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29.01.2018 – Vasto – Capuozzo

In NOME del POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ROMA SEZIONE Sez.XIII°
N. RG.84609-2007
REPUBBLICA ITALIANA
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
nella causa tra
A.M.C.(avv.to A.S.)
attrice
E
Dott. M.A.(avv.ti G.I. e L.V.)
convenuto
E
Spa A.M.in persona del suo legale rappresentante pro tempore
terzo chiamato (avv.P.C.)
E
F.S.S. (avv.ti E.P., L.A., A.P. e I. G. P.)
terzo chiamato
E
S.A. Z.I.C.in persona del legale rappresentante pro tempore (avv.R.R.)
terza chiamata
ha emesso e pubblicato la seguente
S E N T E N Z A
letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
La motivazione che segue è stata redatta ai sensi dell’art.16-bis, comma 9-octies
(aggiunto dall’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito,
con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti
di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalita’ telematiche sono redatti
in maniera sintetica.
Poiché già la novella di cui alla l.. 18 giugno 2009, n. 69 era intervenuta sugli artt.132 cpc
e 118 att.cpc , prevedendo che la sentenza va motivata con una concisa e succinta
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, occorre attribuire al nuovo
intervento un qualche significato sostanziale, che tale non sarebbe se si ritenesse che
l’innovazione ultima sia puramente ripetitiva – mero sinonimo- del concetto già
precedentemente espresso.
La necessità di smaltimento dei ruoli esorbitanti e le prescrizioni di legge e regolamentari
(cfr. Strasburgo 2) circa la necessità di contenere la durata della cause, impongono
pertanto applicazione di uno stile motivazionale sintetico che è stile più stringente di
previgente alla disposizione dell’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, d.l.83/2015.
*
-1-
Le domande dell’attrice non risultano fondate ed in quanto tali meritano sicuro rigetto,
con correlativa ineludibile applicazione del principio della soccombenza
Qui richiamati gli atti difensivi (citazione etc) di A.M.C., l’attrice esponeva e lamentava,
fra l’altro, che reduce da pregressi interventi di artroprotesi delle anche, riportava, in
ambito che non rileva in questa sede, nel 2003 una lussazione della protesi sinistra, in
conseguenza della quale in data 18.3.2005 veniva operata dal dott. M.A. presso la Casa di
Cura A.M.per un intervento di sostituzione della protesi.
Si accertava a mezzo TAC nei giorni seguenti, a seguito di un dolore costante, l’avvenuto
sfondamento dell’acetabolo da parte della protesi femorale; sicché in data 14.4.2005
veniva eseguito, dallo stesso chirurgo, un intervento di revisione con applicazione di
innesti ossei e sostituzione della componente acetabolare. Nell’immediato
dell’intervento, insorgeva una riduzione della sensibilità del piede e della motilità delle
dita del piede, tanto da far sospettare una lesione del nervo sciatico (forse dovuta al fatto
che durante la notte del 15 aprile a causa di un cambio di posizione effettuato da
un’infermiera della Casa di Cura A.M. avvertiva un dolore intenso ed acuto).
Essendo stata accertata una nuova lussazione della protesi, veniva sottoposta in data
16.4.2005 ad un ulteriore intervento chirurgico a cura del dott. A. che le riferiva che il
nervo sciatico risultava integro.
Nel gennaio 2006 un accertamento elettromiografico evidenziava una grave sofferenza
del nervo sciatico.
L’attrice lamentava gravi problemi di deambulazione ed altro, che addebitava al medico
(dr. A.) ed alla Casa di Cura.
Chiedeva il risarcimento dei danni nella misura complessiva di €.678.894.
I convenuti rigettavano ogni contestazione, dispiegando per quanto di ragione domande
di manleva e di regresso.
-2-
Va premesso che la domanda della C. contiene svariate imprecisioni, fra le quali
l’obliterazione che è incontestabile che il chirurgo che effettivamente eseguiva
l’intervento del 16.4.2005 non era il dott. A. (presente in funzione di aiuto), ma
esclusivamente il prof.S..
Il rigetto delle domande dell’attrice deriva dalle seguenti circostanze e considerazioni.
A.M.C.per come riferiva, era portatrice di protesi bilaterale d’anca (a sinistra dal 1993 e a
destra dal 1995); nel 1999 aveva subito un intervento di revisione per anticipata
mobilizzazione della protesi sx con sostituzione della parte acetabolare e della testa della
protesi; e nel 2004 accusava mobilizzazione della protesi.
La condizioni fisiche della C. erano quindi, come si vede, affacciandosi al primo intervento
(18.3.2005), quelle di una persona ad altissimo rischio per questo genere di interventi
(…caso complesso di revisione di protesi di anca destra impiantata nel 1995 …con evidenza
di perdita del patrimonio osseo specialmente a carico della cavità acetabolare con
difficoltà tecniche nel posizione il neo cotile….così gli ausiliari del Giudice, in particolare lo
specialista ortopedico dott. R); con una facilità e predisposizione a mobilizzazione, rotture
e dislocazioni delle protesi evidentemente per le precarie condizioni e consistenza dei suoi
materiali ossei.
Specificamente: paziente affetta da preesistenti esiti di artroprotesi di entrambe le anche,
già revisionata a sinistra con una situazione precaria di instabilità articolare, come
documentato da episodi lussativi riferiti in anamnesi e pertanto un quadro clinico delicato
nell’ambito del quale l’anca destra presentava un significativo grado di usura della
componente acetabolare, tanto da rendere necessario un re-intervento non con l’utilizzo
di un cotile primario, ma comunque di un cotile da revisione (così il CTU e lo specialista ad
esso associato, il dott. R, pag. 32 relazione peritale)
Condizioni fisiche (e ossee in particolare) deteriorate e deboli.
Viatico perfetto per un’elevata difficoltà degli interventi e rischiosità degli esiti.
Il Giudice non apprezzava, motivatamente (cfr. ordinanza del 25.6.2015) il contenuto della
relazione del C.T.U. (nominato dalla collega in precedenza titolare della causa) e
procedeva a nuova consulenza con specifico quesito relativo alla lesione del nervo sciatico
affidato alla dott.R.C.medico legale, ed al dott.Giancarlo R, specialista ortopedico.
La complessità della fattispecie (testimoniata dall’approfondita ricerca della verità
attraverso un accertamento tecnico preventivo e due consulenze tecniche nella causa che
a quello seguiva) non ha consentito tuttavia di pervenire ad una risposta certa ed univoca
(neppure applicando il noto criterio residuale del più probabile che non) in termini di
danno e di nesso causale.
Va ancora premesso che il prof.S. chiamato in causa dalla spa Z. non è più parte di questa
causa a seguito di rinunzia della stessa chiamante 1, accettata da tutte le parti costituite (anche dal dott. A., cfr. da ultimo la sua comparsa conclusionale)
Il Giudice dichiarava estinta nei confronti del prof. S. la causa (ord.del 26.9.2016
integrativa dell’ordinanza del 25.6.2015)
Tuttavia, quand’anche si esamini la condotta del prof. S. (traguardata dal punto di vista
dell’eventuale responsabilità della Casa di Cura, la cui pretesa estraneità ad ogni
responsabilità è, in linea di principio, erronea considerata la contraria condivisa
giurisprudenza al riguardo, cfr.ord.20.2.2017 3), non si può non vedere che
 si trattava di intervento di straordinaria difficoltà in una paziente plurioperata, con
condizioni ossee fragili e degradate e, per quanto riguarda l’anca destra,
sottoposta a 2° reintervento 4
 il chirurgo operatore, che era esclusivamente il prof.S. (e non il dott. A.)
provvedeva a individuare e proteggere il nervo sciatico (cartella dell’intervento del
16.4)
L’art.2236 cc prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di
speciale di fficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di
colpa grave .

1
con atto notificato in data 26 maggio 2009, la S.A. Z.I.C., già chiamante in causa del prof. F.S. S., dichiarava
di rinunciare alla chiamata in causa dello stesso (risultato anch’egli suo assicurato)
2
In particolare la C. dichiarava che non intendeva estendere la domanda nei confronti del prof. F. S. S. che
non era mai stato da lei incaricato e che, se ha partecipato all’intervento, lo ha fatto solo ed esclusivamente
su richiesta del dott. A.
3
..in punto di autonoma responsabilità della casa di cura per i danni arrecati dal personale medico,
dipendente o meno che sia in considerazione della natura del rapporto che si instaura con il paziente
(obbligazione soggettivamente complessa con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta)
4
la paralisi nervosa è una delle possibili e ben note complicanze della protesizzazione di anca con
significative percentuali negli impianti effettuati su lussazione congenita e nella chirurgia di revisione
In epoca più recente, la giurisprudenza della S.C. ha svalutato alquanto la portata della
norma, ritenendola implicante “solamente una valutazione della colpa del professionista
in relazione alle circostanze del caso concreto ” (così Cass. 13/4/2007, n. 8826)
Si tratta di un understatement che si iscrive nella diffusa ed ampia tendenza, espressa
negli ultimi decenni, della S.C. ad aggravare sotto ogni profilo ed anche con
estremizzazioni difficilmente condivisibili (di cui sono esempi la costruzione della
responsabilità per c.d. contatto sociale, l’applicazione tutta particolare per la
responsabilità medica dell’istituto del danno da perdita di chances etc.), la responsabilità
del medico.
Il tutto, con il rischio di esondare rispetto alla funzione nomofilattica (ma non creativa)
che la Costituzione assegna al Supremo organo della giurisdizione ordinaria.
Occorre, anche nello spirito riequilibratore operato dalla recente legge 24/2017, dare il
corretto significato a tale norma che non è stata mai abrogata, pur avendo subito
interpretazioni mutevoli ratione tempore. La parametrazione, disegnata sia pur
timidamente nella predetta legge (agli art.5,6,7), della sussistenza o dell’intensità della
colpa al rispetto o meno di linee guida e buone pratiche cliniche, consente di affermare il
principio che non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente
significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici di
speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o esse mancando, alle buone pratiche
cliniche-assistenziali, quali che siano stati i risultati dell’intervento dal medesimo
effettuato.
Peraltro, nel caso di specie non è stata neppure raggiunta la prova dell’esistenza di una
condotta erronea e colposa dei medici.
In particolare infatti, nulla si può addebitare al dott. A. – che aveva già in passato trattato
chirurgicamente e con successo A.M.C.- e che ha operato con la massima diligenza,
testimoniata da
 la metodica usata (utilizzo di cotile McMinn) era – per le conoscenze scientifiche
dell’epoca- idonea al caso (così CTU dott. C. e dott. R. ausiliario del Giudice)
 durante la manovra cruenta di tale tecnica si possono verificare delle fratture della
parete acetabolare , in quanto il limite fra consistenza ossea e forza da applicare
per ottenere una valida stabilità dell’impianto è molto esile (così CTU dott. C. e
dott. R ausiliario del Giudice)
 aver preparato, prima dell’intervento vero e proprio, il nervo sciatico proprio per
prevenire danni allo stesso (risultanza della cartella clinica del 14.4.2005),
 il re-reintervento effettuato il 14/04 veniva eseguito dopo la rimozione del cotile
McMinn che risultava mobile, con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa
iliaca ed ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi
(così il dott. R., pag.29), il che dimostra accortezza e prudenza, nonché adeguata
valutazione delle implicazioni della difficile operazione,
 aver voluto associare a sé, da parte del dott.A., un professionista con maggiore
competenza ed esperienza, il prof.F.S.S. è ulteriore testimonianza di accortezza,
diligenza e prudenza. In questo contesto, ipotizzare, essendo assenti palesi e certi
atti medici erronei, una responsabilità (da partecipazione ad intervento
chirurgico in equipe) del dott. A. costituirebbe un’aporia (non essendo esigibile
altro ad un medico che sia stato così accorto da richiedere la presenza di altro e
maggiormente esperto specialista), ovvero una indebita applicazione di
responsabilità oggettiva.
Con tale premesse, la consulenza disposta dal Giudice con ordinanza del 25.6.2015 non
consente di ritenere raggiunta la prova (che incombe alla danneggiata) del nesso causale
fra operato dei medici e evento dannoso.
Gli ausiliari del Giudice invero, concludono il loro studio con la seguente lapidaria
affermazione (pag. 30 e 34 della relazione):
“vi è stata una lesione del Nervo Sciatico Popliteo Esterno (SPE) durante il terzo atto
chirurgico per manovre di stiramento o compressione eccessiva che hanno prodotto una
sofferenza del nervo medesimo”
Tale conclusione va sottoposta ad esame critico sulla base delle medesime (ed invero
contraddittorie) affermazioni che si leggono nella relazione:
18.3.2005 revisione (per complicanza estranea all’ attività medica) protesi anca dx –
intervento di protesi anca chirurgo operatore dott. A.
Il dott.R a pag.28 prospetta ed individua manchevolezza del dott. A., in sostanza, nella
non adeguata preventiva valutazione del rischio e gestione dello stesso nell’immediato e
la consistenza del fondo acetabolare e la stabilità del fittone iliaco
Si tratta di affermazioni inconcludenti, infatti, in un ambito di applicazione di metodica
operatoria che viene definitiva corretta per l’epoca, non è chiaro – perché gli ausiliari non
lo dicono – che cosa sarebbe cambiato, in meglio, se invece di accertarla (la frattura del
fondo acetabolare) il 7 aprile il dott. A. l’avesse accertata prima; evidentemente,
assolutamente niente.
14.4.2005 prima reintervento
Veniva applicata metodica definita corretta: lo stesso dott. R espone infatti che in questo
reintervento si procedeva con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa iliaca ed
ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi
Il dott. R (pag.29 – 31) sostiene che la mattina del 15 si manifestavano parestesie per cui il
nervo doveva essere stato danneggiato durante l’intervento chirurgico (del 14), mentre la
frattura della protesi (che considera – giustamente- complicanza non colposa) non ne
sarebbe la causa primaria, evocando quindi manovra incongrua sul nervo sciatico,
16.4.2005 secondo reintervento
Il dott. R, con tali premesse, afferma (pag.30 e 34 della relazione) in modo chiaro e
preciso, che la lesione del nervo sciatico si è verificata nel corso del terzo intervento
chirurgico (2° reintervento) indicando come unico responsabile il prof.S. (chirurgo
operatore)
E’ di lampante (e disarmante) evidenza il corto circuito del contraddittorio ragionamento
che attesta vieppiù l’incertezza della ricerca e individuazione dell’esatto svolgimento
degli eventi, in particolare di quello dannoso della lesione del nervo sciatico.
La verità che rimanda la lettura degli atti della vicenda in esame è che non è dato sapere
con certezza quando come e perché si sia prodotto l’evento danno (lesione del nervo
sciatico SPE)
Che ben potrebbe, nell’irrisolvibile incertezza in cui si svolge il ragionamento dello
specialista e del CTU, essersi verificata a seguito della lussazione della protesi 5
(fatto che
costituisce pacificamente una complicanza non colposa, cioè non riconducibile ad errore
medico essendo state attuate e rispettate esattamente le linee guida vigenti all’epoca,

5
complicanza non evocativa di responsabilità di alcuno dei convenuti
cfr. CTU C./R.), pure considerato che dalla cartella clinica non risultano presenti parestesie
dopo l’intervento del 14 marzo se non ad oltre 16 ore di di-stanza dalla fine
dell’intervento.
Esclusa la percorribilità, per una causa datata, dove sono state effettuate tutte le indagini
possibili, di ulteriori accertamenti, occorre evidenziare e seguire il fondamentale e
condivisibile principio enunciato dalla S.C. (Cass.26 luglio 2017, n. 18392) secondo cui
grava sul creditore l’onere di provare il nesso di causalità fra l’azione o l’omissione del
sanitario ed il danno di cui domanda il risarcimento. Non solo il danno ma anche la sua
eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all’attore di provare. Ed invero se si
ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da colui che allega tale
ascrizione la riconducibilità in via causale del danno a quella condotta. Se, al termine
dell’istruttoria, resti incerti la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in
termini di onere della prova gravano quindi sull’attore (conforme 26824/17 del
4.11.2017)
-3-
Al necessario rigetto delle domande della C. NON consegue la condanna alle spese di
causa.
A tale proposito va evidenziato quanto segue.
Con l’ordinanza del 22.2.2017 il Giudice aveva articolato una proposta ai sensi dell’art.185
bis cpc.
Disponendo che, ove non raggiunto l’accordo, la discussione proseguisse in sede di
mediazione (demandata ai sensi dell’art.5 co.II decr.lgsl.28/2010) 6
.

6 …In particolare si formula la proposta in calce sviluppata, che è parte integrante di questa ordinanza.
Benchè la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc debba essere motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta
ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e
convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente.
Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.
La formulazione dell’ordinanza veniva, come di consueto, accompagnata da indicazioni
motivazionali e da indicazioni ed avvertimenti.
In particolare sulla circostanza che altro è la proposta conciliativa che si fonda in larga
parte sull’equità, che consente ad ognuna delle parti di valutare al meglio, interessi e
convenienze (compreso il rischio insito nei vari gradi di giudizio nei quali si può articolare
la causa non conciliata), ed altro è la sentenza.

Alle parti si assegna termine fino alla data del 30.3.2017 per il raggiungimento di un accordo amichevole
sulla base di tale proposta.
Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg.15 per
depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per
prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto; con il vantaggio di poter
pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista
economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Vanno, ancora, avvertite le parti che:
a. la proposta del giudice che segue è permeata da un contenuto di equità e che oltre a ciò l’esito
dell’ulteriore corso della causa, laddove mancasse l’accordo, non consente a ciascuna delle parti di
considerare definitivamente stabilizzati, nel bene e nel male, i suoi contenuti;
b. vanno avvertite le parti che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come
modificato dal D.L.69/’13 è richiesta alle parti 6 l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione
demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che
oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione senza
giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere (per
l’attore) alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito
della causa.
Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire;
viceversa, in caso di mancato accordo, fisseranno a verbale in quella sede, come supra detto, le loro
posizioni al riguardo.
P.Q.M.
 INVITA le parti a raggiungere un accordo conciliativo/transattivo sulla base della proposta che
il Giudice redige in calce; concedendo termine fino alla data del 30.3.2017;
 DISPONE che le parti, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, procedano alla
mediazione della controversia;
 INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini
di cui all’art.4, co.3° co.decr.lgsl.28/2010;
 INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata
partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; oltre che alla possibile applicazione dell’art. 96 co.III° cpc;
 FISSA termine fino al quindicesimo giorno dalla scadenza del primo termine indicato supra
per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
 RINVIA all’udienza del 10.7.2017 h.9,30 per quanto di ragione.-
Roma lì 20.2.2017 Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi
Inoltre il Giudice avvertiva delle conseguenze (latu sensu, sanzionatorie), che derivano
dalla ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione demandata.
Conseguenze ampiamente note perché edite anche on line.
Che il mancato rispetto dell’ordine impartito dal Giudice ai sensi dell’art. 5 co.II° della
legge integri colpa grave (se non dolo) è indiscutibile, ampiamente motivato, dimostrato
e confermato dalla giurisprudenza, che si richiama, anche ai sensi dell’art.118 att. cpc , in
nota 7
Inoltre, è stato affermato che la mancata partecipazione, ingiustificata come in questo caso
8, al procedimento di mediazione può costituire valido motivo per la compensazione delle
spese anche nei confronti della parte interamente vincitrice 9
La ragione addotta dai convenuti e terza chiamata per non partecipare all’esperimento di mediazione
introdotto da A.M.C., davvero inconsistente, è che la proposta del Giudice veniva accettata dalle parti – tutte meno la C. che la riteneva insufficienteAu contraire, la previsione di un successivo percorso di mediazione era stato ideato e disposto dal Giudice proprio al fine di consentire un approfondimento e sviluppo della proposta, con la presenza corale delle parti e del mediatore. Come dimostra l’incalzante evoluzione culturale socio-giuridica, cfr. art.8 l.24/2017, la partecipazione ai procedimenti conciliativi è un valore a se stante, che prescinde dall’esito del merito della causa.
Ed invero l’art. 92 cpc dispone che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo
precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le
ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare
una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di
cui all’articolo 88 cpc, essa ha causato all’altra parte
Premesso che è di ovvia evidenza che la condanna della parte vittoriosa alle spese contiene,
come il più contiene il meno, la possibilità di compensazione, si reputa giusto procedervi
nei rapporti fra i convenuti (che hanno trasgredito al dovere di una leale condotta
processuale ) e l’attrice.
La sentenza è per legge esecutiva.-
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta,
così provvede:

  1. RIGETTA le domande di A.M.C.;
  2. CONFERMA l’estromissione dal giudizio del prof. F.S.S.;
  3. COMPENSA per intero le spese di causa.-
    Roma lì 1.2.2018 Il Giudice
    dott.cons.Massimo Moriconi

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