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04.08.2021 – Salerno – Cassazione

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, ORD., 4 AGOSTO 2021 N. 22208

“Spese giudiziali in materia civile” “Cassazione civile”, “Responsabilità aggravata”

Presidente Frasca Raffaele;

Estensore Di Florio Antonella;

Ricorrente Omissis contro Omissis

Svolgimento del processo

RILEVATO

Che:

1. G.A. ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Salerno che aveva rigettato l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Nocera Inferiore con la quale era stata dichiarata la risoluzione del contratto di locazione stipulato con il locatore D.R.R., per inadempimento dell’odierno ricorrente, con condanna al rilascio della cosa locata nonché al pagamento di una somma per canoni scaduti, oltre alle spese processuali. 1.1. Per ciò che interessa in questa sede, l’odierno ricorrente aveva dedotto che nonostante il giudice di primo grado avesse dapprima accolto la sua eccezione riferita al mancato esperimento del tentativo di mediazione, assegnando un termine per il suo svolgimento, aveva successivamente pronunciato la sentenza nonostante che non fosse a lui pervenuta nessuna comunicazione della fissazione dell’incontro presso l’Organismo di mediazione; e che la Corte territoriale, dinanzi alla quale era stata proposta l’impugnazione proprio sulla base di tale eccezione, l’aveva respinta non tenendo conto della documentazione prodotta a sostegno della circostanza che egli non era mai stato convocato. 2. La parte intimata ha resistito con controricorso e memoria, tempestivamente depositata.

Motivi della decisione

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente per violazione dell’art. 365 c.p.c. 1.1. Si assume, al riguardo, che il ricorrente, avvocato del Foro di Salerno, non era abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione e che il difensore che lo affiancava, cassazionista, non aveva sottoscritto il ricorso che gli era stato notificato, oltretutto, dallo stesso avv.to G., privo del potere di valida rappresentanza in relazione al giudizio di legittimità. 1.2. Deve premettersi che l’avv.to G.A., premesso di avere conseguito in data 16 aprile 2021 l’iscrizione all’albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alle Magistrature Superiori, ha depositato il giorno precedente l’adunanza (12.5.2021) l’atto di costituzione come “difensore di se stesso” in sostituzione dell’avv.to Donato Bugno, facendo proprio il ricorso depositato e tutti gli scritti difensivi: ciò renderebbe, in limine, priva di rilevanza la questione sollevata, pur non essendo inutile precisare che il rilievo sarebbe stato comunque infondato in quanto: a) il ricorso all’esame di questo Collegio reca, a margine, la procura speciale rilasciata dal ricorrente al difensore avv.to Donato Bugno, patrocinante presso le magistrature superiori e risulta sottoscritto da entrambi; b) alla notifica di esso, effettivamente, ha provveduto l’avv.to G.A. (cfr. notifica a mezzo p.e.c. sottoscritta digitalmente, riportata in calce al ricorso), ma ciò non configura una violazione dell’art. 365 c.p.c. che prevede, a pena di inammissibilità, soltanto la sottoscrizione del ricorso da parte di un avvocato iscritto all’apposito albo (incombente, come detto, adempiuto): è infatti consolidato l’orientamento secondo cui “non è affetta da nullità la notificazione del ricorso per cassazione eseguita ad istanza dell’avvocato munito di procura speciale per il giudizio di legittimità, ancorché non iscritto nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione, perché il particolare requisito dell’iscrizione nell’albo speciale riguarda l’attività difensiva e non quella procuratoria, le quali possono non coesistere nello stesso soggetto, e la notificazione è atto dell’ufficiale giudiziario eseguibile ad istanza del procuratore” (cfr. Cass. 27269/2019; ed in termini Cass. 4438/1995; Cass. 10403/2017; Cass. 17317/2020). 2. Con unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce, ex art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto; ex art. 360 comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento, ed ex art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. Lamenta che la Corte, erroneamente, non aveva riscontrato alcuna irregolarità della notifica dell’invito a partecipare all’incontro di mediazione, non tenendo in alcun conto il documento del relativo organismo del 17 maggio 2016, protocollato, che attestava che la notifica non si era perfezionata, e che il verbale negativo attestante la mancata presenza in data 26 marzo 2016, doveva ritenersi viziato; che l’assenza di un valido procedimento di mediazione avrebbe imposto la dichiarazione di improcedibilità della domanda; che ciò doveva essere rilevato dal giudice di prime cure e che nessuna inerzia poteva essere a lui addebitata. Si duole del fatto che era stato violato il principio del contraddittorio e che, ingiustamente, la Corte aveva dichiarato inammissibile l’istanza di rimessione in termini. 2.3. Il motivo è inammissibile sotto tre profili. 2.3.1. In primo luogo, esso viola l’art. 366 n. 6 c.p.c., in quanto non fornisce l’indicazione specifica degli atti sui quali si fonda né li localizza in questo giudizio di cassazione. 2.3.2. In secondo luogo, prospetta plurime censure ricondotte a diversi vizi e si fonda su argomentazioni non riconducibili specificamente alle fattispecie invocate e contemplate dall’art. 360 comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. 2.3.2.1. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.” (cfr. ex multis Cass.26790/2018; Cass. 7009/2017): nel caso in esame, le varie argomentazioni articolate nel ricorso non sono riconducibili all’uno o all’altro vizio invocato e non consentono pertanto a questo Collegio di apprezzare gli errori denunciati. 2.3.3. In terzo luogo, si osserva che gli argomenti prospettati non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza: in disparte che il verbale del “26.3.2016” richiamato a sostegno della fondatezza dell’appello in quanto oggetto del presunto provvedimento chiarificatore dell’organismo di mediazione (cfr. pag. 7 u. cpv del ricorso) è successivo di circa un anno (26.3.2016) alla data dell’incontro fissato (26.3.2015), si osserva che, come correttamente rilevato dalla Corte, l’eccezione non era mai stata tempestivamente sollevata dal difensore del ricorrente nelle due udienze fissate dal giudice di primo grado, alle quali egli ritenne di non partecipare, la prima delle quali era a lui ben nota. 2.4. I giudici d’appello, dunque, si sono attenuti al consolidato principio di diritto, secondo il quale “in tema di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis,D.L.vo n. 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, il giudice d’appello può disporre la mediazione, ma non vi. è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5, comma 1-bis, atteso che in grado d’appello l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2. (cfr. Cass. 25155/2020 ed in termini Cass. 29017/2018). 2.5. Il ricorrente, pertanto, reiterando sia pur genericamente la questione relativa al difetto di convocazione, prospetta una censura che non si confronta con le ragioni del rigetto dell’impugnazione.

3. Da ultimo, si rileva che quanto all’ordine di cancellazione delle frasi offensive, le statuizioni rientra nel potere insindacabile del giudice di merito, preclusa in sede di legittimità.

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 6. Ricorrono, inoltre, i presupposti per l’applicazione dell’art. 96 comma 3, c.p.c. 6.1. Questa Corte ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dalla norma testé richiamata, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei “danni punitivi” che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento. 6.2. Al riguardo, è stato affermato che “la condanna ex art. 96 comma 3, c.p.c. , applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 commi 1 e 2, c.p.c. , e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. 27623/2017) e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione. 6.3. Tale pronuncia è stata preceduta da un altro fondamentale arresto volto a valorizzare la sanzione prevista dalla norma, secondo il quale “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei “risarcimenti punitivi” (Cass. SSUU 16601/2017): nella motivazione della sentenza richiamata, l’art. 96 c.p.c., u.c. è stato inserito nell’elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza. 6.4. In relazione a ciò, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96 comma 3, c.p.c., può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi palesemente inammissibili, oppure incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privi di autosufficienza oppure contenenti una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondati sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., ove sia applicabile, ratione temporis, l’art. 348ter c.p.c., u.c. che ne esclude la invocabilità. 6.5. In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento de sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione. 6.6. Nel caso in esame, la censura contenuta nel ricorso, palesemente inammissibile, rende l’impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti (cfr. art. 6 CEDU ) e, dall’altra, deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo ( art. 111 Cost. ) e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie: in tale contesto questa Corte intende valorizzare la sanzionabilità dell’abuso dello strumento giudiziario (Cass. n. 10177 del 2015), proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione (cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione) e consentire l’accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo – rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere – è affidato alla prudenza del ceto forense, coniugata con il principio di responsabilità delle parti. 6.7. Deve pertanto concludersi per la condanna del ricorrente, d’ufficio, al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in Euro 3000,00 pari, all’incirca, in termini di proporzionalità (cfr. Cass. SU 16601/2017 sopra richiamata) al valore dei compensi da liquidare per il presente giudizio. 7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

 La Corte, dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge. Condanna il ricorrente al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., u.c. in favore del resistente che liquida in Euro 3000,00. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

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