La mediazione e la deducibilità fiscale delle perdite su crediti
Autore: Claudio Sottili
La mediazione e la deducibilità fiscale delle perdite su crediti
In seguito all’’introduzione dell’articolo 1, commi 158 -161, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (nota come “legge di stabilità 2014 ”) sono state introdotte significative modifiche alla disciplina della deducibilità ai fini dell’imposta sul reddito delle società (di seguito, “IRES” e dell’ imposta regionale sulle attività produttive (di seguito, “IRAP), delle perdite e svalutazioni dei crediti.
L’articolo 1, comma 160, lettera b), della legge di stabilità 2014, nel riformulare l’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, stabilendo che “Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili”, di fatto estende l’applicazione del criterio estintivo/deduttivo a tutte le tipologie di impresa, a prescindere dal regime contabile che applicano. Principio fino ad ora riservato alle imprese IAS/IFRS adopter.
Alla luce di questa non più recente riforma organizzativa dei criteri di valutazione delle perdite su crediti, ci si è chiesti in che misura lo sviluppo della mediazione civile quale strumento regolamentato di risoluzione delle controversie, possa fornire un agile dispositivo di semplificazione delle pratiche legate alla deducibilità fiscale degli insoluti aziendali.
Sorvolando in merito alla casistica della cessione del credito, pro-solvendo o pro-soluto, i cui principi contabili nazionali (OIC15) lasciano poco spazio a criteri valutativi di esigibilità, è intenzione dello scrivente soffermarsi su quelle fattispecie, seppur parzialmente riformulate, già soggette a valutazione da parte della circolare 26/E del 1 Agosto 2013.
In sostanza ed al fine di facilitare la comprensione del punto di partenza, le perdite su crediti sono deducibili se sono definitive e risultano da elementi certi e precisi. Tali elementi si considerano realizzati:
- per i crediti di modesta entità, se sono decorsi 6 mesi dalla scadenza del pagamento;
- il diritto alla riscossione è prescritto;
- il debitore ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
L’Agenzia, in particolare ha evidenziato l’esistenza di due distinti criteri determinativi: in primis la perdita reale e consolidata (art. 101 comma 5 tuir) che si contrappone alla perdita potenziale, forfettaria e non consolidata (art. 106 tuir). A seguire occorre poi distinguere le perdite tra quelle di determinazione reale cioè atti realizzativi o estintivi del credito e quelle di origine valutativa.
Proprio queste ultime, che determinano le perdite su crediti tramite un processo valutativo, individuano tra gli elementi che possono rendere definitiva la perdita, la situazione di insolvenza non temporanea che esclude la possibilità di un futuro adempimento del debitore.
In particolare sono idonei a dimostrare l’impossibilità di recuperare il credito:
- l’irreperibilità del debitore dimostrata da idonee procedure civilistiche e penalistiche;
- la documentazione attestante l’esito negativo delle azioni esecutive (es: verbale di pignoramento negativo) convalidata da una valutazione complessiva della situazione economica/patrimoniale del debitore;
- la documentazione del legale o delle agenzie di recupero crediti incaricati della riscossione, attestanti l’impossibilità di recupero del credito e l’oggettiva situazione di incapienza patrimoniale del debitore.
Per i crediti di importo modesto, dimostrare l’antieconomicità della riscossione confrontando i costi della procedura, secondo i prezzi mediamente praticati nel mercato, con l’importo del credito (costi di recupero uguali o maggiori del credito da recuperare).
Sono invece perdite cd. “Realizzative”, quelle generate da atti dispositivi del credito quali:
- Cessione del credito, pro-solvendo o pro-soluto, che abbiamo visto essere meglio approfonditi dalla circolare 14/E del 2014
- Transazione con il debitore
- Rinuncia del credito
L’approfondimento della materia viene in questa sede rinviato all’’iniziativa del lettore. Quello che mi preme approfondire riguarda l’utilità che lo strumento della mediazione potrebbe apportare alla difficile ricerca degli “elementi certi e precisi” ovvero di un meccanismo soddisfacente di valutazione oggettiva del concetto di antieconomicità e di impossibilità del recupero del credito. Oltre ad approfondire l’evidente nesso eziologico tra la mediazione avviata, sviluppata e risolta positivamente e le fattispecie “realizzative” di cui ai precedenti punti 2 e 3.
Penso in particolare all’’utilità sostanziale che si potrebbe attribuire ad una mediazione avviata unilateralmente dal creditore e fallita a causa della mancata partecipazione della parte convenuta. Se si considera esaustiva l’irreperibilità del debitore al fine di dimostrare l’impossibilità del recupero del credito, appare a mio parere ancor più validante la formalizzazione di tale irreperibilità, qualora all’’interno di un rituale procedimento di mediazione, la contumacia venga accertata da un organismo terzo al quale la stessa legge attribuisce un ruolo di carattere istituzionale. Ed ancora, se l’Agenzia delle Entrate ritiene soddisfacente l’esito negativo di agenzie di recupero crediti che nulla hanno di istituzionalmente riconosciuto, (a differenza delle società di acquisto di crediti inesigibili pro-solvendo o pro-soluto, le quali necessitano di apposita autorizzazione ministeriale), cosa meglio di una mediazione potrebbe evidenziare il reale stato di insolvenza del debitore?
Pensiamo poi ad un procedimento avviato unilateralmente, con successiva formulazione di proposta transattiva esageratamente benevola nei confronti del debitore, in accordo con le irrisorie aspettative della parte istante, posta al solo fine di evidenziare l’insolvenza del debitore quandanche contumace.
Speculiamo per un momento su una mediazione nella quale il debitore si presenta palesando l’impossibilità evidente e manifesta di poter far fronte ai propri obblighi. Con la rinuncia al credito formalizzata in sede di accordo di mediazione, magari con il riconoscimento al creditore di vantaggi non economici, il creditore-imprenditore ottiene con il minor costo possibile la formalizzazione della sua perdita su credito e la deducibilità della stessa e il debitore ottiene la cancellazione del debito che seppur non esigibile costituisce pur sempre una opprimente spada di Damocle.
Consideriamo poi che l’attività accertativa posta in essere dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito delle contestazioni in merito alle perdite su crediti, si concretizza in gran parte dei casi attraverso il potere dell’amministrazione Finanziaria di contestare l’inattività del creditore quale volontà di erogazione di una liberalità. Appare evidente che l’opera di convocazione, notifica, persuasione ed infine eventuale negoziazione con il debitore tipiche del procedimento di mediazione ben possono evidenziare l’assenza di ogni plausibile spirito di liberalità.
Infine penso agli accordi di ristrutturazione del debito di cui all’’art. 101 comma 5 del TUIR. Accordi che grazie D.L. 212/2011 sarebbero stati alla portata di tutti e che sono poi miseramente abortiti nella legge di conversione, ma che nulla vieta risorgano nell’applicazione dell’art. 182 bis L. Fall. grazie alla natura privatistico-negoziale dell’accordo di ristrutturazione.
Ma questo sarà oggetto di ulteriore approfondimento.
Claudio Sottili – Tributarista, consulente fiscale, mediatore civile.