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28.11.2016 – Roma – Moriconi

IN     NOME    DEL     POPOLO   ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA  
SEZIONE SEZ.XIII°
REPUBBLICA     ITALIANA

 
Il   Giudice   dott. cons.   Massimo Moriconi
nella   causa tra         
M. V.                                                                                                                    attrice     

E

 A. C.                                                                            convenuto e attore in riconvenzionale  

E

 spa G. I.                                                                                                  terza chiamata  
  
ha emesso e pubblicato, ai sensi degli artt. 281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 28.11.2016 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

SENTENZA

La motivazione che segue è stata redatta ai sensi dell’art.16-bis, comma 9-octies (aggiunto dall’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalita’ telematiche sono redatti in maniera sintetica.     
Poiché già la novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69 era intervenuta sugli artt.132 cpc e 118 att.cpc, prevedendo che la sentenza va motivata con una concisa e succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, occorre attribuire al nuovo intervento un qualche significato sostanziale, che tale non sarebbe se si ritenesse che l’innovazione ultima sia puramente ripetitiva – mero sinonimo- del concetto già precedentemente espresso. 
La necessità di smaltimento dei ruoli esorbitanti e le prescrizioni di legge e regolamentari (cfr. Strasburgo 2) circa la necessità di contenere la durata delle cause, impongono pertanto applicazione di uno stile motivazionale sintetico che è stile più stringente di previgente alla disposizione dell’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, d.l.83/2015. 
-1-         I Fatti
 M. V. assume che nel febbraio 2011 dovendo provvedere ad una già preventivata operazione di sostituzione delle protesi mammarie decideva di sottoporsi ad un intervento di chirurgia estetica al volto (blefaroplastica)
Lamentava che nonostante le più ampie rassicurazioni che riceveva dal dott.A. C., chirurgo operatore, sia circa il ridotto rischio di complicanze e sia sotto quello dei validi risultati conseguibili, riportava una grave deficit della muscolatura facciale sinistra superiore ed inferiore con conseguente assenza o ridotta mobilità anche della bocca e dell’occhio sinistro.     
Dalle visite specialistiche e medico legali alle quali si sottoponeva nei successivi periodi risultava una paralisi del muscolo orbicolare ed orbicolare della bocca di sinistra ed una sofferenza del nervo facciale con denervazione in atto.
Chiedeva pertanto il risarcimento dei danni alla persona subiti nonché il ristoro delle spese.
I convenuti e la terza chiamata resistevano.
Il medico contestando l’addebito di errore professionale, dichiarando di aver debitamente informato la paziente prima dell’intervento e richiedendo in via riconvenzionale il pagamento degli onorari nella somma di €.9.000,00      
2-     Il merito della causa    
 Va premesso che nessuna contestazione è stata mossa da parte della M. all’intervento di mastoplastica addittiva.
E’ altresì pacifico, non essendo stata sollevata dall’attrice alcuna contestazione sulla domanda riconvenzionale del dott. A. C. sul punto, che la M. non ha corrisposto alcun onorario in merito a tale intervento.
Che pertanto deve essere pagato.   
L’intervento chirurgico (quello che il convenuto definisce di lifting cervico-facciale) da parte del dott. A. C. in data 1.3.2011 sulla persona dell’attrice è stato, per come impostato ed eseguito, viziato da grave imperizia.
Si verte, come da giurisprudenza consolidata, in ambito contrattuale e la prestazione sanitaria, peraltro avente ad oggetto chirurgia plastica-estetica, non ha raggiunto il risultato – doveroso- che era legittimo attendersi
La prestazione del dott. C.i è stata, come è inconfutabile (significativi sono i pagamenti effettuati dalla compagnia assicuratrice medio tempore per evitare maggiori esborsi), superficiale, mal impostata e mal effettuata: nessun consenso informato, pessima e lacunosa redazione della cartella clinica, assente (sic) descrizione dell’intervento, lesione del nervo, e risultati complessivamente ed ictu oculi (è sufficiente guardare le fotografie in atti) disastrosi.          
Secondo condivisibile giurisprudenza le carenze della cartella clinica et similia sono a carico del medico, per la ovvia evidente esclusiva unica responsabilità del medesimo per una corretta compilazione, utile e/o necessaria per la esatta ricostruzione della prestazione e della sua adeguatezza. Il deficit non può che di conseguenza ricadere su chi era onerato della corretta compilazione.                
Cioé il medico.           
Ed inoltre, secondo la condivisibile relazione del C.T.U, dott.G. D. S., indagine immune da errori e vizi tecnico-logico-giuridici, e le cui precise motivazioni non hanno trovato costruttiva confutazione, essendosi limitati i consulenti a considerazioni soggettive di alcun rilievo, l’intervento effettuato, che non è neppure quello trascritto di lifting cervico facciale in assenza delle cicatrici previste per tale intervento (sic) , non era adeguato al caso concreto, e causava alla M. una lieve asimmetria palpebrale e postumi algici di lesione del nervo facciale di sinistra.     
Il convenuto non ha inteso aderire all’accordo raggiunto dall’attrice con l’assicurazione.
Ne consegue che la causa va decisa in via di soccombenza virtuale.         
Va dichiarata per quanto suesposto la piena ed esclusiva responsabilità del medico sia per la mancanza di un adeguato consenso informato alla paziente, e sia per la prestazione professionale eseguita in modo del tutto non idoneo e tale da costituire grave inadempimento dei suoi obblighi.
Bene quindi ha fatto la compagnia di assicurazione a transigere la controversia al fine di evitare il rischio del maggior danno che avrebbe subito a seguito della condanna che il medico avrebbe in questa causa riportato.
-2-   L’ordinanza del 7.12.2015 di mediazione demandata dal giudice    
Il Giudice con l’ordinanza del 7.12.2015 così provvedeva:  
Si ritiene che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo (va considerata la seguente regula juris: Il paziente (presunto danneggiato) che agisca in giudizio facendo valere una responsabilità civile medico-sanitaria a fini risarcitori deve allegare specificamente la mancata guarigione o l’aggravamento della patologia di ingresso e i profili di inadempimento del medico e/o della struttura nosocomiale  
D’altro canto questi ultimi soggetti sono gravati dell’onere della prova che l’inadempimento non vi è stato o se vi è stato non è dipeso da causa ad essi imputabili ovvero non è stato causa del danno.
Dal punto di vista del nesso eziologico ove il giudice non sia in grado di accertare in modo certo e pieno, in base al principio del libero convincimento, la derivazione del danno dalla condotta del medico e /o della struttura di cura, occorrerà verificare se in mancanza della condotta sanitaria censurabile (ovvero in presenza di una condotta più appropriata ed omessa) i risultati (in termini di normalità applicata alla singola e complessiva fattispecie) sarebbero stati diversi de migliori per il paziente secondo il principio del “più probabile che non”)       
In relazione a ciò va considerato che per i danni di natura temporanea e/o che non superino la percentuale del 9% vanno applicate le tabelle previste per le micro permanenti         
Con alcune premesse.           
In particolare e specificamente allorché l’invio in mediazione sia stato effettuato da parte del Giudice ai sensi del riformato secondo com ma dell’art.5 decr.lgsl.28/10 si tratta non più di un semplice invito bensì un ordine presidiato da sanzioni, che presuppone peraltro, il previo effettuato vaglio, l’ esame e la valutazione degli atti di causa da parte del magistrato che l’ha disposto.      
Considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una soluzione conciliativa, che va assunta in un’ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte le parti. Specialmente se l’organismo di mediazione ed il mediatore saranno scelti in base ai criteri della competenza e della professionalità, necessari anche per la valorizzazione degli spunti di riflessioni offerti dal presente provvedimento.         
Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15, decorrente come in dispositivo per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.   
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
Il mediatore potrà, se del caso, ed in conformità a quanto previsto dal Regolamento dell’Organismo, formulare una proposta ai sensi dell’art.11 decr.lgsl.28/10 disponendo in mancanza di accordo la mediazione della controversia.      
Alla quale mediazione, introdotta dal medico in riconvenzionale, non partecipava né l’attrice e né l’assicurazione, la quale comunicava al mediatore che esse due parti avevano raggiunto un accordo idoneo a porre fine alla lite.     
Seguiva la contestazione da parte del medico dell’accordo, ritenuto pregiudizievole stante l’assenza di qualsivoglia colpa da parte del medico.       
E la richiesta di proseguimento della causa.
-4- La domanda riconvenzionale del medico e l’ingiustificata assenza in mediazione dell’attrice e dell’assicurazione
La circostanza che attrice e assicurazione, inviate dal Giudice in mediazione, avessero raggiunto un accordo, al di fuori del contesto della mediazione, non integra in tutta evidenza un giustificato motivo per non partecipare.   
E ciò per le precisa ragione che la mediazione verteva su un oggetto che evidentemente era rimasto del tutto estraneo all’accordo, vale a dire la domanda riconvenzionale del medico relativa ai suoi onorari
L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. La norma si applica a differenza della seconda parte dell’art. 8 co.IV° (relativa al contributo unificato) che riguarda solo le parti costituite, a tutte le parti.        
La mancata partecipazione, senza una valida giustificazione, al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), costituisce condotta di per sé grave perché idonea a determinare la introduzione ovvero, se già pendente, l’incrostazione ed il prolungamento di una controversia in un contesto giudiziario, quello italiano, già ampiamente saturo nei numeri e troppo dilatato nella durata.
Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte, la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata, si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.           
Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.           
Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.   
È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).
La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.    
La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti     
Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano sempre più alte percentuali di accordi in presenza della comparizione della parte convocata.  
Ne consegue, tali essendo le finalità del richiamo dell’art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, che equivarrebbe a tradire la ratio della norma, svalutarne la portata, considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori previsti dall’ ordinamento giuridico. 
Va considerato che nell’attuale situazione, affetta da una endemica lunghezza nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata principalmente dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi e negative conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale del Paese, derivanti dal ritardo n ella definizione dei processi, sia necessario rivalutare quanto previsto dall’art.116 cpc          
È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.        
Deve essere ben chiaro in primo luogo che la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.         
A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.   
Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale) ai fini dell’accertamento del fatto.   
L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento. Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi.E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.Va ricordata quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. può – secondo le circostanze – anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.- in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti – e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).         
Tuttavia il giudice opina che almeno di regola e secondo le circostanze sia preferibile ritenere che gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla ingiustificata mancata comparizione della parte chiamata in mediazione abbiano lo scopo e l’utilità di integrare gli elementi di giudizio già presenti.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che la ritenuta assenza di giustificati motivi per la mancata partecipazione di M. V. e di spa G. I. alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra alla valutazione del materiale probatorio già acquisito, nel senso di ritenere raggiunta la prova del mancato pagamento (evidenza del resto già insita nel regime della prova delle obbligazioni pecuniarie) e del conseguente obbligo di pagamento degli onorari da parte dell’attrice in favore del medico; naturalmente con il correttivo logico-giuridico che necessita.       
Invero non è ragionevole predicare l’obbligo di pagamento da parte della paziente per prestazioni inesatte e inadempienti del medico; sicché tale obbligo va dichiarato e limitato all’intervento di mastoplastica addittiva la cui quantificazione il Giudice ricava in via equitativa, sulla base dell’esperienza maturata presso la Sezione del Tribunale specializzata in R.P. (responsabilità professionali) ed in applicazione degli 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c., nonché art 2233 cc, in complessivi €.5.000,00 omnicomprensivi, oltre interessi legali dalla data della sentenza.        
-4-
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) seguono la soccombenza quanto ai rapporti fra l’attrice ed il medico (sia pure con giusta compensazione per due quinti visto la parzialità della stessa) ed il medico e l’assicurazione (il C. si è ripetutamente opposto all’accordo che saggiamente veniva raggiunto con la danneggiata, avanzando addirittura ed al riguardo riserva di azioni contro l’assicurazione).
Le spese di consulenza tecnica, atteso il corretto comportamento dell’assicurazione, vanno poste, in via definitiva, a carico del solo convenuto.        
Attrice e assicurazione vanno infine condannati al pagamento di una somma pari al contributo unificato (ex art. 8 decr.lgsl.28/2010)
La sentenza è per legge esecutiva.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
DICHIARA cessata la materia del contendere sull’azione dell’attrice;
DICHIARA A. C. responsabile per inadempimento colposo nei confronti di M. V. (per il solo intervento di cui in motivazione);
CONDANNA M. V. al pagamento in favore di A. C. della somma di € 5.000,00 per onorari relativamente all’intervento di mastoplastica addittiva, oltre agli interessi legali dalla sentenza al saldo;
CONDANNA A. C. al pagamento delle spese di causa in favore di M. V. che, compensate per 2/5, liquida per compensi in complessivi € 2.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali;
CONDANNA A. C. al pagamento delle spese di causa in favore di spa G. I. che liquida per compensi in complessivi € 6.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali; oltre alle spese di C.T.U.;
CONDANNA M. V. e spa G. I. al pagamento, ciascuno, in favore dell’Erario di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, mandando alla cancelleria per la riscossione;
SENTENZA esecutiva
Roma lì 28.11.2016                                           
Il Giudice        
dott.cons.Massimo Moriconi

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