REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di VENEZIA
Sezione Prima CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ssa Maria Carla Quota ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5233/2018 promossa da:
E.XXXX F.XXX C.X – ATTORE
contro
J.XXXX T.XXXX E.XX P.XX – convenuta
e contro
I.XXXX R.XX SRL – TERZA CHIAMATA
Udienza di p.c.: 3/02/2021.
CONCLUSIONI – Le parti hanno concluso come da verbale d’ udienza di precisazione delle conclusioni.
Fatto e motivi della decisione
Con l’atto di citazione, il sig. E.XXXX C.XXXXXXX allegava di aver acquistato, per successione mortis causa
dal padre R.XXXX C.XXXXXXX e conseguente atto pubblico di divisione del 18/04/1996, la proprietà di un
appartamento con soffitta posto al V piano, lato Ovest, del P.XXXXX XXXXXXXXX, sito in Venezia,
S.XXXXXXX.
La provenienza del bene sarebbe stata costituita dall’atto pubblico di compravendita stipulato, nel 1968, tra il padre dell’attore, sig. R.XXXX C.XXXXXXX, ed i precedenti proprietari dell’intero edificio, membri della
famiglia C.XXXXXX T.XXXX R.XXXXXX che, al momento della vendita, non avrebbero frazionato il
sottotetto, il quale sarebbe stato adibito a pertinenza dei due appartamenti sottostanti, posti al V piano, in corrispondenza delle proiezioni verticali dei loro muri di confine.
In particolare, il suddetto atto di compravendita, avrebbe individuato catastalmente il bene compravenduto all’NCEU come Foglio 15, Mapp. 2800, subalterno 7, piani terreno e V., (con richiamo alla rappresentazione nella planimetria annessa alla scheda di denuncia all’ NCEU n. 444516 registrata il 12/09/1966) ed avrebbe avuto espressamente ad oggetto anche il trasferimento di una porzione di soffitta sovrastante “parte dell’appartamento”.
I precedenti titoli di provenienza, invece, nulla avrebbero disposto con riguardo alla soffitta, che sarebbe
sempre stata destinata alla funzione di mero isolamento termico, non essendo utilizzabile come ” vano
autonomo. “
L’ulteriore appartamento posto al V piano del medesimo edificio, sul lato Est, sarebbe stato acquistato, nel 1966, dalla sig.ra M.XXX T.XXXXX, con atto pubblico di compravendita in cui il bene compravenduto C.
sarebbe stato individuato semplicemente come appartamento al V piano con soffitta e magazzino al C. piano terra, identificato all’ NCEU come Foglio 15 Mapp. , sub. , piani I e V., con richiamato alla planimetria annessa alla scheda di denuncia all’ NCEU n. registrata il 12/9/1966.
Detta planimetria non sarebbe stata rinvenuta dall’ odierno attore. La planimetria precedente, annessa alla scheda di denuncia catastale del 20/04/1940 n. 9591644, invece, non avrebbe contenuto alcuna
rappresentazione della soffitta.
Con atto pubblico di compravendita del 1991, la sig. ra T.XXXX avrebbe venduto l’appartamento con la
soffitta ad I.XXXXXXXXX G. srl, senza richiamare, nell’atto, alcuna planimetria a rappresentazione della
soffitta.
Con atto pubblico di compravendita del 1999, H.XXXXXX spa, già I.XXXXXXXXX G. srl, avrebbe venduto
il medesimo appartamento con soffitta al sig. A.XXXXX R.XXXXXX, sempre senza richiamare, nell’atto,
alcuna planimetria a rappresentazione della soffitta.
Il sig. R.XXXXXX, tramite la sua impresa, nel 2000 (in forza di autorizzazione ottenuta nel 1999), avrebbe
iniziato delle opere di ristrutturazione, durate 10 anni, con le quali avrebbe occupato interamente il sottotetto, realizzandovi 4 unità abitative (censite o catastalmente ai sub. 39 e 40), dotate di un’altana e due abbaini sul tetto.
Secondo l’attore, tuttavia, tali opere sarebbero state anche di sua proprietà, quale pertinenza dell’ultimo
piano, o, in ogni caso, condominiale (Cass. 11184/2017) e lo stesso varrebbe per il tetto, sul quale l’altana
sarebbe stata realizzata senza autorizzazione condominiale. Inoltre, l’uso degli appartamenti posti nel
sottotetto, in particolare l’utilizzo del bagno ed il calpestìo del pavimento, darebbe luogo ad immissioni
intollerabili di rumore all’ interno dell’appartamento dell’attore, ex art. 844 c.c..
Infine, i due appartamenti posti nel sottotetto sarebbero stati trasferiti, con atto pubblico di compravendita del 2017, dal sig. R.XXXXXX ai sigg. J.XXXX T.XXXX E.XX P.XX e C.XXXXXX T.XXXXX (quest’ ultima avrebbe acquistato solamente l’usufrutto dell’ appartamento di cui al sub. 39).
Pertanto, l’attore citava in giudizio questi ultimi, proponendo le seguenti domande:
- di accertamento della comproprietà in capo all’attore E.XXXX F.XXX C.XXXXXXX, del sottotetto
incorporato negli immobili così catastalmente identificati: Catasto Fabbricati – Comune di Venezia – Foglio —-
- , rendita catastale euro 1037, 05 (già censito alla Sezione Urbana; foglio—-); Catasto Fabbricati – Comune di Venezia – Foglio —–
- di condanna “in solido e/o disgiuntamente”, nei limiti della quota di appartenenza, di P.XX J.XXXX T.XXXX E.XX e T.XXXXX C.XXXXXX al ripristino dello stato originario del sottotetto comune indebitamente occupato ed incorporato nelle proprie unità abitative, ovvero, nella ipotesi di impossibilità di ripristino, al risarcimento del danno per equivalente;
- di condanna di P.XX J.XXXX T.XXXX E.XX alla demolizione dell’altana insistente sul tetto condominiale;
- di condanna, “in solido e/o disgiuntamente”, nei limiti della quota di appartenenza, di P.XX J.XXXX
T.XXXX E.XX e di T.XXXXX C.XXXXXX al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione, da
determinarsi in corso di causa, anche in via equitativa.
In via subordinata: - di accertamento dell’intollerabilità delle immissioni acustiche provenienti dalla proprietà dei convenuti e di loro condanna, “in solido e/o disgiuntamente, per quanto di spettanza e/o nei limiti della quota di appartenenza, “alla cessazione dell’ attività di disturbo, all’esecuzione delle opere di insonorizzazione necessarie, da determinarsi in corso di causa a mezzo espletanda CTU, al risarcimento del danno alla salute ed esistenziale da essi convenuti provocati all’ attore E.XXXX F.XXX C.XXXXXXX, nella misura ritenuta di giustizia.
Con la comparsa di risposta, i convenuti eccepivano, preliminarmente, l’improcedibilità della causa o, in subordine, l’applicabilità all’odierno attore della sanzione pecuniaria di cui all’art. 8 comma 4 bis D. Lgs 28/2010 in quanto egli, pur avendo partecipato personalmente al primo e al secondo incontro introduttivo alla mediazione, avrebbe tenuto un comportamento del tutto contrario alla ratio legis dell’ istituto, omettendo addirittura di esprimere direttamente il proprio pensiero e facendolo solo tramite la voce del suo avvocato, che avrebbe dichiarato di essere lì presente solo perché la mediazione era obbligatoria.
Nel merito, i convenuti eccepivano che il sig. C.XXXXXXX non avesse assolto l’onere della prova (…)
omissis.
Alla luce di tali presupposti, le domande di rivendica formulate dall’attore sarebbero state infondate sia in fatto che in diritto.
La terza chiamata concludeva, quindi, come segue:
“in via preliminare ed in rito:
- dichiararsi l’improcedibilità delle domande attoree per il mancato concreto esperimento della procedura di mediazione obbligatoria;
- dichiararsi l’incompetenza per materia del Tribunale di Venezia circa le domande inerenti alle immissioni, svolte in via subordinata dal signor E.XXXX F.XXX C.XXXXXXX, in favore del Giudice di Pace di Venezia;
- dichiararsi il difetto di legittimazione attiva in capo al signor E.XXXX F.XXX C.XXXXXXX, relativamente alla richiesta di accertamento della proprietà condominiale da esso svolta a pag. 6 dell’ atto di citazione e non formulata in sede di conclusioni.
in via principale e nel merito: - respingersi tutte le domande svolte nei confronti di I.XXXXXXXXXXX R.XXXXXX A.XXXXX s.r.l., perché
infondate in fatto ed in diritto, per i motivi suesposti”.
In seguito alla prima udienza ed al decorso dei termini concessi ex art. 183, VI co . , c.p.c., l’attore
depositava dichiarazione, da allegare al verbale della successiva udienza, di querela di falso avverso i
seguenti documenti (…) omissis.
L’attore dichiarava che l’oggetto della querela di falso fosse duplice, investendo non solo l’autenticità dei citati documenti, cioè la loro provenienza, ma anche la verità della rappresentazione grafica come attestata dall’ apparente autore (geom. E.XXXX A.XXXXXX).
L’attore, invero, avrebbe intesto contestare sia la genuinità del documento apparentemente depositato come originale della planimetria prot. 4241 presso il Catasto di Venezia dal geom. A.XXXXXX in data 12.6.1966
sia la veridicità del suo contenuto, come ricognitivo della porzione di soffitta contestata.
Oggetto della querela di falso, pertanto, non sarebbero state le copie, anche conformi, della planimetria prot. n. 4241 prodotte dai convenuti e dalla terza chiamata, bensì il relativo originale depositato in Catasto, da cui le copie sarebbero state estratte.
Nella successiva udienza, dunque, l’attore, tramite il difensore munito di procura speciale, ribadiva la volontà di proporre la querela. Il G.I., ritenuta la causa matura per la decisione, la rinviava per p.c. all’udienza del 3/02/2021, in cui le parti concludevano come da rispettivi atti introduttivi.
Trattenuta la causa in decisione e decorsi i termini assegnati ex art. 190 c.p.c., si rileva, in via pregiudiziale di Rito, l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità della causa per omessa mediazione.
Il relativo procedimento, invero, è stato pacificamente instaurato dall’attore, il quale vi ha presenziato, sebbene risulti documentalmente, dal verbale prodotto dai convenuti come doc. 4, che il comportamento tenuto da quest’ ultimo sia stato del tutto ostativo alla formulazione di qualsivoglia ipotesi conciliativa.
Tale atteggiamento, tuttavia, rimane valutabile dal Giudice ex art. 116, I. co. c.p.c., anche ai fini della
condanna alle spese processuali, ma non integra l’ipotesi di applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’ art. 8, co. 4 bis, D. lgs. 28/2010, disposizione testualmente circoscritta alla “mancata partecipazione al procedimento”, senza alcun richiamo ad un onere di effettiva collaborazione alla “ricerca di una soluzione conciliativa”.
Sempre in rito, d’ altra parte, si evidenzia che delle immissioni di rumore non è connessa, né per il titolo né per l’oggetto, con la domanda di rivendica proposta in via principale dall’ attore. La prima, infatti, si basa sul mero utilizzo degli immobili asseritamente svolto, di fatto, dai convenuti, anche tramite la locazione a terzi:
trova titolo, pertanto, in un mero comportamento asseritamente contra ius tenuto dai convenuti (rilevante ex artt. 844 e 2043 c.c.) ed ha ad oggetto la loro condanna alla cessazione del ritenuto fatto illecito ed al risarcimento delle conseguenze dannose. La seconda, invece, ha ad oggetto l’accertamento della comproprietà di detti beni immobili in capo all’ attore e trova titolo nell’ art. 948 c.c..
Non sussiste, pertanto, alcuna ragione di connessione per consentire la proposizione, innanzi a questo Tribunale della domanda relativa alle immissioni, in deroga della competenza per materia stabilita, al riguardo, in capo al Giudice di Pace ex art. 7 c.p.c..
Da ciò, la decisione, nella presente sentenza, del merito delle residue azioni, ex art. 279, co. II, c.p.c., e la contestuale dichiarazione di incompetenza di questo Tribunale in relazione alle domande attoree proposte ex art. 844 c.c., in favore della competenza del Giudice di Pace di Venezia.
Ed ancora, con riguardo al rito, si sottolinea l’omessa proposizione, da parte dell’attore, della domanda subordinata di accertamento della proprietà condominiale del sottotetto, poiché non riportata nelle conclusioni dell’atto di citazione (né, tantomeno, in sede di p.c.).
Queste, invero, contengono esclusivamente la richiesta di accertamento della comproprietà del medesimo bene, in comunione con i convenuti, in forza del titolo di acquisto del 1968, senza alcuna menzione della volontà di ottenerne l’accertamento della comproprietà, in subordine, in proporzione ai millesimi condominiali dell’attore (difatti, mai richiamati nelle conclusioni).
Anche la domanda attorea di querela di falso, d’ altro canto, deve essere esaminata in via pregiudiziale di Rito, in quanto inammissibile per due ordini di profili. Innanzitutto, essa risulta affetta da nullità ex art. 221 c.p.c., per difetto di allegazione di mezzi di prova idonei a dimostrare la falsità dei documenti impugnati e, in particolare, dell’originale di essi, conservato presso il Catasto, e fatto oggetto di querela.
E secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, invero, il vaglio di ammissibilità della querela e, dunque, di eventuale nullità per omessa indicazione di prova, si estende alla valutazione di idoneità, in “astratto”, dei mezzi di prova indicati a sostenere la domanda.
Sebbene, difatti, “Ai fini della valida proposizione della querela di falso, l’obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità o (previsto dall’ art. 221 c.p.c.) non impone necessariamente la completa e rituale formulazione della prova testimoniale, essendo sufficiente l’indicazione di tale prova e delle circostanze che ne dovrebbero costituire l’oggetto; peraltro, il suddetto obbligo può essere assolto con l’indicazione di qualsiasi tipo di prova idoneo all’accertamento del falso, e quindi anche a mezzo di presunzioni. (Nella specie, in tema di buste paga asseritamente sottoscritte in bianco, oltre all’indicazione della prova testimoniale vertente su tale circostanza, era stato indicato, quale elemento di prova in via presuntiva, anche il possesso da parte della lavoratrice di numerose copie in bianco delle buste paga) (Cass. 1537/2001, Cass. 4720/19).
Nel caso di specie, in particolare, l’attore ha negato la veridicità sia della provenienza dell’originale dei documenti impugnati (ossia della sua paternità in capo al professionista che parrebbe averlo sottoscritto) sia del suo contenuto grafico, come rappresentativo del reale stato dei luoghi.
A sostegno di tale tesi, ha allegato che, nel 2015, il professionista da lui incaricato di ricercare la medesima planimetria presso il Catasto non sarebbe stato in grado di rinvenirla e che, pertanto, quella ad oggi presente presso il Catasto ed estratta in copia dalle sue controparti sarebbe stata depositata in data successiva al 2015, per sopperire allo smarrimento di quella originaria.
Tuttavia, a dimostrazione ditale circostanza, non ha prodotto né una copia dell’istanza di accesso agli atti con cui il suo incaricato, nel 2015, avrebbe richiesto copia della planimetria in questione né la copia o della risposta con cui la P.A. ne avrebbe dichiarato l’irreperibilità né, tantomeno, una copia del registro di protocollo del deposito presso il Catasto (attestante la successiva ricostruzione del documento) ovvero una copia del “nuovo originale” con attestazione della data di sua eventuale “ricostruzione” da parte del Catasto dopo l’avvenuto smarrimento o, almeno, una copia dell’istanza attorea di rilascio in tale attestazione da parte della P.A..
L’attore, invece, si è limitato a: – depositare copia di un’altra planimetria (quella attribuita alla propria porzione di soffitta, acquistata nel 1968) redatta dal medesimo autore di quella impugnata, sostenendo che l’identità dei due disegni dovrebbe depositare a favore di quello impugnato, sebbene richiamato in un atto pubblico di compravendita del 1966 e , dunque, di formazione anteriore al primo; – formulare istanze testimoniali sull’irreperibilità della planimetria, presso il catasto, nel 2015, indicando quale teste lo stesso professionista da lui incaricato della ricerca del documento; – chiedere lo svolgimento di CTU grafologica al fine di accertare la contraffazione della planimetria originale, presente presso il Catasto, oggetto di querela; istanza, questa,
formulata senza alcuna richiesta, nemmeno successiva, di ordine al Catasto di esibizione dell’originale, ex art. 210 c.p.c., al fine di consentire la materiale esecuzione della perizia (che notoriamente, per essere attendibile dal punto di vista tecnico, non può essere svolta sulle mere fotocopie dell’ originale prodotte i giudizio).
Appare evidente, dunque, l’inidoneità dei mezzi di prova indicati dall’attore a dimostrare, anche in astratto, la pretesa falsità dell’originale della planimetria, pacificamente presente, ad oggi, in Catasto.
Secondariamente, i documenti oggetto di impugnazione, compreso il loro originale presso il Catasto, non sono rilevanti per la soluzione della questione dirimente la causa di accertamento della proprietà della soffitta.
E’ pacifico, invero, che tutti gli atti traslativi compiuti e trascritti dal 1966 al 2017 in relazione all’appartamento del quinto piano, lato Est, a favore della sig.ra T.XXXXX, dapprima, sino agli odierni convenuti, da ultimo, abbiano sempre ricompreso nella cessione anche una porzione della soffitta, quale pertinenza dei locali acquistati in proprietà esclusiva dai compratori.
Ciò è avvenuto, in particolare, anche nell’atto di acquisto perfezionatosi, nel 1999, a favore del sig. A.XXXXX
R.XXXXXX che, per stessa ammissione dell’attore, avrebbe iniziato le opere edili di trasformazione della soffitta in appartamenti, protrattesi per ben dieci anni.
E’ pacifico, pertanto, visto il titolo, che il sig. R.XXXXXX abbia acquistato la proprietà della porzione di soffitta in buona fede e che l’abbia posseduta, in modo pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto, per almeno 10 anni. Ai sensi dell’art. 1159 c.c., pertanto, egli ne ha acquistato, in ogni caso, la proprietà a titolo originario, per usucapione decennale, avendo ricevuto il bene in forza di un valido atto traslativo idoneo a trasferirne la proprietà, regolarmente trascritto e derivante da una serie continua di trascrizioni.
Da ciò, evidentemente, la validità della successiva vendita degli immobili in questione agli odierni convenuti, a prescindere dal fatto che, nel 1966, la porzione di soffitta indicata nell’atto di acquisto della sig.ra T.XXXXX
avesse effettivamente dimensioni corrispondenti a quelle degli appartamenti di seguito realizzati dall’I.XXXXX R.XXXXXX al suo interno, come riportate nella planimetria oggetto di querela.
A ciò si aggiunga che, nella prima udienza, la difesa dell’attore non ha formulato alcuna specifica
contestazione circa i fatti posti dai convenuti a fondamento della loro domanda riconvenzionale di
reintegrazione nel possesso di una porzione della soffitta: in particolare circa il fatto che quella porzione, identificata nella planimetria oggetto di querela, rientri nella proprietà dei convenuti e sia stata interessata dall’istanza dell’attore al Comune di autorizzazione all’innalzamento del solaio (per aumentare l’ altezza del soffitto della cucina sottostante).
Tale contestazione, invero, rappresenta l’esercizio di un potere di difesa diverso da quello di mera
contestazione della veridicità della planimetria in questione (limitata al suo valore probatorio) ed è stata formulata tardivamente, oltre che in modo generico, solo con la Prima memoria ex art. 183, VI co., c.p.c..
Nella medesima prima memoria, d’altronde, la difesa attorea non ha nemmeno precisato le sue conclusioni chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale che, d’ altra parte, risulta avere ad oggetto uno spoglio non ancora materialmente realizzato (come spiegato infra).
Ne deriva, evidentemente, l’irrilevanza della planimetria oggetto di querela anche ai fini della decisione della domanda riconvenzionale proposta dai convenuti. La presentazione della querela, dunque, non è stata autorizzata per sua inammissibilità.
Nel merito, in via preliminare, si richiama quanto appena dedotto in punto di accertamento dell’acquisto a titolo originario della proprietà della soffitta in capo al sig. R.XXXXXX, ex art. 1159 c.c., dante causa degli odierni convenuti; circostanza dirimente sia con riguardo alla validità dell’ acquisto da parte di questi ultimi sia con riguardo all’inesistenza del diritto di comproprietà, sulla medesima porzione di immobile, vantato dall’attore.
Quest’ultimo, invero, non ha provato di aver posseduto la soffitta o compiuto alcun atto interruttivo del possesso pacificamente esercitato dal sig. R.XXXXXX (per l’esecuzione delle note opere edilizie, dotate di autorizzazione amministrativa) per almeno 10 anni, a partire dal 2000. Inoltre, l’assenza di alcun titolo, in capo all’attore, legittimante il suo acquisto della comproprietà, pro indiviso, dell’intera porzione di sottotetto attualmente intestata agli attori, è desumibile dal suo stesso atto di proprietà: proprio nell’atto di citazione risulta ammesso che tale atto avesse ad oggetto un appartamento al quinto piano “con porzione di soffitta (che sovrasta parte dell’appartamento)” escludendo in radice la circostanza, posta a fondamento dell’intera odierna causa, per cui la soffitta di in pertinenza dell’attore avrebbe dovuto estendersi sino alla corrispondenza della proiezione verticale dei muri perimetrali del suo appartamento.
Ne consegue la manifesta infondatezza della domanda principale attorea.
Di conseguenza, anche le domande (di ripristino e risarcitorie) conseguenti e la domanda subordinata di rimozione dell’altana, per mero difetto di autorizzazione dell’opera da parte dell’assemblea dei condomini, sono palesemente infondate: il condomino, proprietario del Piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene (Cass. 14107/2012). Il condomino, proprietario del Piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative o della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con
tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione al tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del Piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. 2126/2021).
Circa la domanda riconvenzionale dei convenuti, d’altronde, come già chiarito, l’attore non ha contestato, nella prima udienza, la loro proprietà della porzione di sottotetto individuata nella loro planimetria né di aver vantato sulla stessa di esserne a sua volta proprietario, al fine di sfruttare la relativa cubatura per realizzare la sopraelevazione del soffitto del suo locale cucina sottostante ed ottenere l’autorizzazione dell’opera da parte del Comune.
Infine, l’attore non ha nemmeno eccepito il suo precedente possesso ad usucapionem della porzione di soffitta in questione.
Tuttavia, i convenuti non hanno mai specificatamente allegato quali opere sarebbero state effettivamente realizzate dall’attore in tale porzione di soffitta, modificandone lo status quo ante, ed integrandone, dunque, lo spoglio.
Le ragioni poste dai convenuti alla base della loro domanda ex art. 1168 c.c., invero, sono circoscritte
esclusivamente al fatto che il sig. C.XXXXXXX abbia “presentato domanda di sopraelevazione del soffitto della cucina asserendo di aver scoperto un vano inutilizzato nel sottotetto.
Ma tale vano è parzialmente di proprietà degli odierni convenuti ed è la porzione evidenziata in rosso.
E’ stata richiesta presso gli uffici comunali copia della domanda di autorizzazione richiesta dal C.XXXXXXX che si intende produrre non appena rilasciata”.
Appare evidente, pertanto, che, al momento di proposizione della domanda, non fosse stata svolta ancora alcuna delle opere di cui l’attore avrebbe richiesto l’autorizzazione comunale e che, pertanto, lo spoglio non si fosse ancora realizzato.
Da ciò, l’infondatezza della domanda riconvenzionale di reintegrazione del possesso, per inesistenza dello spoglio.
Ne deriva il rigetto sia di tutte le domande attoree che della riconvenzionale proposta dai convenuti.
Pertanto, in ragione della soccombenza parziale reciproca, le spese di lite devono essere parzialmente compensate tra l’attore e i convenuti, nella misura di 1/10 dei compensi di difesa, proporzionale all’esiguo valore della riconvenzionale proposta dai secondi rispetto a quello delle domande introdotte dal primo; il contributo unificato versato dai convenuti per la proposizione della domanda riconvenzionale, invece, rimane interamente a loro carico.
Le spese di lite della terza chiamata, invece, devono essere poste interamente a carico dell’attore, in quanto la sua citazione in giudizio ha trovato causa esclusivamente nella trattazione delle domande da lui stesso proposte avverso i convenuti. La liquidazione avviene secondo i parametri tabellari medi dello scaglione di valore di riferimento (indeterminabile a complessità media), con aumento del 33% ex art. 4, co. VIII, DM o 55/2014, in ragione della manifesta infondatezza e dell’inammissibilità delle domande attoree.
La soccombenza parziale reciproca esclude a possibilità di condanna di parte attrice ex art. 96 c.p.c., in favore dei convenuti (Cass. n. 9897/2000; Cass. n. 12177/2000; Cass. n. 3035/2001, Cass. n. 7409/2016;
Cass. n. 21590/2009).
P.Q.M.
il Tribunale monocratico, assorbita o rigettata ogni ulteriore questione, definitivamente pronunciando, così decide:
- dichiara l’incompetenza del Tribunale di Venezia con riguardo alla domanda attoree subordinate relative all’intollerabilità delle immissioni ex art. 844 c.c.;
- dichiara l’inammissibilità della domanda incidentale di querela di falso avanzata dall’attore;
- rigetta tutte le domande proposte dall’attore nel presente giudizio;
- rigetta la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti dell’attore;
- compensa parzialmente le spese di lite tra attore e convenuti, limitatamente alla misura di 1/10, e
condanna l’attore a rifonderne ai convenuti il residuo, liquidato in euro 12.380, 58 per compensi, oltre 15% per spese generali, IVA e CPA; - condanna l’attore a rifondere le spese di lite alla terza chiamata, liquidate in euro 13.756, 19 per
compensi, oltre 15% per spese generali, IVA e CPA; - rigetta la domanda dei convenuti di condanna dell’attore ex art. 96, III co., c.p.c..
Venezia, 3 giugno 2021.
Il Giudice Dott.ssa Maria Carla Quota