Istituto di Conciliazione e Alta Formazione
Cerca
Close this search box.

03.03.2021 – Sondrio – Minervini

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di SONDRIO
SEZIONE UNICA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maria Federica Minervini
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r. g. 711/2018 promossa da:
LUCA (CF. “), rappresentato e difeso dai aw.ti Giuseppe D’Elia e
Marta Gilli in virtù di procura posta a corredo dell’atto introduttivo
ATTORE
contro
STEFANO (CF. ), rappresentato e difeso dagli avv.ti
in virtù di procura posta a corredo della comparsa di costituzione
e risposta
ANDREA (C.F )
ROBERTA (C.F )
entrambi rappresentati e difesi dall’avv. in virtù di procura posta a corredo della
comparsa di costituzione e risposta
CONVENUTI
Oggetto: Responsabilità dei genitori, dei tutori e dei maestri (art. 2048 c.c.)
CONCLUSIONI
Precisate all’udienza del 11.11.2020
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato il sig. Luca conveniva in giudizio il sig.
Stefano nonché i di lui genitori sigg.ri Andrea e , Roberta per ottenerne la condanna, in
solido tra loro, al risarcimento dei danni, di natura non patrimoniale, patiti in conseguenza delle
condotte illecite poste in essere dal primo in quattro distinti episodi specificamente narrati.
Si costituivano i convenuti contestando la pretesa attorea sotto il profilo del quantum risarcitorio
dedotto ad oggetto di domanda e dichiarandosi disponibili a offrire banco iudicis la somma di
€10.000,00, da intendersi ad integrale tacitazione della richiesta risarcitoria del sig. Luca .
Alla prima udienza di comparizione i convenuti effettuavano la preannunciata offerta banco iudicis che
veniva, tuttavia, rifiutata dal difensore della parte attrice, con restituzione dell’assegno non trattenuto in
acconto dall’attore.
Depositate le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., il giudice, su richiesta della parte attrice, formulava
proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c. del seguente tenore: «Definizione della vertenza mediante
pagamento, ad opera della parte convenuta ed in favore della parte attrice, della somma di €
14.500,00. Spese legali integralmente compensate».
Detta proposta veniva accettata dall’attore e rifiutata dai convenuti.
Disattese quindi le istanze istruttorie avanzate dalla parte convenuta con motivata ordinanza in data
20.2.2020, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 11.11.2020 ed
ivi trattenuta in decisione previa assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il
deposito degli scritti conclusionali.
La domanda attorea risulta fondata e meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
Si osserva in primo luogo come le condotte illecite ascritte al Stefano non siano state
contestate dalla parte convenuta, risultando pertanto pacifiche in causa ed in ogni caso adeguatamente
documentate dalle risultanze in atti.
Tali condotte hanno avuto luogo nel corso di quattro distinti episodi, assumendo peraltro specifico
rilievo penale con particolare riferimento ai fatti accaduti in data 2.10.2015 e 16.2.2016.
In tali episodi infatti risultano integrati, rispettivamente, gli estremi del reato di violenza privata (art.
610 c.p.) e di minaccia (art. 612 c.p.).
Quanto ulteriori alle condotte ingiuriose, tenute dal convenuto nelle precitate occasioni ed anche
nell’episodio avvenuto in data 6.5.2016, la circostanza che le stesse non risultino più punibili secondo
la legge penale non esclude in ogni caso la possibilità di una loro autonoma valutazione in sede civile ai
sensi dell’art. 2043 c.c. (V. Cass. 11. 9424/2016).
E’ noto infatti che ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 185 c.p. è necessario
soltanto che il fatto possa astrattamente configurarsi come illecito penale, non essendo invece
necessario che il reato sia accertato in senso tecnico (Cass. sez.un. 6651/1982).
A fronte di un simile quadro fattuale ed in ogni caso alla luce della specifica causa petendi attorea si
appalesano pertanto inconferenti le argomentazioni difensive dei convenuti volte, per un verso, a
cercare una sostanziale giustificazione delle condotte illecite poste in essere dal Stefano e, per
altro verso, ad adombrare una non meglio chiarita inadeguatezza del docente correlata ad una ritenuta
incapacità dello stesso di andare incontro agli speciali bisogni educativi del convenuto.
Si osserva inoltre come, accanto alla responsabilità del Stefano, quale autore materiale delle
condotte lesive, sia ravvisabile anche una responsabilità degli adulti che, in veste genitoriale, si
ponevano rispetto al minore in funzione educativa ed in posizione di garanzia, ai sensi dell’art. 2048
c.c.
Pare opportuno ed anche sufficiente in proposito un richiamo all’orientamento espresso e ribadito
ancora in epoca recente dalla Corte di Cassazione intervenuta in argomento.
Osservano i Giudici di legittimità che “i criteri in base ai quali va imputata ai genitori la
responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono, dunque, sia nel potere -dovere di
esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, in relazione al quale potere-dovere assume
rilievo determinante il perdurare della coabitazione; e sia anche e soprattutto nell’obbligo di svolgere
adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile
coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari. In
quest’ultimo ambito rientrano i danni provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza 0
irresponsabilità” (così Cassazione civile sez. III, 19/02/2014, n.3964).
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte non sottovaluta, ed anzi si dichiara ben consapevole del
notevole rigore dell’approccio con cui in tal modo “si viene a valutare la responsabilità dei genitori in
relazione al fatto illecito del figlio, soprattutto se prossimo alla maggiore età”; e tuttavia, con richiamo
anche & propri precedenti (ad esempio Cass. 20 marzo 2012, n. 4395) evidenzia come questo rigore “sia
giustificato, in considerazione del fatto che essa, per un verso, ingenera il possibile interesse anche
economico dei genitori ad impartire ai figli un ’educazione che li induca a percepire il disvalore sociale
dei comportamenti pericolosi per gli altri, mentre, per altro verso, è in sé idoneo a sollecitare la
precauzione dei minori allo stessa fine, anche per il timore della possibile reazione dei genitori che
fossero chiamati a rispondere delle conseguenze dei loro atti illeciti in danno dei terzi “.
Conclude la Suprema Corte questo approfondito iter argomentativo nella pronuncia in esame
sottolineando che l’art. 2048 c.c. si riferisce al figlio comunque minorenne, postulando la necessità di
una costante opera educativa onde realizzare “una personalità equilibrata, consapevole della
relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria e altrui persona da ogni
accadimento consapevolmente illecito”. E che se l’illecito comportamento del figlio è riconducibile non
già all’omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui (non esigibile,
in genere, nei confronti di persone ormai prossime alla maggiore età) bensì & verosimili pregresse
carenze educative “ha poco senso discettare sull’età del minore, per desumeme tout court che tali
carenze devono presumersi inesistenti”.
La ricostruzione nei termini sopra richiamati delle ragioni che supportano il permanere in capo ai
genitori di una responsabilità per gli illeciti commessi dai figli minori -seppur in età tardo
adolescenziale ed in fase della vita nella quale sarebbe in effetti lecito e ragionevole aspettarsi un
atteggiamento ormai ispirato a principi di autoresponsabilità- trova fondamento anche sistematico
nell‘esigenza, propria della materia della responsabilità extracontrattuale, di una chiara ed effettiva
previa allocazione dei rischi promananti da condotte illecite che potrebbero, diversamente, porsi del
tutto al di fuori del regime della responsabilità, privando tout court la parte danneggiata di ogni tutela
anche ex post.
A ciò deve aggiungersi l’operatività del particolare regime probatorio fissato dall’ultimo comma dell’art.
2048 c.c., che anche nella presente ipotesi di responsabilità per fatto altrui consente al soggetto gravato
di posizione di garanzia di liberarsi delle conseguenze risarcitorie a suo carico unicamente a fronte
dell’assolvimento di specifici oneri probatori, indicati nell’aver “integralmente adempiuto al dovere di
educare la prole attraverso lo sviluppo nella stessa di una adeguata capacità critica e di
discernimento”.
Considerando altresì che l’inadeguatezza dell’educazione impartita ad un minore, fondamento della
responsabilità dei genitori per il fatto illecito commessa dal suddetto, può essere desunta, in mancanza
di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di
maturità e di educazione del minore (V. Cassazione civile sez. III, 06/12/2011, n. 26200).
Ciò posto, con specifico riferimento alla difesa dei convenuti » Andrea e Roberta si
osserva ulteriormente come gli stessi non abbiano offerto la minima allegazione al fine di fornire la
prova liberatoria richiesta dalla norma stessa nel senso chiarito dagli insegnamenti di legittimità sopra
richiamati.
Alla luce di quanto osservato risulta che tenuti al risarcimento del danno all’attore sono direttamente
Stefano, ora maggiorenne, in solido con i suoi genitori ed odierni convenuti Andrea
e Roberta.
Quanto alla liquidazione dei danni patiti dall’attore in conseguenza delle condotte illecite de quibus
deve premettersi come per la quantificazione del danno morale soggettivo derivante da reato deve
tenersi conto di tutte le circostanze del caso concreto ed in particolare della gravità del reato, dell’entità
delle sofferenze patite dalla vittima, dell’età, del sesso e del grado di sensibilità del danneggiato, del
dolo oppure del grado di colpa dell’autore dell’illecito, della realtà socio-economica in cui vive il
danneggiato (cfr., tra le molte, Cass. n. 14752/2000).
Deve sul punto innanzi tutto rammentarsi che, come precisato dalle ormai celebri Sezioni Unite del
2008, il danno morale va inteso quale paterna d’animo o sofferenza interiore o perturbamento psichico,
di natura meramente emotiva e interiore (danno morale soggettivo).
L’espressione “danno morale” è impiegata per indicare uno dei molteplici, possibili pregiudizi di tipo
non patrimoniale, vale a dire la sofferenza soggettiva ed interiore cagionata dal reato, in sé considerata

  • la cui intensità e durata nel tempo rilevano non già ai fini della esistenza del danno, bensì della mera
    quantificazione del relativo ristoro – ma anche il pregiudizio derivante dalla lesione della dignità ed
    integrità morale della persona, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2
    Cost. in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza contenuta nel trattato di Lisbona (cfr. Cass. 1361/2014),
    dovendosi valutare, ai fini risarcitori, sia l’aspetto interiore del danno sofferto — le conseguenze patite dal soggetto nella sua sfera morale, nella dimensione della relazione con se stessa — sia le conseguenze incidenti sul profilo dinamico-relazionale della persona (cfr. anche recentemente Cass. ord. 5820/19; sent. 20795/ 18).
    Precisato che, ove il fatto generatore sia rappresentato, come nella specie, da una condotta penalmente rilevante, l’onere probatorio gravante sul danneggiato è agevolato dalla possibilità di fare ricorso ad elementi presuntivi, sembra a chi giudica che alcun dubbio può porsi in ordine alla configurabilità, nella specie, di un danno morale siccome patito dal Luca conseguenza dei fatti di reato per cui è causa.
    Siffatto danno risulta configurabile in capo all’odierno attore quale immediato destinatario dell’altrui
    condotta delittuosa, atteso che peraltro le aggressioni fisiche e morali, già secondo l’id quod plerumque accidit, determinano, nella generalità dei casi, un turbamento dell’animo più o meno intenso.
    Per la liquidazione dell‘indicato pregiudizio, di natura non patrimoniale (derivante dalla lesione di
    diritti della persona diversi dalla salute), soccorrono criteri equitativi, dovendosi a tal fine valutare
    l’effettiva entità ed intensità della violazione della libertà morale e fisica e della dignità della persona
    offesa, del turbamento psichico cagionato (desunto sia dalle stesse modalità dell’aggressione e dalle
    reazioni della vittima), delle conseguenze sul piano psicologico, della proiezione di detti effetti nel
    tempo e dell’incidenza del fatto dannoso sulla personalità della vittima.
    Nella quantificazione del danno bisogna anche tener conto della particolare intensità del dolo.
    Tale valutazione non fa assumere al risarcimento del danno non patrimoniale valenza sanzionatoria
    (tutt’ora negata dalla Suprema Corte – cfr Cass. SU n. 16601/ 17 secondo cui il connotato sanzionatorio non è ammissibile al di fuori dei casi nel quali una qualche norma lo preveda), ma non si può trascurare che il dolore del danneggiato è senz’altro maggiore nell’ipotesi in cui la condotta del danneggiante sia specificatamente sostenuta da una precisa volontà di far del male ed offendere.
    Nel caso in esame vengono quindi in considerazione le concrete modalità delle condotte poste in essere dal convenuto (da cui ben si evince l’intensità del dolo da cui le stesse risultano connotate), la
    reiterazione delle stesse, la reazione avuta dalla vittima (che ha denunciato il fatto agli inquirenti), la
    idoneità delle condotte ad accrescere la sofferenza della vittima in quanto poste in essere di fronte alla platea degli studenti del docente nonché, inevitabilmente, & riverberare nell’ambito lavorativo dello stesso.
    Appare pertanto equo riconoscere all’attore la complessiva somma di € 14.500,00 già attualizzata e
    comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria, al cui pagamento vanno condannati, in solido tra
    loro, gli odierni convenuti.
    Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte convenuta nella misura liquidata in dispositivo, tenuto conto dei parametri medi contenuti nel DM n. 55/14 in considerazione del fatto che non è stata svolta attività istruttoria al di fuori del deposito delle memorie istruttorie.
    P.Q.M.
    Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
    CONDANNA i convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attore dell’importo di €
    14.500,00, comprensivo di rivalutazione monetaria e interessi di legge;
    CONDANNA altresì i convenuti, in solido tra loro, a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si
    liquidano in € 237,00 per spese, € 4.000,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso
    forfettario spese generali come per legge.
    Sondrio, 3.3.2021
    Il Giudice
    dott. Maria Federica Minervini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Contatti

Compila il form di seguito per richiedere maggiori informazioni:

    Seguici su:

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    Privacy Policy