribadendo, senza possibilità di equivoco, l’esigenza dell’instaurazione di un giudizio
di cui l’autorità giudiziaria sia stata, per l’appunto, investita.
Il patrocinio a spese dello Stato è stato quindi contemplato dalle norme censurate in
chiave eminentemente processuale: ciò che trova ulteriore conferma nella
circostanza che lo stesso legislatore, con la legge delega innanzi citata, ha avvertito
l’esigenza di introdurre specifiche disposizioni volte espressamente a estenderlo, a
prescindere dal loro esito, anche alle procedure di mediazione.
Va peraltro precisato che la sentenza richiamata dall’Avvocatura generale a
sostegno della possibilità di un’interpretazione conforme (Corte di cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529), in realtà, non ha riguardato
segnatamente le norme oggetto dell’odierno scrutinio e che invece l’assunto dei
rimettenti si pone in linea con l’orientamento recentemente espresso dai giudici di
legittimità con specifico riferimento al tema che viene qui considerato. Nella
sentenza 31 agosto 2020, n. 18123, infatti, la seconda sezione civile della Corte di
cassazione ha affermato che l’art. 74 t.u. spese di giustizia «postula l’intervenuto
avvio della lite giudiziale», poiché «limita l’operatività del patrocinio a spese dello
Stato all’ambito del procedimento […] civile»; ha poi espressamente precisato che
siffatto limite non può essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinare «nella
produzione normativa», e ha quindi concluso che correttamente il giudice di merito
aveva «ritenuto non liquidabile compenso al difensore per la fase della mediazione,
cui non e` seguita la proposizione della lite».
8.1.– È dunque alla stregua del presupposto ermeneutico da cui muovono i giudici a
quibus che le questioni sollevate dai rimettenti devono essere vagliate, innanzitutto
considerando, quanto al tessuto normativo sul quale esse si innestano, che la
mediazione civile obbligatoria è stata introdotta dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n.
28 del 2010 con un evidente intento deflattivo del contenzioso (sentenza n. 97 del
2019) ed è strutturata quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali.
La parte che intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle
materie ivi specificamente individuate è, infatti, «tenut[a], assistit[a] dall’avvocato,
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione», al fine di tentarne la
composizione stragiudiziale.
Si è al cospetto, pertanto, di un procedimento contraddistinto dall’obbligatorietà, che
deve essere espletato, pena l’improcedibilità della domanda, prima dell’instaurazione
di una lite giudiziaria. Esso, di conseguenza, condiziona, in determinate materie,
l’esercizio del diritto di azione.
È, in definitiva, sull’esclusione del patrocinio a carico dello Stato in ordine a tale
procedimento, qualora questo si concluda con esito positivo, precludendo quindi
l’introduzione del processo, che si sviluppano le questioni di costituzionalità sollevate
dai rimettenti sugli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83, comma 2, t.u. spese di
giustizia.
9.– Esse sono fondate in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, in
relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza
sostanziale, e 24, terzo comma, Cost.
9.1.– Quanto al canone della ragionevolezza, va evidenziato che il nesso di
strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle
forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive costituiscono elementi
che rendono del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione
l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si
sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione
giudiziale della domanda.
In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio
nei casi in cui il procedimento de quo ha raggiunto – in ipotesi anche grazie
all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore.
Pertanto, la circostanza che, in virtù del suo esito positivo, alla mediazione
obbligatoria non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio, lungi dal costituire un
coerente fondamento della denunciata preclusione, al contrario concorre a
disvelarne la palese irrazionalità, peraltro traducendosi anche in una sorta di
disincentivo verso quella cultura della mediazione che il legislatore stesso si è fatto
carico di promuovere.
Nel descritto contesto, infatti, non implausibilmente i rimettenti rilevano che proprio
per effetto dell’esclusione censurata i non abbienti e i loro difensori potrebbero
essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire quindi comunque il giudice,
all’unico scopo di ottenere, una volta introdotto il processo, le relative spese
difensive.
Tale evenienza porterebbe nocumento non solo alla funzione della mediazione,
vanificandone le finalità deflattive, ma anche a quella della giurisdizione che, a
dispetto della sua natura sussidiaria rispetto alla mediazione stessa, finirebbe per
essere strumentalizzata per obiettivi diversi dallo ius dicere, ciò che determinerebbe
ulteriori irragionevoli ricadute di sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico
dello Stato, chiamato a sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio.
Gli argomenti che precedono rivelano quindi la manifesta irragionevolezza delle
disposizioni censurate, peraltro ben precedenti l’introduzione, nell’ordinamento, della
disciplina della mediazione obbligatoria e mai coordinate con essa.
9.2.– Parimenti fondate sono le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, secondo
comma, e 24, terzo comma, Cost.
Quest’ultima disposizione, infatti, prevedendo che «[s]ono assicurati ai non abbienti,
con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», mira
a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo
«l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del
medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n.
80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458
del 2002)» (da ultimo, sentenza n. 157 del 2021).
In questi termini, tali diritti, che rientrano tra i diritti civili, inviolabili e caratterizzanti lo
Stato di diritto, richiamano il compito assegnato alla Repubblica dall’art. 3, secondo
comma, Cost. affinché siano predisposti i mezzi necessari per garantire ai non
abbienti le giuste chances di successo nelle liti, rimediando a un problema di
asimmetrie – derivante dagli ostacoli di ordine economico che impediscono «di fatto»
di compensare il difensore – che non può trovare soluzione nell’ambito
dell’eguaglianza solo formale.
In questa prospettiva va precisato che la questione, sottolineata da questa Corte,
della individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i
non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di
giustizia» (sentenza n. 16 del 2018) rileva quando si tratti di giustificare modulazioni
che si concretizzano, ad esempio, in filtri o controlli, come quelli previsti per i
processi diversi da quello penale, nei quali il riconoscimento del beneficio in discorso
presuppone che le ragioni di chi agisce o resiste in giudizio risultino non
manifestamente infondate (sentenza n. 47 del 2020).
Ben diversi si presentano, invece, i termini della questione quando una determinata
scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una condizione di non
abbienza «l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del
nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale» (sentenza n. 157 del 2021).
In tal caso, infatti, sono nitidamente in gioco il «pieno sviluppo della persona umana»
(art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo di
cui ai primi due commi dell’art. 24 Cost.: è quindi «naturalmente ridotto» il margine di
discrezionalità del legislatore – pur, di per sé, particolarmente ampio nella
conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021) –
poiché si tratta comunque «di spese costituzionalmente necessarie», anch’esse
inerenti, in senso lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex
plurimis, sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)» (sentenza n. 152 del
2020).
In siffatte ipotesi l’argomento dell’equilibrio di bilancio recede di fronte alla possibilità,
per il legislatore, di intervenire, se del caso, a ridurre quelle spese che non rivestono
il medesimo carattere di priorità: è anche in tal senso che questa Corte ha affermato
che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio
di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 169 del 2017; in
precedenza, sentenza n. 275 del 2016).
9.2.1.– I principi appena enunciati rilevano nelle odierne questioni, poiché, data
l’espressa previsione dell’assistenza dell’avvocato in sede di mediazione obbligatoria
(art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010), è evidente che privare i non abbienti
del patrocinio a spese dello Stato significa destinarli di fatto, precludendo loro la
possibilità della difesa tecnica, a subire l’asimmetria rispetto alla controparte
abbiente in relazione a un procedimento che, come si è chiarito, in determinate
materie è direttamente imposto dalla legge e rientra nell’esercizio della funzione
giudiziaria giacché condiziona l’esercizio del diritto di azione.
Il non abbiente è, peraltro, addirittura esposto al grave rischio di improcedibilità della
sua domanda, qualora l’assistenza tecnica sia ritenuta non solo possibile ma anche
obbligatoria dal giudice, in conformità a quanto affermato, con riferimento alla
mediazione di cui si discute, dalla Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione
terza civile, sentenza 27 marzo 2019, n. 8473) – sia pure nell’esaminare funditus
solo lo specifico tema della necessaria presenza personale della parte dinanzi al
mediatore – e nella circolare del Ministero della giustizia 27 novembre 2013 (Entrata
in vigore dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante
disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che modifica il d.lgs. 28/2010. Primi
chiarimenti).
Non è poi marginale aggiungere che la mediazione presuppone, in ogni caso, sin
dalla sua attivazione il possesso di specifiche cognizioni tecniche di cui la parte non
abbiente potrebbe essere priva: la relativa istanza richiede, infatti, l’individuazione
sia del giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, dovendo
essere depositata presso un organismo che ha appunto sede nel luogo di tale
giudice, sia delle parti, nonché dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4,
commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’assenza di difesa tecnica nel procedimento di mediazione può, infine, riflettersi
anche sotto ulteriori punti di vista sull’esito del successivo processo, ove si consideri
che in caso di rifiuto della proposta conciliativa, se la successiva decisione giudiziale
dovesse corrispondere al contenuto della proposta medesima, il giudice potrà
escludere la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha opposto il rifiuto e
condannarla al pagamento delle spese processuali della controparte, oltre che al
versamento di una somma corrispondente all’importo del contributo unificato (art. 13,
comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010).
È in definitiva evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme censurate al diritto di
difendersi dei non abbienti in un procedimento che, per un verso, è imposto ex lege
in specifiche materie e che, per l’altro, è strumentale al giudizio al punto da
condizionare l’esercizio del diritto di azione e il relativo esito.
10.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75,
comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a
spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei
procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010,
quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché del successivo
art. 83, comma 2, del medesimo testo unico sulle spese di giustizia, nella parte in cui
non prevede che, in tali ipotesi, alla liquidazione in favore del difensore provveda
l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
11.– Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua
discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima
richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali,
una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio.
12.– Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dai rimettenti.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese
dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei
procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto
legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18
giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali), quando nel corso degli stessi è stato
raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. n.
115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla
liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe
stata competente a decidere la controversia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
25 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.
Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Contatti

Compila il form di seguito per richiedere maggiori informazioni:

    Seguici su:

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    Privacy Policy