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    Commento alla giurisprudenza

    Ivan Giordano – giurista d’impresa con laurea presso l’Università Bocconi in Economia e Legislazione per l’impresa; consigliere direttivo dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR; Presidente e Responsabile scientifico di ICAF; project leader del tavolo tecnico istituito presso UNI – Ente nazionale di normazione tecnica per la definizione della PdR sul procedimento di mediazione civile e commerciale.

    La mediazione che funziona!

    Dall’avvio unilaterale alla proposta del mediatore, dalla CTU in mediazione all’intervento notarile, dai benefici fiscali alla corretta verbalizzazione, dalla giurisprudenza al Regolamento dell’Organismo: tutte le leve della procedura che rendono vincente il procedimento.

    A distanza di oltre cinque anni dall’introduzione della mediazione civile e commerciale nel nostro Paese, tramite il D.Lgs 28/2010 e s.m.i., è tempo di fare un “bilancio” di come a questo strumento sia stata data applicazione analizzando quali modalità operative abbiano garantito ai relativi fruitori i maggiori margini di successo.

    Secondo le statistiche che gli Organismi di Mediazione sono tenuti a rilevare, dal 2010 al 2016 si sono delineati importanti divari sui successi dei procedimenti. Infatti, nonostante tutti gli organismi dipendano dal medesimo accreditamento presso il Ministero della Giustizia, alquanto “curiosi” appaiono i risultati, confrontati su campioni numerici sostanzialmente equivalenti, rilevati dai singoli Organismi. Alcuni infatti hanno percentuali di accordo inferiori al 10%, altri superiori al 90%.

    Quali differenze quindi possono intercorrere fra Organismi di Mediazione accomunati dal medesimo accreditamento ministeriale?

    Il tema è molto delicato in quanto il potenziale fruitore del servizio di mediazione che potrebbe essere un cittadino, un imprenditore, una pubblica amministrazione, un ente di gestione o qualsivoglia altra figura coinvolta in un conflitto di natura civile o commerciale, si approccia con gli Organismi di Mediazione senza essere dotato degli strumenti valutativi che gli consentano di verificare quali differenze li caratterizzano e li qualificano. Essendo i compensi, di fatto, salvo alcuni rari casi, uniformati ai valori di cui alla tabella A del D.M. 180/2010 e s.m.i., risulta davvero complesso per i soggetti che si servono dello strumento della mediazione valutare, prima di servirsene, la qualità di un Organismo rispetto alle aspettative attese dal servizio.

    Il D.Lgs 28/2010 e s.m.i., gli ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali, la formazione del mediatore e l’art.7 del citato D.M.180/2010 e s.m.i. sono le “chiavi di lettura” per comprendere questo complesso scenario. Inoltre, a rendere ancor più articolata questa analisi, contribuiscono in modo determinante la formazione e l’orientamento del Responsabile dell’Organismo e le policy interne ad esso.

    Analizziamo ogni aspetto di questo complesso ma affascinante scenario.

    Dapprima occorre verificare quali “mission” e quali “vision” ha l’Organismo di Mediazione. In altri termini come intende l’Organismo collocarsi sul “mercato” e quale visione del mercato hanno i propri organi interni (soci, amministratori, altri organi equivalenti in caso di enti non privati). Esistono Organismi di Mediazione interni agli Ordini e ai Collegi professionali, altri emanazione di associazioni di categoria, altri istituiti presso le Camere di Commercio e altri costituiti nell’ambito di organizzazioni commerciali di natura privata. Le origini dell’Organismo di Mediazione ne condizionano fortemente il posizionamento sul mercato, declinando la propria attività in procedure aventi caratteristiche e qualità differenti che poi determinano percentuali di accordo disomogenee. Gli orientamenti forniti dall’Organismo ai propri organi interni sono quindi determinanti per comprendere il successo o l’insuccesso dell’intera singola organizzazione.

    A questo punto il quesito che sorge in modo naturale è il seguente: se il costo del servizio di mediazione è sostanzialmente equivalente nei vari Organismi, perché dovrei scegliere di servirmi di un Organismo che conclude i procedimenti di mediazione con percentuali inferiori al 10% quando ne esistono con performance superiori al 90%? Effettivamente la risposta è una sola: non esiste un valido motivo.

    E quindi, cosa porta le parti ad acquistare un servizio di mediazione presso un Organismo che ha performance molto basse, considerando che la scelta di un Organismo più efficacie ha un costo sostanzialmente equivalente? La risposta è sempre una sola: la non conoscenza dello strumento e delle caratteristiche del servizio oppure la delega della scelta dell’Organismo ad altro soggetto.

    L’analisi delle procedure di mediazione e delle diverse modalità con le quali vengono amministrate dai vari Organismi di Mediazione consente di effettuare una serie di valutazione su quali best practice consentono di ottenere risultati di grande soddisfazione e su quali diverse modalità operative restituiscono risultati mortificanti.

    La nostra analisi quindi, superata la fase dell’impostazione dell’Organismo che l’assetto proprietario o l’organo amministrativo intendono tenere, passa al delicato ruolo del Responsabile dell’Organismo.

    Questa figura rappresenta il fulcro dell’intera Organizzazione, secondo le caratteristiche dell’accreditamento Ministeriale, in quanto fornisce le linee guida (sentito il parere dell’assetto proprietario e dell’organo amministrativo) nel rispetto delle normative cogenti, influenzando sensibilmente tali orientamenti con la propria formazione personale. C’è infatti chi sostiene che i procedimenti debbano fondarsi su dinamiche esclusivamente “valutative” (nell’ambito delle quali il mediatore assume esclusivamente un ruolo di “facilitatore”), chi invece oltre alle dinamiche “valutative” sostiene o quanto meno non esclude quelle “aggiudicative” (consentendo o addirittura stimolando la “proposta del mediatore”).

    Sempre fra i Responsabili di Organismo esistono professionisti che credono nell’amministrazione del procedimento di mediazione applicando le tecniche di comunicazione e negoziazione in modo “puro” e non condizionato dalla procedura, ritenendo che le dinamiche procedurali siano controproducenti per l’individuazione e la composizione di un buon accordo; altri che ritengono che le dinamiche procedurali e la giurisprudenza rappresentino leve determinanti perché le parti siano più favorevoli a sedere al tavolo della mediazione e quindi costituiscano un’importante strumento su cui il mediatore può fondare parte dei propri punti di forza.

    Gli orientamenti dell’assetto proprietario e dell’organo amministrativo (o altri organi equivalenti) condizionano non solo il punto di vista e quindi le linee guida del Responsabile dell’Organismo, bensì anche le caratteristiche del Regolamento di Procedura.

    Ai sensi dell’art.3 del D.Lgs 28/2010 infatti la mediazione viene amministrata secondo quanto previsto dal Regolamento di Procedura. Ed è questo, quindi, l’anello debole sul quale puntare la nostra attenzione. E’ il Regolamento di Procedura che rende differente un organismo da un altro nonostante tutti siano “figli” del medesimo accreditamento ministeriale. È quindi nel Regolamento di Procedura che possiamo individuare le differenze fra organismi e scegliere, di fatto a parità di condizioni economiche, di quale servirci e a quale affidarci per la risoluzione di un conflitto.

    Ma cosa costituisce l’elemento essenziale e fondamentale che può favorire al raggiungimento di un accordo? Può apparire banale ma alla base di un possibile accordo vi è la partecipazione attiva e propositiva delle parti coinvolte dal conflitto.

    È importante quindi servirsi, per poter aumentare le prospettive di un accordo, di un Organismo che favorisca la partecipazione delle parti e che ne favorisca un approccio propositivo e costruttivo.

    È evidente che la disponibilità conciliativa di una parte non può dipendere dall’Organismo, ma le modalità operative con le quali l’Organismo e il mediatore operano possono influire sulla disponibilità e il comportamento delle parti in mediazione o sulla loro adesione o meno.

    Infatti è fondamentale il comportamento professionale del mediatore all’incontro di programmazione. Se il mediatore svolge con rigore i tre passaggi fondamentali previsti dal legislatore con il riformato art.8 del D.Lgs 28/2010 e s.m.i. ovvero “informare” le parti circa le caratteristiche del procedimento, “verificare” con le parti la possibilità intesa come “mediabilità” del controversia sotto il profilo oggettivo e quindi “invitare” le parte ed i rispettivi avvocati ad “esprimersi sulla possibilità” e lascia traccia di queste tre fasi nel verbale dell’incontro, la probabilità che le parti si sottraggano all’inizio e quindi al reale successivo avvio del procedimento si riduce al minimo. La parte “resistente” alla procedura infatti, dovrebbe dichiararsi palesemente contraria all’avvio della mediazione innanzi ad un verbale nel quale il mediatore dimostra (anche a futura memoria e a propria tutela professionale) di aver fornito ogni informazione (e quindi nel dettaglio anche i rischi che secondo giurisprudenza si corrono sottraendosi dalla procedura nell’eventuale successivo giudizio), di aver verificato se la controversia è mediabile concludendo tale verifica positivamente e rilevandolo a verbale, e di aver richiesto espressione di parere in merito alle parti tutte rilevando a verbale il riscontro di ciascuna parte e di ciascun avvocato a tale richiesta. Le modalità di verbalizzazione da parte del mediatore dipendono dalla sua formazione, dalle linee guida del Responsabile dell’Organismo e dal Regolamento di Procedura.

    Lo scenario appena rappresentato sarebbe tuttavia applicabile da un buon mediatore solo in presenza di tutte le parti. Di quali strumenti dispone il mediatore innanzi all’assenza di una o più parti all’incontro di programmazione? Il mediatore può proporre l’avvio unilaterale del procedimento. Questa possibilità deve essere ai sensi dell’art. 7 del D.M. 180/2010 e s.m.i. contemplata dal Regolamento di Procedura altrimenti non è percorribile. L’avvio unilaterale è fortemente consigliato dal Ministero della Giustizia come indicato nella Circolare del 04.04.2011, in quanto consente la formulazione di proposte alle controparti e un’occasione di analisi e di eventuale rimodulazione delle aspettative da parte della parte presente, oltre che la formulazione della proposta del mediatore (con i possibili effetti dell’art.13 del D.Lgs 28/2010 e s.m.i.).

    L’avvio unilaterale rappresenta una leva straordinaria per la successiva e tardiva adesione delle parti al procedimento, ma l’efficacia di questo strumento dipende da come viene redatto e dai contenuti del verbale del primo incontro in cui la parte presente decide di non far fallire il procedimento per mancata adesione della controparte ma intende avviarlo unilateralmente. In questo verbale infatti devono essere posti in evidenza i rischi che secondo norma e giurisprudenza sono corsi dalla parte non presente al procedimento. Nel procedimento avviato unilateralmente infatti la parte presente può formulare proposte (si veda Circolare Ministeriale 04.04.2011), può richiedere la proposta del mediatore (si vedano l’art.7 del D.M.180/2010 e gli artt.11 e 13 del D.Lgs 28/2010), può ottenere (tramite la nomina che deve avvenire su iniziativa del mediatore) lo svolgimento di una CTU anche in “contumacia” di controparte, può eccepire il comportamento stragiudiziale della parte assente, il tutto con evidenti effetti ormai ampiamente consolidati dagli orientamenti giurisprudenziali. Tale scenario, rappresentato in modo dettagliato nel verbale dell’incontro nel quale prende forma l’avvio unilaterale, reso noto alla parte assente con notifica del verbale stesso, garantisce percentuali di adesione tardiva a seguito di mancata adesione al primo incontro sensibilmente elevate.

    Gli Organismi che favoriscono un procedimento di mediazione “aggiudicativo” dopo aver coltivato, anche preferibilmente, il percorso della mediazione “facilitativa” dal punto di vista statistica, alla luce degli ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali, hanno maggiori leve per il raggiungimento dell’accordo.

    La consapevolezza delle parti che, anche in assenza di loro richiesta congiunta, il mediatore possa in caso di mancato raggiungimento di un accordo (oppure in caso di avvio unilaterale) formulare liberamente una proposta e che tale proposta potrebbe condizionare il successivo giudizio anche collocando l’onere delle spese legali e processuali in capo alla parte che dovesse vincerlo nel merito (art.13 del D.Lgs 28/2010) rappresenta la presa di coscienza della variabile di rischio che sensibilizza la partecipazione attiva alla mediazione anche di soggetti per natura più restii alla procedura. In molti regolamenti di procedura tuttavia tale possibilità (e libertà d’azione) in capo al mediatore non viene contemplata, rinunciando così ad ulteriori margini conciliativi.

    Il tema dell’individuazione del più idoneo profilo professionale del mediatore da incaricare nella specifica procedura rappresenta inoltre un ulteriore elemento discriminante nelle performance degli Organismi di Mediazione. Se da un lato gli organismi ordinistici o di settore hanno mediatori tutti appartenenti alla medesima categoria professionale (avvocati, ingegneri, commercialisti, geometri, etc.) e quindi non sempre adattabili alle specifiche esigenze in termini di competenza in capo al singolo procedimento di mediazione, dall’altro gli organismi “generalisti” debbono curare con particolare attenzione la formazione d’origine e continua dei propri mediatori. In entrambi i casi occorre verificare quali siano i parametri con cui il Responsabile dell’Organismo individua e nomina i mediatori da incaricare in ogni singola procedura. Ai sensi del D.M. 180/2010 e s.m.i. i mediatori, oltre che in regola con la formazione abilitante e continua, devono essere competenti nella specifica materia oggetto di controversia. Il Responsabile dell’Organismo quindi deve analizzare ogni singola pratica e individuare mediatori aventi competenze e professionalità idonee e specifiche. Esiste la possibilità, ai sensi dell’art.7 del D.M. 180/2010 e s.m.i., in caso di mancanza di tali requisiti, di servirsi di mediatori dotati di adeguate competenze appartenenti ad altri organismi, tramite accordi trasversali di collaborazione. Oltre alle competenze specifiche, la nomina dei mediatori, ai fini del successo della mediazione, è indispensabile che avvenga in base ad una valutazione delle doti di comunicazione e mediatorie interpersonali, delle capacità di gestione dell’incontro di programmazione, di redazione di una proposta ai sensi dell’art.11 del D.Lgs 28/2010, di redazione dei verbali degli incontri di mediazione e del monitoraggio delle performance sia rispetto alla valutazione finale redatta dalle parti (customer satisfation) prevista dalla norma, sia rispetto al numero di accordi raggiunti rispetto agli incarichi (percentuali da declinare nelle diverse aree di contenzioso). Questa analisi consente di selezionare i mediatori nominabili nelle singole procedure secondo parametri di valutazione dapprima rispettosi delle norme specifiche, e a seguire nel rispetto del buon esito del procedimento. Sono quindi da evitare, a parere dello scrivente, gli Organismi di Mediazione che conferiscono incarichi ai mediatori con sistemi automatici che mirano a garantire la turnazione a discapito di una specifica valutazione qualitativa dedicata ad ogni singolo caso.

    L’art.8 del D.Lgs 28/2010 consente all’Organismo di nominare uno o più mediatori ausiliari, circostanza particolarmente indicata per le controversie nelle quali è richiesta una competenza specifica. In generale si registrano risultati di maggiore soddisfazione laddove la nomina del mediatore avviene scientemente in forma collegiale, ovvero incaricando un mediatore “giurista” e un mediatore “tecnico”. Questo garantisce una visione a 360 gradi dello scenario in caso di mancato accordo e consente di svolgere la fase di verifica delle “PAAN” (Peggiori Alternative all’Accordo Negoziabile) e delle “MAAN” (Migliori Alternative all’Accordo Negoziabile) in modo più consapevole e con un interscambio professionale di particolare rilievo con le parti e con i rispettivi avvocati, oltre che un supporto tecnico negli aspetti specifici della controversia che restituisce in genere un valore aggiunto nell’individuazione del più ampio scenario delle soluzioni conciliative. Per le parti la nomina di un collegio mediatori non rappresenta un costo aggiuntivo ma garantisce un certo valore aggiunto, misurabile anche con la valutazione dei risultati in termini di accordi.

    Il citato art.8 del D.Lgs 28/2010 inoltre prevede la possibilità, per il mediatore, di nominare un CTU, ovvero un consulente tecnico nominato d’ufficio.

    Innanzitutto occorre fare una distinzione fra il mediatore “tecnico” dotato di competenze specifiche, un consulente tecnico chiamato a fornire dati ed informazioni utili a dirimere la controversia e il CTU nominato dal mediatore.

    Si tratta di tre distinti “apporti tecnici” aventi tre distinti significati e funzioni.

    Come detto, il mediatore “tecnico” può mettere a disposizione le proprie conoscenze tecniche al fine di valutare in modo più ampio e consapevole il più ampio scenario di soluzioni conciliative, senza mai potersi esprimere sul piano tecnico, senza poter rilasciare pareri o attestare dati o valori sul piano oggettivo.

    Il consulente tecnico chiamato in mediazione per fornire dati ed informazioni utili a dirimere la controversia è una figura nominata dalle parti (non da mediatore) per una specifica finalità esclusivamente legata alla procedura di mediazione e limitatamente ad essa.

    Il CTU nominato da mediatore è invece un consulente tecnico che svolge le attività peritali nella piena consapevolezza che le risultanze sono destinate a favorire il raggiungimento di un accordo (è ausiliario del mediatore in questo contesto, non del giudice), e che in caso di mancato accordo l’elaborato peritale redatto potrà essere utilizzato dal giudice (che potrà quindi decidere di non istruire una nuova CTU ma di utilizzare quella redatta in mediazione) a seguito dell’espletamento di alcune formalità di rito.

    Si tratta di tre distinti modi di servirsi del supporto tecnico in mediazione, del tutto differenti fra loro per finalità, costi e modalità gestionali nell’ambito della procedura.

    La procedura di Consulenza Tecnica d’Ufficio (nota anche come CTM – Consulenza Tecnica in Mediazione) rappresenta un importante strumento per il mediatore; gestire e coordinare una CTU in mediazione tuttavia è tutt’altro che semplice. I CTU iscritti negli elenchi tenuti presso i Tribunali, infatti, sebbene dotati di idonee e comprovate competenze tecniche, spesso non conoscono il procedimento di mediazione, i tempi, le finalità, il diverso ruolo del mediatore rispetto al giudice e il conseguente diverso ruolo dell’ausiliario nei due distinti contesti, non conoscono il ruolo della proposta del mediatore, le dinamiche del conflitto e la delicata gestione delle informazioni che dovessero emergere a seguito delle attività peritali che rischiano, se non adeguatamente gestite ed utilizzate, di incrinare i presupposti di un accordo anziché favorirlo.

    La CTU in mediazione rappresenta quindi uno strumento da un lato straordinario e dall’altro “pericoloso”: tutto dipende dal mediatore, da come lo conduce, dal fatto che garantisca il principio del contraddittorio, le dinamiche procedurali tipiche del Codice di Procedura Civile nella consapevolezza del diverso contesto in cui sta amministrando e guidando le attività peritali, individuando consulenti qualificati e consapevoli della procedura, che abbiano esperienza in mediazione e che rispettino i tempi e i modi in cui il procedimento di mediazione deve essere amministrato. Una CTU gestita in modo inadeguato, infatti, potrebbe contribuire ad incrinare i rapporti fra le parti, alla perdita dei benefici fiscali eventualmente legati all’accordo (in caso, ad esempio, di mancato rispetto dei termini del procedimento), non essere riutilizzabile nel successivo giudizio.

    Una CTU ben gestita, invece, prevede il rispetto delle modalità operative che ne tutelino il possibile riutilizzo in caso di fallimento della procedura di mediazione, deve consentire al mediatore una fase intermedia di reframing verbale nelle diverse sessioni congiunte e separate con le parti, gli avvocati e i consulenti tecnici di parte, deve garantire il principio del contraddittorio anche nelle relazioni fra CTU e CTP nel corso delle attività peritali, deve considerare nei tempi di espletamento che i benefici fiscali in mediazione possono essere legati al rispetto del termine di cui all’art.6 del D.Lgs 28/2010 e s.m.i. (3 mesi), deve partire dalla formulazione di un quesito ben strutturato e di un impianto documentale reso disponibile che sia chiaramente individuato e circoscritto. I verbali del procedimento di mediazione devono lasciare traccia del corretto svolgimento della procedura.

    Tutto questo richiede in capo agli avvocati che assistono le parti, ai consulenti di parte ma soprattutto in capo ai mediatori che amministrano il procedimento e ai CTU incaricati una specifica formazione declinata al procedimento di mediazione. Su questo l’Osservatorio sull’Uso dei Sistemi ADR si è attivato per monitorare sulla formazione di mediatori esperti nello svolgimento di CTU in mediazione e su CTU in mediazione, individuando le linee guida, le modalità operative e le best practice che verranno declinate nella progettazione di workshop operativi e formativi.

    La giurisprudenza in materia di CTU in mediazione è ormai consolidata e conferma come la conduzione professionale e consapevole del contesto di una consulenza tecnica nel corso di un procedimento di mediazione possa dapprima garantirne maggiori margini di risultato positivo, e in subordine, grazie alla successiva potenziale riutilizzabilità nel giudizio, rappresentare non una spesa bensì un investimento.

    La CTU in mediazione è inoltre garantita a condizioni economiche calmierate rispetto al giudizio. Questa circostanza è certamente verificabile presso Organismi di chiara fama e comprovata esperienza e serietà. Tale aspetto è evidenziato anche in molteplici ordinanze con le quali i magistrati demandano alla mediazione stimolando lo svolgimento della CTU, che questo contesto consente condizioni economiche più contenute, la potenziale “condivisione” del quesito e una più flessibile produzione documentale.

    Si pensi inoltre alla CTU in mediazione anche in “contumacia” della controparte (quindi nell’ambito di un procedimento di mediazione avviato unilateralmente) riutilizzabile nell’eventuale successivo giudizio; sebbene si tratti di due strumenti evidentemente diversi fra loro per natura, contesto e finalità, non può non rivolgersi un pensiero all’“Accertamento Tecnico Preventivo Conciliativo” avente nella sostanza (ancorché non nella forma e nelle origini in punto di diritto) diverse analogie. L’economicità dello strumento della mediazione e della CTU svolta in tale contesto attribuisce a tale procedura ulteriori leve di successo.

    Infine si pensi al Tribunale di Parma che ha accolto una perizia econometrica effettuata nel corso di una CTU in mediazione avviata unilateralmente. Tale CTU, fortemente contrastata in giudizio dall’istituto di credito controparte “contumace” nel procedimento di mediazione avviato, conseguentemente, unilateralmente dal cliente della banca, oltre a contenere elementi valutativi utili sul piano civile, aveva evidenziato circostanze potenzialmente rilevanti sotto il profilo penale. Il Giudice, oltre a servirsi della CTU svolta in mediazione ai fini della propria sentenza, ha segnalato alla Procura della Repubblica i rilievi potenzialmente rilevanti sotto il profilo penale.

    Si pensi infine all’intervento notarile in mediazione, quando previsto dagli atti negoziati: ogni qual volta una controversia dovesse concludersi con cessione di quote sociali, cessioni di azienda, divisioni patrimoniali, trasferimenti di diritti reali, cessioni di debiti e crediti o ogni ulteriore atto che dovesse richiedere l’intervento notarile, se tale intervento avviene in mediazione il notaio, nel ruolo di “sostituto d’imposta”, per gli atti soggetti ad imposta di registro, applica l’esenzione fiscale garantendo così un risparmio d’imposta fino ad €.4.500,00 direttamente in mediazione.

    Alla luce delle dinamiche analizzate si pensi ad un confronto fra i due principali strumenti ADR di natura volontaria: mediazione civile e negoziazione assistita. Il ricorso alla mediazione civile consente l’avvio unilaterale, la redazione di verbali riutilizzabili nel successivo giudizio da parte di un mediatore terzo, una segreteria terza (quella dell’Organismo di Mediazione) che coordina e cadenza gli incontra, fissa i tempi e ne garantisce il rispetto, la possibilità di istruire CTU anche in assenza di controparte, la possibilità di aderirvi con o senza assistenza legale, la possibilità di formulare proposte e richiedere la formulazione della proposta del mediatore. Tutto questo non è consentito nella negoziazione assistita. Tutto questo, nel procedimento di mediazione civile, è possibile ottenerlo a costi contenuti e certamente più contenuti di qualsiasi altro strumento ADR. Tutto questo però è possibile ottenerlo solo negli Organismi di Mediazione che adottano un Regolamento di Procedura che consenta ai mediatori di erogare un servizio di mediazione rientrante nei canoni descritti, che abbiano adeguata preparazione e formazione per amministrare con professionalità e competenza questo tipo di mediazione, la mediazione che funziona!

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