I diritti del lavoratore nella mediazione
Autore: Claudio Sottili
L’estensione pratica dell’ambito di applicazione della mediazione civile come regolamentata dal d.lgs 28/2010, strumento ormai ampiamente riconosciuto quale concreta alternativa alla risoluzione giudiziale delle controversie, ha portato e porta sempre più gli operatori del diritto a confrontarsi con istituti giuridici preesistenti e non perfettamente armonizzati con la nuova procedura di conciliazione.
In particolare, la disarmonizzazione, ovvero la necessità di sviluppare interpretazioni di coordinamento tra i vari istituti, trova terreno fertile in quelle materie c.d. non obbligatorie che sempre più cercano di trovare soluzione nel pragmatico e virtuoso meccanismo della mediazione civile.
A riguardo dell’oggetto del presente elaborato, appare in forte incremento l’utilizzo della mediazione civile per la risoluzione delle controversie aventi oggetto nella gestione dei conflitti di lavoro ovvero, per dirla nei termini del legislatore, nell’ambito dei diritti disponibili del lavoratore.
Ed è proprio l’utilizzo del concetto di diritti disponibili, che ci pone dinanzi il primo problema interpretativo di non scarsa rilevanza.
Quali sono i diritti di cui un lavoratore può liberamente disporre?
Non ci viene in soccorso il legislatore il quale al più si limita tra le righe e non a rilevare quelli che senz’altro non sono disponibili. Uno fra tutti di rilevanza Costituzionale il diritto alle ferie o il diritto alla conferma delle mansioni ai sensi dell’art. 2103 c.c. e l’esplicita irrinunciabilità di cui al 2° comma. Infine ma non solo, il diritto alla contribuzione previdenziale, anche questo diritto è senz’altro indisponibile, se non altro perché il legittimato attivo appare essere l’istituto previdenziale.
Di maggior rilevanza per quanto concerne l’essenza dell’accordo di mediazione in ambito di diritto del lavoro, appare rilevare quali siano i diritti in concreto disponibili che possono essere oggetto di un accordo di mediazione. Ciò in particolare per garantire non solo l’efficacia dell’accordo raggiunto in mediazione ma altresì la non contrarietà di tale accordo alle norme di diritto imperativo, come vedremo in seguito.
In primis, direi che appare senz’altro disponibile l’ammontare dei trattamenti economici nella misura di quello che viene chiamato “superminimo”, ovvero la parte negoziale della retribuzione che non è oggetto della contrattazione collettiva, (una per tutte Cass. n.794/82).
La somma disposta ad indennizzo per la risoluzione del rapporto di lavoro ovvero la rinuncia o la contrattazione in merito alla durata del preavviso (Cass. n.7883/03).
Le dimissioni, salvo i casi che per legge richiedono maggiori tutele, penso alla lavoratrice in gravidanza, al lavoratore in pre-coniugio ecc.
Senza l’ambizione di considerare il suddetto elenco esaustivo, appare logico chiedersi che cosa succede se nell’ambito di un accordo di mediazione si dispone di un diritto indisponibile?
Ce lo dice l’art. 2113 del codice civile. “Le rinunzie [1236] e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide. L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza [2964], entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima [197 disp. att.]”.
Si tratta senza dubbio di una conseguenza drastica posta dal legislatore a tutela di quei soggetti ritenuti in particolari posizioni di vulnerabilità. Si tratta tuttavia di una conseguenza sanabile.
La giurisprudenza ha più volte rilevato che non si tratta di una nullità assoluta, ma di una forma di annullabilità temporale. Proprio quel termine (sei mesi) fa ìi che il mancato esercizio di quella tutela super voluntascostituisca di per se risanamento della nullità.
Come si impugna un accordo negoziale viziato ai sensi dell’art. 2113?
Letteralmente con “qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale”.
Questa semplicità di forma viene incontro alla procedura di mediazione come la conosciamo oggi. Una procedura che si dilata ed espande nell’alveo dell’informalità e che dall’informalità trae la sua forza. Tuttavia soccorre solo quella parte del rapporto che vede lesi diritti indisponibili.
Appare infatti ben diversa la posizione di quel datore di lavoro che si trova a voler risolvere con lo strumento della mediazione civile una controversia di lavoro con il dubbio che nello sviluppo dell’accordo vi siano elementi di incertezza tali da rendere l’accordo stesso annullabile. Il legislatore ante decreto 28 infatti, non aveva ipotizzato forme di conciliazione della controversia lavorativa diverse da quelle strettamente elencate nel su citato art. 2113, ovvero quella giudiziale ex art. 185 c.p.c. quella consigliare ex art. 410 c.p.c. e quella sindacale ex art. 411 c.p.c.
Come si adatta a questo meccanismo la Mediazione Civile?
Appare evidente che la mediazione civile può svolgere nell’ambito della risoluzione dei conflitti di lavoro un ruolo importantissimo, soprattutto nella gestione di quei diritti e nel rispetto di quei limiti che abbiamo visto essere seppur non esaustivamente delimitati dalla giurisprudenza.
La sensibilità del mediatore e la sua competenza nella materia gli permetterà di indirizzare le parti verso un accordo che da un lato non lascerà spazio a clausole di stile come “a saldo e stralcio” ovvero “ quietanze a saldo” già individuate dalla giurisprudenza come condizioni non idonee a tutelare la piena consapevolezza del lavoratore, dall’ altro, fornirà quegli strumenti normativi e organizzativi tali da garantire quella condizione di neutralità che sembra essere il minimo comun denominatore di un accordo che superi il vaglio dell’art. 2113.
In tal senso la prassi seppur recente posta in essere nell’ambito dei diversi organismi di mediazione, ha posto l’accento su talune strategie idonee a conferire all’’accordo di mediazione valenza di inoppugnabilità ai sensi dell’art 2113 c.c. anche laddove questo prenda in considerazione quelle disposizioni inderogabili della legge o degli accordi collettivi.
In particolare si è cercato di estendere la procedura di mediazione ai due strumenti non giurisdizionali dell’accordo di lavoro, quello consigliare e quello sindacale.
Ecco allora che l’accordo di mediazione potrà al suo interno prevedere l’obbligo per le parti di sottoscrivere il medesimo, vincolandone l’efficacia, dinanzi all’’ufficio provinciale del lavoro, ratificandolo ad istanza congiunta delle parti.
Non solo, il mediatore avvezzo potrà informare le parti in merito alla possibilità di favorire la partecipazione di un rappresentante sindacale al procedimento. La sua sottoscrizione dell’accordo conferirà infatti al medesimo il sigillo dell’inoppugnabilità come accordo ex art. 411 c.p.c. L’organismo di mediazione potrà altresì annoverare tra i servizi offerti quello di fornire tra l’altro referenti sindacali esperti di mediazione nell’ambito del d.lgs 28/2010.
A sostegno dell’utilizzabilità dei nuovi strumenti ADR nell’ambito del diritto del lavoro, preme fare un piccolo sconfinamento nell’ambito della negoziazione assistita. La norma istitutiva di tale strumento infatti esclude dal campo di applicazione della negoziazione obbligatoria solo alcune tipologie di controversie (quelle interessate dalla mediazione obbligatoria, e quelle concernenti contratti conclusi tra professionisti e consumatori) e solo alcune tipologie di procedure (i procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, i procedimenti di consulenza tecnica preventiva, quelli relativi all’esecuzione forzata o svolti in camera di consiglio, l’azione civile esercitata nel processo penale, i processi nei quali la parte può agire senza legale).
Individua invece come obbligatoria la negoziazione per i crediti di importo inferiore ai 50.000,00 euro, nulla specificando in merito ai procedimenti in materia di lavoro.
Come la convenzione possa poi prevedere e districarsi in merito alle conseguenze di cui all’’art. 2113 è tutt’altra questione, tuttavia appare evidente il superamento della non negoziabilità assoluta delle cause di lavoro.
Quali le responsabilità del mediatore.
Seppur sia ormai consolidata l’opinione che gli artefici dell’accordo sono le parti e non il mediatore, appare altresì ben delimitato il margine di responsabilità professionale dell’Organismo incaricato ovvero del mediatore dall’organismo nominato.
È opinione dello scrivente che nell’ambito della idoneità all’’omologazione dell’accordo, il mediatore non possa limitarsi a scaricare sulle parti ed i loro assistenti la responsabilità relativa alla non contrarietà a norme imperative di legge. Se non altro perché il provvedimento di diniego emesso dal giudice chiamato ad esprimersi ai sensi dell’art. 12 D.lgs 28/2010 dovrà essere trasmesso al responsabile e all’organismo come prescritto dall’art. 13 del D.M. 180/2010. Trasmissione il cui plausibile scopo è proprio quello di consentire una valutazione dell’operato del mediatore onde eventualmente rilevarne le responsabilità professionali.
Ritengo pertanto che il diniego all’’omologazione di un accordo che violi disposizioni inderogabili di legge, al di fuori dei casi espressamente previsti dall’art. 2113 c.c., sia più che possibile ed esponga il mediatore che tale accordo ha condotto in gestazione, ancor più nel caso di lavoratore privo di assistenza legale, al rischio di rilievi oltre che disciplinari legati al regolamento dell’Organismo ospite anche a possibili responsabilità professionali.
Auspico di aver fornito agli operatori del mondo della mediazione e più in generale al mondo della giustizia, elementi di valutazione tali da condurre tutti coloro che in tale mondo gravitano ad un uso sempre più convinto degli strumenti ADR, vero strumento di innovazione ed evoluzione sociale.
Claudio Sottili – Tributarista, consulente fiscale, mediatore civile.