Istituto di Conciliazione e Alta Formazione
Cerca
Close this search box.

26.04.2021 – Verona – Vaccari

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Verona Sezione III Civile
 

Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 3585/2019 R.G. promossa da: B.XXXX M.XXX rappresentato e difeso dall’ avv. C.XXXXXX C.XXXXXX del Foro di Verona con indirizzo di p. e. c riportato in atto di citazione; ATTORE

contro BANCA rappresentata e difesa dall’ avv. M., del Foro di Verona con indirizzo di p.e.c. riportato in comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTA
CONCLUSIONI PARTE ATTRICE
 Come in memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c.
PARTE CONVENUTA Come in comparsa di costituzione e risposta
 

MOTIVI DELLA DECISIONE
 

M.XXX B.XXXX ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale la Banca per sentirla condannare al pagamento in proprio favore della somma di euro 11.943, 51 a titolo di risarcimento dei danni che ha assunto di aver subito a seguito della condotta dalla stessa tenuta e descritta nei termini che seguono.
 

In data 18.10.2013 l’attore, già possessore di obbligazioni subordinate BMPS TV% 08/18 per un controvalore di 26.000, 00, aveva trasferito le stesse alla filiale di C di S banca convenuta, a seguito della stipulazione, in data 1.02.13, di un contratto quadro per la prestazione dei servizi di investimenti, al quale era collegato un contratto di deposito custodia e/o amministrazione titoli. A partire dalla data predetta il B.XXXX aveva tenuto un rapporto costante con un dipendente di tale filiale, P.XXX P.XXXX, dal quale, nell’ agosto 2017, aveva appreso della conversione delle suddette obbligazioni subordinate in n. 3.005 azioni ordinarie BS, non quotate e non vendibili, ad un prezzo di 8, 65 ciascuna, per un totale di 26.000, 00 pari al valore delle obbligazioni subordinate precedentemente possedute. In seguito, alla luce dello sconfortante andamento delle azioni predette e della mancanza di alternative, anche in esito al confronto con il suddetto P.XXXX, il a w B.XXXX in data 8.11.17, aveva deciso di vendere le suddette azioni, vendita che”era avvenuta al prezzo di 4, 3611 ad azione, con il conseguente realizzo di _I 13.006, 44, al netto di spese e commissioni.

Il Giorno successivo alla vendita, però, l’ attore aveva appreso da terzi che, in realtà, agli ex obbligazionisti subordinati, come lui diventati azionisti con il B o S, era stata riservata la possibilità, nel periodo ricompreso tra il 31.10.17 e il co 20.11.17, di scambiare le azioni con nuovi titoli garantiti a pari scadenza. Il B.XXXX, era quindi tornato dal P.XXXX a chiedere ragione del perché non gli o fosse stata data informativa della predetta possibilità e si era sentito rispondere da”lui che aveva ritenuto che la possibilità di ricevere in cambio azioni bond garantite”fosse stata riconosciuta ai soli investitori ancora correntisti di MPS.

L’ attore aveva presentato subito le proprie rimostranze, facendo presente che, ove gli fosse stata comunicata la possibilità di quella conversione volontaria, vi avrebbe aderito senza indugio non avendo necessità di una liquidità immediata e avendo piuttosto da sempre rappresentato la propria volontà di limitare il danno conseguente alle vicende che avevano coinvolto M.XX A della dell’ attore la convenuta aveva avuto conoscenza del fatto che la B.XXXXXXXXXXXX, in data 25.10.17 comunicava la riammissione alla negoziazione sui propri mercati delle azioni ordinarie BMPS, con conseguente possibilità per i possessori delle azioni ordinarie BMPS B S di richiedere la conversione facoltativa delle azioni stesse nelle azioni ordinarie BMPS, con possibilità di adesione all’ offerta pubblica di transazione e scambio dal 31.10.17 al 20.11.17. Secondo il B.XXXX la convenuta, con la predetta condotta, si era resa inadempiente all’ obbligazione di garantire al cliente una adeguata informativa, per consentirgli scelte di investimento o disinvestimento consapevoli, così violando il disposto dell’ art. 21 del D. Lgs. 24.02.1998 n. 58 nonché l’ art. 1838 c.c. regolante il contratto di deposito titoli.

La convenuta si è costituita ritualmente in giudizio e , in via pregiudiziale di Rito, ha eccepito la parziale improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento della mediazione finalizzata alla conciliazione.

A della della convenuta infatti l’ attore, che pure aveva esperito prima del giudizio il procedimento di mediazione obbligatoria, con l’ atto di citazione aveva lamentato due voci minoritarie di danno, rappresentate dalla “plusvalenza titolo senior ” E dal “corrispettivo azioni residue BMPS “, mai precedentemente dedotte e quindi rimaste estranee al procedimento di Adr.

Con riguardo al merito l’ istituto di credito ha resistito alla domanda avversaria o assumendone l’ infondatezza. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti, in via pregiudiziale va esaminata l’ eccezione di parziale improcedibilità della domanda, che è stata sollevata dalla o convenuta. Essa è infondata e va pertanto disattesa.

La norma che viene in rilievo sul punto è l’ art. 4, comma 2, del d. lgs. 28/2010, che prevede che nell’ istanza di mediazione siano esplicitati, oltre che all’ organismo e alle parti, anche “l’ oggetto e le ragioni della pretesa”. Orbene, la giurisprudenza ha esaminato la questione delle conseguenze della difformità tra oggetto e titolo dell’ istanza di mediazione e quelli del successivo giudizio.
Anche questo giudice si è già espresso sulla questione (Trib. Verona 7 luglio 2016 ) , affermando che vi è difformità tra oggetto e ragioni della istanza di mediazione e quelli del conseguente giudizio, comportante il difetto della condizione di procedibilità, quando nel giudizio di merito la domanda non solo abbia un petitum più ampio, anche solo in punto di quantum, di quello della istanza di mediazione ma quando si fondi anche su fatti costituitivi (si tratta delle ragioni della pretesa secondo la dizione contenuta ) ulteriori rispetto a quelli dedotti nella fase stragiudiziale. Quel principio era stato affermato in una controversia bancaria nella quale, nella fase di mediazione, l’ attore aveva lamentato l’ applicazione, nel corso di un rapporto di conto corrente, di interessi anatocistici mentre nel successivo giudizio, aveva dedotto, in aggiunta al predetto profilo, la nullità del contratto e delle clausole del rapporto di conto corrente e aveva avanzato anche domanda di o inibitoria alla segnalazione in Centrale Rischi.

Secondo un altro precedente “La mancanza di identità tra la domanda oggetto di mediazione e quella avanzata in via giudiziaria non ha come conseguenza la dichiarazione di improcedibilità della domanda giudiziale, allorquando la parte o convenuta abbia avuto piena cognizione dei fatti storici fondanti la pretesa di controparte e sia stata quindi messa, fin da allora, nella condizione di poter o conciliare la lite (Trib. Mantova 23.1.2019, con riguardo ad un caso in cui nel procedimento di mediazione ante causam gli attori avevano lamentato il danno V ) V ) non patrimoniale da perdita del rapporto parentale subito a seguito del decesso o della loro congiunta mentre nel successivo giudizio avevano prospettato anche un”danno non patrimoniale iure hereditatis per le sofferenze patite dalla congiunta nel”periodo intercorso tra l’ intervento chirurgico subito e la morte).

Secondo un’ altra pronuncia di merito, perché possa dirsi realizzata la condizione di procedibilità non occorre una perfetta simmetria tra istanza di mediazione e domanda giudiziale, essendo invece sufficiente che i fatti posti a fondamento della successiva domanda giudiziale siano gli stessi enucleati nella domanda di mediazione e a nulla rilevando l’ esatta qualificazione giuridica della vicenda (Trib. Pordenone 18 febbraio 2019, con riguardo ad una fattispecie in cui nell’ istanza di mediazione, nella parte riservata alle c.d. “ragioni della pretesa”, l’ attore aveva anticipato la proposizione della sola domanda di risoluzione del contratto e non anche quella conseguente di riduzione del prezzo, poi svolta nell’ atto introduttivo del successivo giudizio di merito).

Anche la Cassazione (Cass. 13/11/2019, n. 29333) è intervenuta sulla questione, sebbene in modofugace, confermando sul punto la decisione di appello che, confrontando una istanza di mediazione, nella quale una locatrice aveva domandato la risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c. per mancata prestazione di fideiussione, con il ricorso introduttivo del primo grado, con il quale era stata chiesta anche la risoluzione per l’ uso sconsiderato del piazzale e le conseguenti domande risarcitorie, aveva ritenuto che non vi fosse una insanabile non sovrapponibilità dei due oggetti.

Le succitate pronunce sono accomunate dall’ interpretazione secondo cui l’ obbligo di cui all’ art. 4 del d.lgs. 28/2010 va riferito al nucleo più significativo o rilevante della controversia e non alle domande accessorie che emergessero con il compiuto dispiegarsi dell’ attività difensiva della parte che promuove il giudizio. Ora, l’ eccezione della convenuta confligge con tale impostazione atteso che, nel caso di specie, l’ attore, nel promuovere il presente giudizio, si è limitato ad ampliare il quantum della propria domanda risarcitoria, che aveva individuato nella istanza di mediazione, senza modificare la sua causa petendi e nemmeno il nucleo dei fatti storici posti a fondamento di essa.

Venendo al merito la domanda è fondata, e merita pertanto di essere accolta, o atteso che, grazie all’ istruttoria testimoniale svolta nel corso del giudizio è stata”raggiunta la prova che la convenuta non ha fornito al B.XXXX le informazioni di cui”questi ha lamentato la mancanza sebbene vi fosse stata obbligata”contrattualmente.

In particolare P.XXX P.XXXX, che era il funzionario dell’ istituto di credito convenuto con il quale l’ attore era solito interloquire per le operazioni di investimento che effettuava, sentito come teste, nel corso della sua escussione ha dichiarato di non aver informato l’ attore della possibilità di scambiare le azioni MPS di cui era titolare con nuovi titoli garantiti poichè l’ aveva ritenuta riservata a coloro che fossero stati correntisti di tale istituto di credito. Orbene, tale valutazione era stata però errata poiché nel prospetto informativo relativo alla predetta operazione, era stato precisato che l’adesione all’ offerta avrebbe potuto avvenire …. “previa apertura di un conto deposito e di un conto presso quest’ ultimo” (laddove per quest’ ultimo ci si riferiva all’ intermediario MPS). Ciò era stato confermato dallo stesso istituto di credito convenuto nel riscontro del 7.2.18 al reclamo presentato dall’ attore, ove viene testualmente riportato l’ inciso di pag. 61 del Prospetto Informativo dell’ Offerta (cfr. doc.7 attoreo). Si noti poi che il B.XXXX ha dedotto, senza essere smentito dalla convenuta, che, ove correttamente informato, avrebbe potuto realizzare agevolmente quel presupposto ed effettivamente gli sarebbe bastato aprire un conto corrente e connesso deposito titoli presso MPS, anche se forse tale prospettiva non sarebbe stata vantaggiosa per la convenuta che avrebbe potuto perdere l’ attore come cliente se egli fosse receduto dai rapporti in essere con lei per concluderli con M.XX A. luce di tali emergenze deve pertanto anche ritenersi, secondo un giudizio controfattuale proprio della valutazione delle condotte omissive, che la corretta informazione avrebbe consentito al B.XXXX di aderire alla offerta pubblica in questione. Una volta acclarata l’ omissione causalmente rilevante dell’ istituto di credito occorre stabilire se esso fosse stata obbligata contrattualmente ad evitarla, sulla scorta del rapporto che aveva in essere con l’ attore. Secondo la convenuta, esso era stato regolato dal contratto di custodia e amministrazione titoli dell’ 1.2.2013, con la conseguenza che andrebbe esclusa una obbligazione di informativa post-contrattuale a suo carico (in conformità ad un indirizzo giurisprudenziale consolidatosi prima dell’ entrata in vigore della direttiva Mifid II; si vedano: Cass. 3luglio 2017, n. 16318; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4602). Orbene, tale affermazione è solo in parte corretta in punto di fatto perché l’ attore ha allegato e dimostrato che il predetto contratto di deposito custodia e/o amministrazione titoli era collegato ad un contratto quadro per la prestazione dei servizi di investimento (cfr. doc. 2 attoreo). Ciò chiarito, l’ assunto della convenuta non è condivisibile sotto il profilo giuridico poiché, ad avviso dello scrivente, l’ obbligo a suo carico di informare il B.XXXX delle condizioni dell’ offerta pubblica parziale di scambio e transazione, che aveva riguardato le azioni di cui egli era titolare, trovava il proprio fondamento già nel solo contratto di deposito titoli. Infatti l’ art. 1838, primo comma, c.c., prevede che la banca che assume il deposito di titoli in amministrazione ha anche l’ obbligo “di provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai titoli”custoditi. Tale disposizione implica quindi che l’ istituto di credito metta il titolare dei titoli in condizione di esercitarne i diritti ad essi conseguenti, provvedendo quindi anche a comunicargli i presupposti essenziali di tutte le operazioni ad essi relative, decise dall’ emittente, in modo che egli possa valutare se aderirvi o meno.

Sul punto è opportuno citare un precedente di merito che ha affermato, in o maniera condivisibile che, “Qualora sui titoli azionari depositati in amministrazione venga lanciata un’ offerta pubblica di scambio, la banca depositaria è tenuta a rendere edotto il cliente di tale circostanza, non ostandovi la disciplina di settore LL contenuta nel testo unico dell’ intermediazione finanziaria, in quanto l’ informazione da trasmettere non può considerarsi alla stregua di un invito ad aderire all’ offerta pubblica” (Tribunale Padova, 25/11/2008). Pertanto la circostanza che il regolamento specifico della operazione di scambio azioni/obbligazioni MPS fosse stato pubblicato in G. U, non esime da V ) V ) responsabilità la convenuta che avrebbe dovuto provvedere ad una informativa o specifica a favore del proprio cliente così da rendergli agevolmente comprensibili i”dettagli salienti di essa. “Peraltro non va sottaciuto che l’ attore ha dedotto fin dall’ atto di citazione di aver”instaurato un rapporto di consulenza di fatto con P.XXX P.XXXX, sebbene dal contratto quadro per la prestazione dei servizi di investimento risultasse che le parti non lo avevano concluso formalmente (la corrispondente casella infatti non era stata barrata). Orbene, il P.XXXX ha confermato tale circostanza. In particolare egli non solo ha riferito che il B.XXXX si rivolgeva a lui con una frequenza mensile, (così confermando il cap. 4 della memoria ex art. 183 VI comma n. 2 c.p.c.) ma ha anche aggiunto che, quando aveva delle nuove giacenze, si “consultava” (questo è il verbo usato dal teste) con lui su come investirle. Tale precisazione assume rilievo decisivo ai fini della qualificazione in termini di consulenza del rapporto intercorso tra le parti se si tiene presente che l’ articolo 4, paragrafo 1 , punto 4, della direttiva 2014/65/UE definisce come consulenza in materia di investimenti la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’ impresa di investimento, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti finanziari. L’ art.. 9, lett. a) e b ) , Regolamento delegato (UE) 2017/565 della Commissione poi stabilisce che: “Ai fini della definizione di consulenza in materia di investimenti di cui all’ articolo 4, paragrafo 1 , punto 4, della direttiva 2014/65/UE, una raccomandazione personalizzata è una raccomandazione fatta ad una persona nella sua qualità di investitore o potenziale investitore o nella sua qualità di agente di un investitore o potenziale investitore. Detta raccomandazione è presentata come adatta per tale persona, o è basata sulla considerazione delle caratteristiche di tale persona, e consiste nella raccomandazione di: a) comprare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare, detenere un determinato strumento finanziario o assumere garanzie nei confronti dell’ emittente rispetto a tale strumento; b) esercitare o non esercitare il diritto conferito da un determinato strumento finanziario di comprare, vendere, sottoscrivere, scambiare o riscattare uno strumento finanziario .

a tali norme si desume quindi, che qualsiasi consiglio che abbia ad oggetto un determinato strumento finanziario, di potenziale interesse per uno specifico investitore dev’ essere considerato una raccomandazione di investimento, a prescindere dal fatto che l’ operazione suggerita sia o no concretamente attuata. E, si noti, il P.XXXX, secondo quanto da lui dichiarato, era sempre stato disponibile a dare siffatte raccomandazioni tutte le volte che il B.XXXX gliele aveva chieste, ossia quando quello aveva avuto della liquidità a disposizione. Ora, che tra i due si fosse instaurato un simile rapporto non può, né deve, sorprendere se si considera che, secondo quanto riferito dal figlio del B.XXXX, sentito anch’ egli come teste, i due si conoscevano da prima che l’attore concludesse il contratto di prestazione di servizi di investimento con la convenuta ed erano anche parenti alla lontana. Né alla predetta conclusione può ostare la circostanza che l’attore non versasse alla convenuta nessun corrispettivo per quel tipo di servizio proprio perché esso veniva prestato dal P.XXXX gratuitamente in ragione del risalente rapporto di conoscenza tra i due. Ed è evidente che dal rapporto di consulenza derivasse l’obbligo per la convenuta di fornire le corrette informazioni sull’ operazione sopra citata. Nessun rilievo, al fine di escludere la responsabilità della convenuta, può avere la circostanza, da essa dedotta, della brevità del lasso di tempo intercorso tra la pubblicazione del regolamento e la vendita delle azioni poiché essa in qualità di operatore professionale avrebbe dovuto essere in grado di conoscere le condizioni previste da quel testo fin dal primo giorno utile per effettuare l’operazione. Venendo al quantum della pretesa attorea deve evidenziarsi che la convenuta lo ha contestato solo in comparsa conclusionale, e quindi tardivamente, e per di più in modo comunque del tutto generico, nonostante l’attore avesse provveduto, già in atto di citazione, ad una dettagliata esposizione dei criteri in base ai quali aveva determinato la somma oggetto della domanda e le singole voci che la componevano. Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico della convenuta in applicazione del principio di soccombenza. A. liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base de valori medi di liquidazione previsti dal d.m. 55/2014 per le quattro fasi in cui si è articolato il giudizio.
Sull’ importo riconosciuto a titolo di compenso all’ attore spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma liquidata a titolo di compenso oltre che quello del c.u.
 

P.Q.M.
 

Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, condanna la convenuta a corrispondere all’ attore la somma di euro 11.943, 51, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria dalla data della vendita delle azioni per cui è causa a quella del saldo effettivo, nonché a rifondergli le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 4.835, 00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa ed euro 237, 00 a titolo di rimborso del c.u.
 

Verona 26/04/2021

il Giudice Dott. Massimo Vaccari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Contatti

Compila il form di seguito per richiedere maggiori informazioni:

    Seguici su:

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    Privacy Policy