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    Mediazione e composizione della crisi

    Claudio Sottili – giurista e tributarista; componente del Centro Studi ADR, ente di ricerca che sta collaborando al tavolo UNI per la stesura della Prassi di Riferimento sul procedimento di mediazione civile e commerciale; mediatore Civile professionista presso ICAF.

    Accordi di ristrutturazione dei debiti e strumento di supporto nelle procedura d’allerta: organismo di mediazione civile (OdM) e organismo di composizione della crisi (OCRI)… molto più che una semplice “riflessione”.

    Nell’ambito della ricerca sul campo di applicazioni pratiche relative allo strumento della mediazione applicata, è apparsa illuminante la stesura del riformato codice della crisi di impresa. In particolar modo l’aspetto legato alle procedure di allerta ed agli obblighi informativi del debitore, in riferimento ai nuovi organi di controllo, o meglio all’estensione degli organi di controllo alle realtà più marginali.

    Sorvolando ore sull’efficacia, l’impatto e gli aspetti generali del codice della crisi di impresa, l’attenzione di chi scrive si è focalizzata principalmente sulle procedure prefallimentari, viste nell’attuale panorama economico, come soluzioni più armoniche al sistema imprenditoriale e più utile al sistema tout-cour.

    Se è vero che la prospettiva del fallimento in chiave giuridica è di fatto in fase di trasformazione sin dalla fine degli anni 70, è nell’ultimo decennio che sull’onda della rivalsa delle procedure alternative di risoluzione delle controversie (ADR) anche il concetto di “risanamento” o “soddisfazione” hanno di fatto soppiantato il più datato concetto di “liquidazione”.

    In quest’ottica conservativa, nell’ambito di questa analisi ci si è posti il problema di individuare fattispecie o spunti pratici di espansione delle dinamiche sopra descritte.

    Venendo quindi all’oggetto del presente studio, possiamo, ai sensi dell’art. 182 bis della l.f. definire gli accordi di ristrutturazione dei debiti come una procedura negoziale della risoluzione della crisi di impresa, cui può ricorrere l’imprenditore in stato di crisi per tentare il risanamento della propria esposizione debitoria.

    Recita infatti l’art. 182bis :”(…) l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti,(…) con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei (…)

    Ecco quindi una procedura “preconcorsuale”, volta a garantire all’imprenditore il risanamento della propria azienda, il pagamento, entro certi termini dei creditori dissenzienti, e la soddisfazione ancorché parziale, dei creditori partecipanti.

    Si tratta sostanzialmente di un accordo di natura privatistica che trova l’essenza dell’omologa giudiziaria negli effetti erga-omnes ove ritenuti necessari.

    Ma quali sono sostanzialmente gli effetti imperativi di un accordo di ristrutturazione? Va ricordato qui che a differenza del concordato pre-fallimentare, nell’accordo di ristrutturazione non viene richiesto come elemento essenziale la par-conditio, se non come generale principio di eguale trattamento delle classi creditorie (chirografari, privilegiati ecc.) . Tuttavia, partendo dal presupposto che l’accordo, pur non essendo raggiunto a maggioranza, deve essere sempre raggiunto con la maggioranza, lo stesso risulterà vincolante solo per i creditori che vi aderiscono, e in ossequio del principio della libera disponibilità dei diritti individuali, la prescritta maggioranza di almeno il 60% dei crediti può essere raggiunta mediante l’adesione di creditori sia di natura chirografaria, sia aventi prelazione. Ecco che in quest’ottica l’accordo può essere raggiunto anche a condizioni diverse per gruppi di creditori disomogenei, sia per classe che per indirizzo economico.

    Ciò è possibile senza violazione di principi giuridici inviolabili solo perché i creditori dissenzienti devono essere sodisfatti in toto.

    Immagino che ora al lettore sia chiaro dove si vuole andare. Ammesso e non concesso che l’omologa di un accordo di ristrutturazione sia conditio sine qua non affinché l’accordo abbia effetti giudiziari, dobbiamo dare per scontato che tale omologa sia indispensabile?

    Se ci troviamo dinanzi ad un atto privatistico di natura negoziale in cui le parti non presenti o dissenzienti non subiscono sostanzialmente effetti (salvo quelli di cui all’art 182 bis lettere .a e b), perché dovremmo accontentarci di utilizzare il medesimo meccanismo in dinamiche strettamente pre-fallimentari?

    L’esperienza maturata nell’ambito della mediazione civile, insegna che le realtà fattuali sono infinite e solo di rado codificate o facilmente ricollegabili ad una fattispecie giuridica. Ogni tentativo posto in essere dal legislatore per tipizzare eventi umani sfocia inesorabilmente nell’ambito dell’interpretazione giuridica o sociologica o semplicemente nel buon senso.

    Pensate ad un gruppo di creditori che rappresentino una massa inferiore al 50% dei debiti di un imprenditore con un’azienda ben strutturata, efficiente ma in crisi di liquidità. Immaginate che questi creditori siano consapevoli delle difficoltà di recupero del loro credito per motivi noti solo a loro che possono variare da vizi documentali a possibili contestazioni sulle prestazioni offerte.

    Ora ipotizzate che quella massa creditoria possa fornire all’imprenditore in crisi quella liquidità sufficiente ad accaparrarsi una commessa in grado di risollevarlo definitivamente dalla posizione “down” in cui si è trovato.

    Chi ha avuto la fortuna di veder un accordo di mediazione prendere forma all’interno di una procedura amministrata ai sensi del d.lgs 28/2010, già intravede in questo scenario quali effetti dirompenti e virtuosi gli strumenti tipici dell’istituto possono realizzare.

    Chi conosce le dinamiche e l’utilità delle sessioni separate può comprendere a pieno quanto un creditore possa essere aggressivo se dubbioso in merito all’effettiva sostenibilità del suo credito e quanto invece possa essere collaborativo se coinvolto in un progetto che lo mette al centro di un volano economico produttivo.

    Efficacia dell’accordo di ristrutturazione in mediazione

    Secondo l’art. 12 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, il verbale di avvenuta conciliazione, è titolo esecutivo quando tutte le parti sono assistite da un avvocato ed è sottoscritto da tutte le parti e dai rispettivi avvocati. Il verbale, in tal caso, costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

    I piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti rappresentano un mezzo a cui ricorrere per tentare di ridurre l’esposizione debitoria ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Salvo la necessità di omologa e gli effetti sovra-negoziali, entrambi gli strumenti, così come la mediazione civile, costituiscono soluzioni negoziali.

    Sulla natura degli accordi di ristrutturazione dottrina e giurisprudenza sono da tempo divise, atto negoziale plurisoggettivo, concordato preventivo o procedura concorsuale atipica? Il legislatore, titolando il capo ad esso dedicato come “Strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione” pare deporre nel senso della natura negoziale dell’intesa, nonostante la presenza del giudizio di omologazione.

    Per comprendere il parallelismo che è oggetto della presente analisi occorre considerare gli effetti e gli obbiettivi che le parti coinvolte nella crisi d’impresa si prefiggono con i singoli strumenti messi a disposizione.

    Da un lato abbiamo i piani di risanamento che pongono l’imprenditore al riparo dalla revocatoria fallimentare e costituiscono causa di non punibilità per il reato di bancarotta, dall’altro gli accordi di ristrutturazione impongono una moratoria ai creditori dissenzienti nella misura massima di 120 gg. (ordinario). La legge fallimentare (art. 182 bis) disponeva il “blocco automatico” (ossia senza richiesta di parte) per 60 giorni delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore dalla data di pubblicazione dell’accordo nel Registro delle Imprese. Il codice della crisi d’impresa non replica una norma simile, infatti, non esiste alcun automatismo, ma occorre l’espressa richiesta, su istanza di parte, dell’adozione delle misure protettive ovvero:” le misure temporanee disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza;”.

    Ma quali sono gli interessi dei creditori? Va da sé che ogni singola categoria di creditori avrà interessi diversi e a volte contrapposti, tuttavia come è giusto che sia, il c.c.i. non valuta la misura in cui i crediti risultano liquidi, certi ed esigibili, o meglio, parte dal presupposto che lo siano. Ma la realtà d’impresa sappiamo essere ben diversa.

    Quindi, appurato che in determinate circostanze l’impresa in crisi non ha solo l’esigenza di ottenere misure protettive ed i creditori non hanno solo l’interesse ad ottenere la relativa certezza di un lieto fine, l’omologa non è di per se sufficiente ma anzi potrebbe costituire un tranello insormontabile in una situazione di grave incomunicabilità tra il debitore ed i creditori.

    Da tale analisi emergono due aspetti, il primo legato alla complessità dei rapporti e alla eterogeneità delle fattispecie, da risolvere all’interno di un procedimento di mediazione in cui i diritti e i doveri si cristallizzano grazie all’efficacia esecutiva dell’accordo ai sensi dell’art. 4 d.lgs 28/2010, il secondo legato all’omologabilità dell’accordo di ristrutturazione emerso nel procedimento di mediazione al fine di renderlo vincolante alla percentuale di dissenzienti prevista dalla legislazione prefallimentare vigente.

    Soggetti coinvolti

    • Innanzi tutto il proponente, ovvero il chiamante in mediazione. Salvo riservarci di valutare figure diverse, in linea di massima è lecito ipotizzare che il proponente la procedura debba essere il rappresentante del soggetto in crisi di impresa ovvero l’imprenditore.
      Trovandoci in una procedura ibrida, al fine di dare attuazione a quanto previsto dall’art. 56 del D.lgs 14/2019 comma 4, si dovrà prevedere la partecipazione di un “Un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e giuridica del piano”. Stante la necessità che il suddetto professionista sia in grado di fornire e garantire una rappresentazione contabile che sarà aggetto di analisi incrociate e valutazioni indipendenti, si ritiene che il predetto debba essere sin da subito individuato e che si presti fattivamente al ruolo che dovrà assumersi all’interno del procedimento, esperto se possibile di pratiche di negoziazione e mediazione.
      Particolare attenzione dovrà rivestire la ricerca dei chiamati in mediazione (da qui l’importanza del professionista di cui sopra). Come abbiamo visto ci si trova in un ambito negoziale dove, differentemente dalle procedure concorsuali vere e proprie, l’onere di adesione non soggiace in capo al creditore (il quale non ha l’obbligo di insinuazione), ma è interesse del debitore che il suo avente causa partecipi attivamente alla procedura così da garantirsi l’efficacia erga omnes.
      “Gli organi di controllo societari”, qualora rilevino gli indicatori di crisi di impresa di cui all’art. 13 del Decreto legislativo, 12/01/2019 n° 14, G.U. 14/02/2019 “ hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato”. Accertata la necessità di segnalare all’organo amministrativo il verificarsi dei suddetti indicatori deve pretendere dallo stesso l’individuazione di soluzioni ed iniziative, lasciando allo stesso la valutazione di quali esse siano, salvo valutarne successivamente (60gg) gli effetti. Questi rilevano quali soggetti della procedura in quanto giudici e vigli del corretto adempimento della stessa.
    • L’organismo di composizione della crisi d’impresa (OCRI), interviene in un secondo tempo quando gli organi di cui sopra, nel caso di “di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi,” segnalano allo stesso organismo lo stato di crisi rilevato. L’organismo, nel caso di esito negativo del piano, dovrà essere il fruitore di tutto il lavoro precedentemente svolto ed in quest’ottica, oltre ovviamente a quella risolutiva della crisi, dovrà proiettarsi l’opera dei professionisti coinvolti.
    • Il mediatore o meglio i mediatori, costituiscono la risorsa stessa della procedura. La loro opera di gran cerimonieri dovrà svolgersi così da permettere a tutti i soggetti coinvolti di ottenere il massimo risultato possibile sia dal punto di vista economico che di garanzia e salvaguardia del sistema e soprattutto delle responsabilità personali.
    • La segreteria dell’organismo avrà un ruolo fondamentale nella valutazione delle informazioni inerenti le parti convocate, non tanto da un punto di vista del reperimento, compito di pertinenza dell’imprenditore istante in sinergia con il “professionista indipendente”, quanto nell’oggettiva valutazione della qualità e esaustività delle informazioni fornite. In considerazione del numero dei soggetti chiamati in mediazione dovranno essere elaborate strategie operative tali da garantire una partecipazione ordinata e funzionale.

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